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[RULE] Marzotto indica al Governo la strada da seguire
e critica la relazione di Bankitalia

"Ipar, imposta discutibile
freniamo piuttosto l'evasione"
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Il vice-presidente di Confindustria non dribbla sull’evasione, anzi invoca controlli più efficienti. Per l’emergenza lavoro chiede più flessibilità, mobilità, infrastrutture e lotta alla criminalità. "Il federalismo non deve tradursi in uno spostamento della burocrazia dal centro alla periferia".

Il vice di Confindustria Pietro Marzotto stronca l’Ipar, l’imposta da affidare alle Regioni. Un segnale forte, che si addolcisce in parte con una serie di suggerimenti al Governo in tema di occupazione, lotta all’evasione e rilancio dello sviluppo. In altri termini, il verbo degli industriali, almeno per ora, non coincide del tutto con le linee economiche dell’esecutivo Prodi. Ma, soprattutto ribatte alle critiche del governatore di Bankitalia. Agli imprenditori quelle frasi di Fazio sulle imprese preoccupate più dei profitti che della lotta all’inflazione ronzano ancora nelle orecchie.

Marzotto, a capo dell'omonimo gruppo tessile di Valdagno, forte di un bilancio con un utile netto di 50,1 miliardi (+ 91,2% rispetto all'anno precedente) che gli permette di distribuire ai soci dividendi altrettanto rosei, commenta così la situazione politico economica del Paese.

Come le sembra la riforma fiscale presentata dal ministro Visco?

«Sull'Ipar (l'imposta da affidare alle Regioni) ho avuto una pessima impressione. Il problema del sistema fiscale risiede soprattutto nell'efficienza dei controlli sull'evasione. E chi paga le tasse ne paga troppe. Se in Francia un cittadino deve chiamare un idraulico chiama un'impresa che gli fa tutto il lavoro e alla fine presenta la fattura. In Italia, se un cittadino prova a chiedere la fattura, corre il rischio che l'idraulico se ne vada senza fare il lavoro».

Cosa si aspetta dal nuovo governo in materia di lotta alla disoccupazione?

«Il problema della disoccupazione in Italia risiede anzitutto nel dualismo Nord-Sud. Le questioni del lavoro non si risolvono in poco tempo o con un solo provvedimento. Intanto iniziamo dalla mobilità territoriale, dalla flessibilità, intesa sia come durata del contratto sia come livello salariale, e poi affrontiamo il problema delle infrastrutture e della lotta alla criminalità, senza trascurare una necessaria semplificazione delle leggi. Occorre poi abbassare il costo del denaro».

Il governatore della Banca d'Italia Fazio ha criticato le imprese, che hanno fatto il pieno di profitti e mantenuto i prezzi troppo alti alimentando così l'inflazione...

«Non condivido il richiamo fatto dal Governatore. Innanzitutto le imprese private operano in un regime di concorrenza internazionale, perciò i prezzi li fa il mercato. Poi, per quanto riguarda il mio gruppo, la crescita dei profitti è arrivata più dalle esportazioni che dal mercato interno».

Che segnali ci sono sullo stato di salute dell'economia per i prossimi mesi?

«I consumi vanno piano, e questo perchè con i tassi di disoccupazione che ci sono oggi in Italia le famiglie sono preoccupate. Gli investimenti, rispetto all'anno scorso, quando si è potuto usufruire della legge Tremonti, stanno rallentando. Così pure le esportazioni. E sono pessimista anche sulla crescita del Prodotto interno lordo, che non supererà l'1,3 per cento rispetto al 3 per cento dell'anno scorso».

E quell’aria di rivolta, quel disagio che spira nelle aziende di Treviso come di Bari?

«Sentir parlare di federalismo nei termini in cui se ne discute oggi mi preoccupa. Da sempre sono stato favorevole ad un forte decentramento delle funzioni dello stato, ma non vorrei che tutto questo parlare di autonomia si traducesse poi in un semplice spostamento della burocrazia dal centro alla periferia».

Eppure il Nord est sembra chiedere soprattutto decentramento...

«Il discorso del Nord est è stato un po' enfatizzato. Le minacce di rivolta fiscale appartengono solo a piccole minoranze. Qui siamo tutti indispettiti nei confronti di una pubblica amministrazione inefficiente che ti opprime con la burocrazia ed il fisco. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini capisce che è giusto fare i sacrifici, e non c'è dubbio che la nostra economia sarebbe in grado di sopportarli ancora, con l'assicurazione, però, che i due o tre anni di rigore servano veramente a risanare i conti pubblici».

Filippo Nani

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