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[RULE] Molte Italie e molti Nord [RULE]

Quante Italie? E' un interrogativo che ha caratterizzato da sempre la ricerca politologica e sociopolitica. L' idea era di indagare attraverso la differenziazione del comportamento elettorale l'esistenza di altro genere, attinenti alla società, all'economia, ai valori. Quella che segue è la relazione* tenuta dal sociologo Ilvo Diamanti al convegno di Torino su "Politica e società in Italia".

Il comportamento elettorale è sempre stato utilizzato come un'indagine a tappeto, un censimento piuttosto che un sondaggio, ricorrente e sistematico, applicato all'intero territorio nazionale, finalizzato a mostrarci come e se si riproducessero, evolvessero, si modificassero le differenze locali e territoriali costitutive nella storia del paese.

I modelli principali tendono a proporre due tipi di partizione. Da un lato si ipotizza l'esistenza di quattro Italie, distinte in base al modello di relazione fra società, partito e voto, e visibili in base alla stabilita del risultato elettorale. Si delinea, al proposito, un'articolazione dell'Italia in quattro aree, due delle quali caratterizzate da stabilità elettorale, ma da orientamenti politici contrapposti: la zona bianca, che si esprime attraverso il voto alla Dc; quella rossa, che si esprime attraverso il voto ai partiti della Sinistra e in particolar modo al PCI. Le altre due aree, invece, sono caratterizzate da un maggior grado di instabilità elettorale, che viene ritenuto riflesso, peraltro, di differenti fattori: nell'area del triangolo industriale del Nord-Ovest e ricondotta all'equilibrio e della competizione tra forze politiche; nel Mezzogiorno alla fluttuazione e ai mutamenti sensibili che registra la forza elettorale dei partiti.

Spostando l'accento sulle "fonti" sociali di questa articolazione, si tende a individuare tre diversi sistemi di regolazione sociale, che rinviano ad altrettanti tipi di rapporto fra elettori-parti ti e voto.

Le zone bianche e rosse sottendono l'esistenza di subculture politiche e territoriali ben strutturate, che fondano un voto di appartenenza, imperniato sul ruolo dell'identità; nel triangolo industriale l'affermarsi di processi di modernizzazione culturale e di secolarizzazione, favoriscono un voto di opinione o di "interesse", orientato dalla razionalità individuale oppure dall'utilità di gruppo; infine, nel Mezzogiorno la debolezza dei reticoli associativi e la pervasività dello stato, attraverso il ruolo della spesa pubblica, sostengono un modello di voto di scambio, dettato dall'interesse e dalla dipendenza degli individui.

2. La profonda trasformazione della società italiana e la crisi del sistema politico tradizionale e della c.d. Prima Repubblica tendono a ridefinire profondamente questo quadro.

a) Le subculture entrano in crisi, perché le appartenenze ideologiche e religiose si stemperano e la società vede crescere il suo grado di complessità;

b) Nel Mezzogiorno si assiste a un processo di modernizzazione sociale e di crescita del reddito sostenuta dalla spesa pubblica, uno sviluppo senza autonomia.

c) Si affermano nuove forze politiche, che captano la protesta e che comunque contrastano con il sistema politico tradizionale. Nel 1992 e nel 1993 tutto ciò pare preludere a una riduzione delle articolazioni politiche del paese, che da quattro oppure tre si riducono a due, le quali fanno riferimento alla tradizionale frattura Nord/Sud. L'idea che emerge e che si assista a una semplificazione della geografia elettorale che contrappone Nord e Sud: l'Italia "produttiva" a quella "assistita". I1 coagulante delle tre Italie che caratterizzano il Centro-Nord, sostengono alcuni, è la Lega, che, partita dalla periferia del Nord, pare progressivamente colorare tutte le regioni più "sviluppate", lasciando le altre in mano ai partiti tradizionali, protesi a mantenere il controllo sullo stato.

3. Alle elezioni del 1994, pero, il quadro muta ancora segno. L'offerta politica 6 cambiata. Oltre alla Lega vi sono altri nuovi soggetti politici in campo; altri sono riedizioni, riformate, dei partiti tradizionali. Inoltre, l'introduzione di un sistema "maggioritario" imperfetto, favorisce il formarsi di coalizioni. Nell'assieme, esce una geografia nuova e diversa. L'Italia si ridisegna in tre parti, assai diverse dal passato. L'unica costante appare la compattezza della "zona rossa", che il gioco della competizione maggioritaria rinsalda ulteriormente.

Per contro, l'area bianca" si scioglie nel Nord e disegna un contesto fortemente compatto attorno al Polo di Destra, che vince le elezioni. I1 Mezzogiorno, invece, si presenta come un terreno di competizione aperta e concorrenziale. La crisi dei tradizionali partiti di governo e il blocco della leva della spesa pubblica, evidentemente, ne rendono più libero il comportamento elettorale e favoriscono, anzi, quelle forze politiche, come il Pds, ma anche An, che dispongono di solidi reticoli sociali.

4. Le elezioni del 1996 delineano un ulteriore mutamento. Vi contribuiscono in parte il mutamento dell'offerta politica: la scomposizione del Polo, che si ricuce attorno a Fi-An e Cdu-Ccd, la ricomposizione del Centro e della Sinistra nell'Ulivo, la scelta della Lega di correre sola contro tutti.

Ma vi contribuisce anche l'evolvere specifico della problematica territoriale, l'acuirsi dei motivi di tensione fra alcune aree e settori sociali del Nord e lo Stato.

La geografia del comportamento elettorale cambia sostanziosamente, soprattutto a Nord. A1 Centro, infatti, si consolida il peso elettorale della Sinistra, rafforzata dalle componenti principali del Patto per l'Italia, mentre nel Mezzogiorno la competizione rimane equilibrata. A Nord, invece, il Polo esce sconfitto, sul piano elettorale e soprattutto dei seggi. La causa principale di questo esito è determinata dal successo della Lega, che oltre a conseguire il migliore risultato della sua storia, vince in 39 collegi maggioritari ed elegge un ampio gruppo di parlamentari con la quota proporzionale.

Ne conseguono due implicazioni, rilevanti sul piano della meccanica della competizione, ma anche sul rapporto fra territorio e politica, riguardanti il Nord, il quale:

a) diviene la zona più aperta e competitiva, quella quale lo scarto fra i concorrenti e più basso, dove un seggio "costa" meno;

b) è l'unico contesto nel quale la competizione è tripolare, per la presenza di un polo-partito che utilizza una fonte di legittimità e di consenso esterna rispetto alle altre. Si presenta come partito "nuovo", "contro" e insiste su un tema che evoca la "frattura territoriale".

5. Questa stessa premessa, peraltro, invita a esplorare meglio dentro il risultato del Nord, per verificare la credibilità e il fondamento della lettura che se ne da presso alcuni soggetti politici coinvolti e interessati, ma che viene accreditata da molti osservatori, magari inconsapevolmente. Si tende cioè a definire il Nord come un contesto politicamente omogeneizzato, sulla spinta dell'azione e del peso della Lega, divenuta il primo partito del Nord. E conseguentemente a dare all'insediamento elettorale della Lega un significato di identità territoriale di segno esplicitamente etnofederalista: disponibile, quindi, ad ipotesi secessioniste. Chi contesta questa lettura tende invece ad accreditare una diversa lettura, che pone l'accento piuttosto sul significato di protesta del voto leghista. Come valutare queste ipotesi? Una esplorazione del voto a Nord, ci spinge a smentirle entrambe. O meglio: induce a "ridimensionare" il peso dell'ipotesi del voto di protesta e, invece, a smentire quello che vede in esso la conferma dell'esistenza di un'identità nordista e padana.

a) anzitutto, è lo stesso aspetto della "competitività" che si registra nei collegi del Nord a smentire la presunta "omogeneità" e compattezza dell'area, la quale si presenta aperta e instabile; la Lega è primo partito, ma non il primo schieramento.

b) inoltre, la Lega realizza il suo successo in una componente ben definita del territorio. Occorre semplicemente guardare la mappa, per vedere che il voto leghista attecchisce e si radica nelle aree più a Nord del paese, periferiche rispetto alle concentrazioni urbane maggiori (Milano, Torino, Genova, ma anche Venezia - Mestre) e esterne rispetto alle regioni a statuto speciale (con la parziale eccezione del Friuli, dove peraltro resta su livelli più bassi).

Il profilo socio - economico e politico delle zone delineate in base alla forza della Lega, fornisce altri, importanti indicazioni. Evidenzia, in particolare come il voto alla Lega sia molto più esteso:

(a) nelle località piccole e medie (meno del 10% dei collegi in cui essa raggiunge il massimo risultato appartengono ai capoluoghi di provincia, mentre la quota sale al 50% nel gruppo dove e attestata su livelli minimi)

(b) dove maggiore e il tasso di industrializzazione, in termini di addetti e di aziende; parallelamente, dove minore 6 il tasso di terziarizzazione (servizi privati e pubblici).

(c) Dove più basso e il tasso di disoccupazione e, per contro, più alto quello di occupazione).

La Lega, dunque, si presenta come fenomeno consolidato nella provincia più produttiva del Nord, dove la base economica è impostata sull'industria di piccole dimensioni, la partecipazione al lavoro della società e totale, le comunità locali e i sistemi produttivi combaciano. Per contro, viene respinto nelle aree urbane e metropolitane, dove lo sviluppo è fondato sul ruolo del terziario, dei servizi, oppure nelle zone industriali in cui la struttura produttiva è basata sulla grande impresa, dove i sistemi di regolazione sono più complessi.

L'altro fattore caratterizzante del risultato della Lega appare connesso al retroterra politico. Ne emerge con chiarezza il rapporto stretto della Lega con le sue subculture politiche tradizionali. Un rapporto di segno esplicito e netto. I1 consenso elettorale della Lega, infatti:

(a) e tanto più forte dove più forte era la presenza della Dc. I1 voto democristiano, infatti, nel 1992 era ancora il 34% nei collegi in cui la Lega e più forte, mentre scende al 24% dove e più debole):

(b) al contrario, e tanto più ridotto dove più consistente e il peso elettorale delle forze politiche sorte dalla crisi del Pci: il Pds e Rifondazione.

c) Parallelamente, è possibile definire il profilo territoriale e socioeconomico delle aree di forza degli altri due schieramenti, il quale si presenta assai meno caratterizzato e, comunque, assai simile per entrambi i poli. I collegi in cui Ulivo e Polo ottengono i loro risultati migliori sono, per entrambi: a elevato grado di terziarizzazione, urbani, con un certo grado di tensione occupazionale, con un retroterra politico caratterizzato da un basso peso della subcultura bianca e da un elevato grado di equilibrio tra forze politiche (fra le quali, nelle zone dell'Ulivo, si osserva, nel passato, una notevole incidenza delle forze Politiche di sinistra).

6. E', allora, possibile ipotizzare che:

a) la Lega ha senz'altro fruito di componenti di voto di protesta, di rifiuto, di segno "tattico" oppure "tematico"; tuttavia, alle spalle dispone ormai di un solido retroterra, di radici territoriali profonde e visibili.

b) Ciò significa che si tratta di un fenomeno strutturato, che non si sfalderà facilmente. Essa, tuttavia, occupa uno spazio molto, molto specifico e delimitato, dove ha un peso molto ma molto elevato. I1 che significa che se rappresenta una forza politica importante nel Nord, non per questo si può presentare come il partito "del" Nord.

c) La crescita della Lega si addensa attorno alle sue radici; cumula il nuovo elettorato laddove disponeva già di un retroterra forte. Diventa, cosi, "dominante", da "forte" qual’era, nelle zone caratterizzate da un elevatissimo sviluppo di piccola impresa, fra i ceti produttivi autonomi e operai; negli stessi contesti che un tempo costituivano il cuore della zona bianca, le roccaforti della Dc. E della Dc pare aver preso il posto. I1 che non significa assolutamente che la Lega sia, in sé, la riedizione della Dc. La distanza fra i due partiti, in quanto a progetti, modelli organizzativi e stili comunicativi, ecc. è abissale. Tuttavia, la Lega è, per le aree in cui oggi è più forte, quel che era la Dc nel passato. Tant'è che ne ha ereditato gli elettori, ma anche il tipo di domande. Si potrebbe ipotizzare che la Lega costituisca, per il suo retroterra più solido e fedele, una risposta e un'alternativa al ruolo che la Dc aveva svolto in passato e che in seguito non era più riuscita ad assolvere: un ruolo di rappresentanza localista nei confronti del centro uno specchio dell'identità locale. L'espressione di un modello di rappresentanza politica che, oggi come ieri, e "localista", assai più che etnoregionalista.

d) Gli altri schieramenti, invece, risultano vincenti nelle zone urbane principali e nelle aree che guardano alla Padania. Persiste, infine, una fascia estesa, nella quale queste logiche coesistono, i misura diversa. Essa, significativamente, avvolge e collega le zone del "profondo Nord".

e) Ciò significa, quindi, che la pretesa della Lega di interpretare la Padania e il Nord è azzardata e velleitaria. Essa, invece, è dominante laddove prevaleva la subcultura cattolica, dove prevale un modello di regolazione di mercato: nella periferia produttiva e policentrica. Riflette un tipo di domanda "localista", centrata sulla tutela e sulla rivendicazione dell'identita e degli interessi locali. Ciò che un tempo riusciva a soddisfare la Chiesa con il supporto della Dc; ciò che in seguito aveva realizzato il doroteismo.

f) Polo e Ulivo riescono a penetrare dove prevalgono logiche organizzative e sociali più complesse, fondate sul ruolo organizzativo della grande aggregazione urbana e o industriale. Ma per questo difficilmente possono riuscire a sfidare la Lega sul suo terreno.

Ilvo Diamanti - Sociologo Università di Padova e Urbino

* questo testo costituisce la prima traccia non rivista dall'autore della relazione tenuta all'Associazione italiana di sociologia per il convegno di Torino.

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