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[SPECIALE] [RULE] Il presidente della terza Assindustria d'Italia
sulle spinte separatiste


"L'Italia divisa?
Non mi spaventa"
[RULE] "Non è vero che il Nord verrebbe stritolato dalla Germania. Avremmo una situazione più europea: non più barriere geografiche ma confini che delimitano aree economicamente più forti. E al Sud un'eventuale svalutazione della moneta può rivelarsi benefica.

La Secessione? «Non sarebbe poi uno scenario così traumatico come molti lo dipingono». Non si scompone affatto Pino Bisazza, 59 anni, presidente dell'Associazione industriali di Vicenza (la terza in Italia con oltre 2.100 aziende associate per un fatturato di 30.000 miliardi), a capo di un’impresa che, applicando la tecnologia informatica all’arte dei maestri vetrai veneziani, fa 40 miliardi di fatturato. Bisazza che, tra l’altro è nel consiglio di amministrazione de «Il Gazzettino, di fronte all'ipotesi (che le recenti elezioni amministrative hanno in parte sbiadito) di secessione, di indipendenza dei Nord, fa notare sorridendo sornione che «non accadrebbe nulla di catastrofico».

Presidente Bisazza, ma lei allora è d'accordo con Bossi?

Non proprio. Intendiamoci, non dico che sono favorevole alla secessione. Dico però che, nell'eventualità più remota, se cioè, le minacce di Bossi si concretizzassero, non accadrebbe nulla di traumatico. Non è vero che il Nord verrebbe stritolato dalla Germania. Si configurerebbe, invece, una situazione più "europea", dove i confini geografici perderebbero di significato, mentre acquisterebbero valore quelli che delimitano aree economicamente forti. Del resto il Nord Est, secessione o meno, è già un polo con una propria identità ben definita, competitivo in tutto il mondo. Non dimentichiamo che più si profilano i confini europei, più sbiadiscono quelli interni al Paese. E' un processo inevitabile e in futuro assisteremo alla nascita di altre aree economiche il cui sviluppo è favorito da una lingua comune, l'inglese, dalla rapidità con cui oggi avvengono gli spostamenti, da un'informazione che arriva ovunque in tempo reale. Quanto al Sud Italia, anche se avesse una moneta svalutata, paradossalmente l'indipendenza del Nord potrebbe rivelarsi un toccasana per il Mezzogiorno».

Ma dopo i risultati delle recenti elezioni amministrative ha ancora senso parlare di secessione?

«Una cosa sono le politiche, altra le amministrative. In ambito locale il voto è strettamente legato al candidato, conta il f atto di conoscerlo, di sapere chi è. Certo è che i risultati di Mantova, Pavia e Lodi indicano chiaramente che chi ha votato Lega difficilmente accetta l'idea di un'Italia divisa. Del resto sono anche convinto che Bossi sbandieri la secessione per ottenere in realtà il progetto che gli sta più a cuore e cioè il federalismo».

All'assemblea della Confindustria si è ribadito no alla secessione e sì al federalismo in tempi stretti. Ma che tipo di federalismo?

«Federalismo è ormai un termine inflazionato. E questo è un brutto segno perché quando tutti parlano di una cosa significa che questa difficilmente s i concretizza. Dobbiamo capire prima di tutto a quale modello di federalismo vogliamo ispirarci, se quello americano, tedesco, svizzero, perché è indubbio che occorra rifarsi ad esperienze di altri stati, adattandole, naturalmente, alla nostra realtà. In questo cammino in cui il Governo si è impegnato occorre, a mio avviso, mantenere però un certo equilibrio. Siamo tutti d'accordo che il primo passo è sburocratizzare il sistema, ma bisogna stare attenti che la bilancia non penda troppo da una parte. Perché un'eccessiva localizzazione del potere potrebbe frenare i progetti collettivi. In sostanza bisogna decentrare in modo che gli interessi della collettività siano nelle mani dello Stato e non dei Comuni».

Che segnali attendete dal Governo in tema di riforme e di sburocratizzazione?

«La semplificazione del 740 e la soppressione della bolla di accompagnamento rappresentano già due segnali importanti che di mostrano che il Governo si sta muovendo nella direzione giusta. Queste riforme fiscali prima della pausa estiva sono sufficienti: è chiaro che non si può pretendere tutto e subito».

Se le altre risposte poi non arrivassero, cosa faranno gli imprenditori del Nord Est un federalismo fai da te?

«Sarebbe grave non ricevere risposte. Vasti settori del mondo economico, piccole e medie imprese, artigiani, la società stessa del Nord est non capirebbe, forse non lo tollererebbe. E’ per questo, come sostiene il presidente di Confindustria, Fossa, che la Lega non va sottovalutata. Perché esprime disagio. Se verremo delusi ancora una volta allora sì non sarà più improbabile parlare di secessione. Perché il federalismo a questo punto è una necessità. La nostra competizione nei vari mercati si gioca con i principali concorrenti europei e nordamericani che, non dimentichiamolo, sono sostenuti politicamente. A cominciare dai capi di Stato che vanno all'estero per stringere trattative industriali. I nostri politici, invece, quando si spostano pensano solo a portarsi dietro mogli e figli. II punto è che tutta la nostra organizzazione all'estero va rivista. Un tedesco va in un altro Paese accompagnato dallo Stato, noi "nonostante" lo Stato».

Parliamo di Nord Est. Dall'Unione Industriali di Torino Romiti ha dichiarato che il Nord Est è incapace di fare sistema, di stringere legami operativi e con una punta di polemica ha ricordato che la vera industria è nel Nord Ovest. Cosa risponde?

«Romiti ha ragione quando afferma che siamo troppo individualisti. Occorre fare squadra avere più strategie comuni, individuare insieme agli amministratori i punti su i quali fare pressione per ottenere maggiore rappresentatività a livello politico. Sbaglia, invece, quando afferma che manca la grande stella che illumina l'universo Nord Est. Da noi non ci sono grandi astri, ma ci sono tante piccole stelle che brillano di luce propria».

Il presidente degli industriali veneti Carraro ha parlato di Nord Est come modello, è d'accordo?

«No. A mio avviso non si tratta di un modello ma di una situazione che è venuta a crearsi del tutto casualmente. C'è stato un allargamento dei mercati e piccole e medie imprese sono riuscite ad inserirsi bene grazie alla flessibilità che le contraddistingue e ad un prodotto qualitativamente alto. Ecco perché le cose sono andate bene. Ma il mondo evolve in continuazione: per questo dobbiamo cercare di essere più modesti e pensare di più ai nostri punti deboli».

Come vivono gli imprenditori del Nord Est la mancanza di una rappresentatività politica?

«Lo sentiamo come una mancanza di forze quando ad esempio si decidono fette di finanziamento in ambito pubblico. Del resto ci dobbiamo accontentare di un solo ministro e di due sottosegretari veneti. La nostra area era più appoggiata a livello politico negli anni ’50 e ’60 quando i partiti contavano. Con il terremoto di Tangentopoli, caduti i partiti ci troviamo adesso in una fase di transizione in cui si stanno formando nuovi volti e nuovi ruoli. Bisogna aspettare».

La lira potrebbe avere buone possibilità di entrare nello Sme. Che scenari si aprirebbero per l’export?

«Buoni, anche se quello di cui abbiamo bisogno non è una lira debole ma costante. Quello che ci danneggia sono gli scossoni, le forti oscillazioni. Chi lavora con l'estero sa quanto sia importante proporsi al mercato con listini che durano almeno un anno e questo è possibile solo se la nostra moneta non subisce sbalzi».

E' d'accordo con Fossa che i tassi di scontro dovrebbero scendere o fa bene il Governo ad essere prudente?

«Il Governo è troppo prudente e noi siamo penalizzati. Basta pensare che abbiamo tassi quasi doppi rispetto ad esempio alla Germania. Tutto questo non fa che rallentare lo sviluppo delle imprese».

Anna Madron

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