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[RULE] Filosofia e Limite
[RULE]
Il problema della filosofia è oggi più che mai connesso a quello del suo limite. Più che dare risposte positive ai problemi, essa tende a mettere in luce le contraddizioni e le rinnovate aporie presenti nella pretesa di fornire soluzioni esaustive. Ma non per questo essa diventa scettica. Piuttosto, nel limite cui vanno incontro le sue aspirazioni costruttive, la filosofia scopre la verità con cui incessantemente deve fare i conti.

Una riflessione sulla filosofia, che assuma il carattere strutturale della relazione tra pensiero e limite, non può tuttavia fingere di cominciare da zero. Al contrario, senza risalire ai pensatori che hanno inaugurato la tradizione filosofica dell'occidente (primo fra tutti Platone), la meditazione sul limite essenziale che contrassegna l'attività filosofica, fornendo ad essa sempre di nuovo il pungolo del problema, è un tratto saliente del pensiero moderno a partire da Kant. In quest'ultimo, tuttavia, il limite sembra essere assunto non tanto come condizione produttiva della riflessione, quanto piuttosto come il confine che la riflessione non deve oltrepassare, come la linea in cui la produttività del pensiero trova la sua fine.

Probabilmente, il primo pensatore che in epoca moderna assume il limite come condizione trascendentale di produttività per il pensiero è Fichte. Ma ancor di più, la consapevolezza dell'irriducibilità del significato del limite all'impostazione critica kantiana è presente nelle riflessioni che alla filosofia di Fichte hanno dedicato poeti come Novalis o Hölderlin. E' ancora una volta da questo snodo decisivo del pensiero moderno che occorre partire, se vogliamo orientarci nella domanda sull'attualità e il senso della "filosofia, oggi".

Provando ad aprire le « Fichte-Studien» di Novalis, ad esempio, vediamo subito come l’interrogazione che in esse si svolge avvenga in termini teoreticamente radicali, tali cioè da investire ambito e significato della stessa indagine filosofica, che viene presa in considerazione proprio a partire dal suo ‘limite’. Essa viene innanzitutto definita ‘ex negarivo’ a partire da cio’ che essa ‘non’ puo’ fare. Ma che cos’è cio’ che la filosofia non puo’ pretendere di ‘fare’? E', per l’appunto, il ‘fare’ stesso, nel senso in cui con ‘fare’ s’intenda un operare producente: «La filosofia (...) non puo’ produrre nulla. Le deve essere dato qualcosa» (fr. 15, tr. it. Torino 1993, p. 71).

La valenza di una proposizione siffatta è duplice. Da un lato, essa va situata in rapporto alla definizione della filosofia come «sentimento di sè» (Selbstgefühl). Dall’altro, essa investe invece lo statuto dell’indagine filosofica tout court, e puo’ essere assunta a cifra di cio’ che la ricerca filosofica è nella sua struttura logica portante. Da questo secondo punto di vista, la filosofia si caratterizza per una drastica improduttività, nel senso generale per cui essa non appare originariamente legata nè alla produzione di oggetti, nè alla determinazione di campi o domini disciplinari volti alla conoscenza di oggetti.

Se fosse legata alla produzione di oggetti, in quanto pensiero in grado di veicolare conoscenze utilizzabili sotto il profilo tecnologico, il suo pensiero sarebbe a sua volta un fare «produttivo», nel senso cioè che vincolerebbe la propria pretesa di verità ad una efficacia economico-utilitaria, calcolabile secondo i parametri weberiani della conformità di mezzi a scopi.

Ma la stessa aporia la filosofia incontrerebbe, se pretendesse di definire se stessa in rapporto alla sua funzionalità ‘epistemologica’ (nel senso in cui questo termine è impiegato dalla contemporanea filosofia della scienza), cioè in rapporto alla delimitazione di ambiti oggettuali da indagare di volta in volta secondo parametri condivisi da una comunità di ricercatori o scienziati.

In altri termini: cio’ che Novalis nega alla filosofia, è 1. che essa possa disporre di un «oggetto» (nel senso che cio’ la ricondurrebbe entro l’orizzonte del « produrre»); 2. che essa possa «dipendere da oggetti e conoscenze acquisibili», e percio’ che essa sia in questo senso una «scienza».

Ma se la filosofia non ha oggetti e non è neppure una scienza, cio’ significa forse che essa debba vertere sul «soggetto»? E’ un movimento che in effetti Novalis 'finge’ di mettere in scena nel corso di questo stesso frammento. Se «oggetto» è tutto cio’ che viene appreso, allora la filosofia sembra doversi disporre nell’ambito di «cio’ che apprende». Essa sembrerebbe cioè poter trovare il ‘luogo’ del proprio appaesamento e della propria fondazione nell’io come soggetto della conoscenza: «Forse la filosofia potrebbe trattare di cio’ che apprende, dunque di noi, quando apprendiamo oggetti?» (loc. cit.).

Se la risposta a siffatta domanda fosse affermativa, allora la filosofia potrebbe attestarsi in una comoda posizione, tanto piu’ assicurata in quanto collocata sul versante ‘trascendentale’ del soggetto che contempla se stesso e, contemplandosi, puo’ ricostruire le condizioni aprioriche di possibilita’ che presiedono alla costituzione di sè e del mondo.

Si tratta di una posizione che ricorda quella che Fichte critica attribuendola a Schelling, quando imputa a quest’ultimo di utilizzare una nozione di «intuizione intellettuale» che farebbe ricadere la filosofia in un atteggiamento contemplativo, gnoseologico e ipostatizzante, dunque in ultima analisi nuovamente dogmatico. Ed anche Novalis non tarda a svelare l’aporia che solcherebbe una siffatta filosofia intesa come «autocontemplazione» (loc. cit.). Essa renderebbe infatti il ‘sè’ contemplato nuovamente ‘oggetto’, poichè (sono ancora parole di Novalis) «con apprendere non intendiamo altro se non intuire l’oggetto e imprimercelo con le sue peculiarita’» (ibid.). In tal modo, essa tornerebbe ad essere proprio cio’ che Novalis non desidera che essa sia, ovvero conoscenza obiettivante.

Poichè la filosofia non puo’ essere intesa nè come autocontemplazione del soggetto, nè come sapere di un oggetto, Novalis cerca di determinarla in contrapposizione a tali operazioni della riflessione, qualificandola come «sentimento di sè» (Selbstgefühl) (loc. cit., p. 72).

Tuttavia, anche questa determinazione, in quanto determinazione che contrappone la filosofia come Selbstgefühl alla riflessione obiettivante, è inevitabilmente un prodotto della riflessione. Non soltanto nel senso che essa cerca di esprimere in forma linguistica e concettuale il risultato di una riflessione, ma in quello piu’ profondo per cui essa incorpora la riflessione nella sua stessa costituzione interna. Il ‘sentimento’ non è infatti nient’altro che ‘riflessione’ espressa nella sua prima forma, in quanto coscienza immediata della limitazione dell’io. Se la filosofia è Selbstgefühl, essa dev’essere dunque necessariamente ‘sentimento di sè’ come soggetto limitato, io finito o «diviso» (cfr. fr. 41, p. 90).

Quando designa la filosofia come Selbstgefühl, Novalis non fa altro che esprimere in forma sostantiva cio’ che prima aveva cercato di determinare a partire da un ‘non potere’, ovvero da un limite. Egli stesso si affretta a precisare che «i confini del sentimento sono i confini della filosofia» (fr. 15, p. 72), cioè che la filosofia, in quanto «originariamente» Selbstgefühl, è innanzitutto espressione di un limite del soggetto nel soggetto, esposizione e ‘traccia’ di un ‘non potere’ dell’io nell’io.

Proprio in quanto la filosofia puo’ essere compresa solo a partire dal suo limite, Novalis sostiene che ad essa «dev’essere dato qualcosa» o, con altra formulazione, che essa «ha bisogno di qualcosa di dato» (ibid.); ma questo «dato» di cui essa ha bisogno, in quanto appunto è qualcosa di dato, risulta percio’ stesso incostruibile, improducibile e indeducibile dalla filosofia. Di qui la motivata perentorietà con cui Novalis afferma che: «La filosofia non si puo’ costruire (...) il sentimento non si puo’ sentire» (ibid.).

La filosofia appare cosi’ contrassegnata da un limite che, pur non essendo ‘prodotto’ o ‘dedotto’ dalla sua attività, le è tuttavia intrinsecamente necessario. Siffatto limite puo’ essere ‘assunto’ e portato a consapevolezza dalla riflessione, ma soltanto come qualcosa di già dato nella coscienza, - per cosi’ dire retrospettivamente. Cio’ che è libero è soltanto questo ‘secondo’ atto della riflessione, con cui essa comprende se stessa nella sua ‘prima’ forma. Ma in questa sua ‘prima’ forma, che Novalis intende come originaria, la filosofia è espressione di una struttura necessaria, cioè l’esposizione (Darstellung) della necessaria limitazione dell’io. Siffatta limitazione, pur essendo necessaria per la filosofia, non dipende dalla filosofia.

Queste brevi riflessioni dovrebbero aver mostrato come da un lato il limite, da condizione negativa, diventi in Novalis condizione trascendentale di produttività per la riflessione. Dall'altro, come siffatta produttività si esplichi, nella filosofia, come costruzione linguistica e sistematica. Ma proprio qui, il problema della filosofia viene a intersecare quello più generale del linguaggio e dell'elaborazione simbolica.

L’esposizione linguistica è per la filosofia la forma, liberamente costruibile sotto il profilo delle connessioni logiche e terminologiche, di un ‘nocciolo’ drasticamente incostruibile, senza di cui essa non potrebbe consistere.

Per il carattere indeducibile della limitazione, da cui la filosofia ‘originariamente’ dipende e sorge, abbiamo detto che la filosofia è l’espressione, ‘libera’ sotto il profilo della configurazione logico-linguistica, di una struttura invariante e ‘necessaria’ (quella della coscienza finita in quanto necessariamente ‘limitata’). Sempre sulla scorta di Novalis, abbiamo osservato come questa struttura non possa essere ‘costruita’ o ‘prodotta’ dalla filosofia, bensi’ semmai ricostruita geneticamente nella sua costitutiva indeducibilità.

D’altra parte, nel momento in cui essa coglie riflessivamente la limitazione necessaria della coscienza, essa coglie tale limitazione come costituiva della sua stessa attività. La filosofia percio’ deve giungere a mettere in dubbio l’adeguatezza di una descrizione di se stessa in termini di mera «attività» (Tätigkeit), poichè all’origine del pensiero in essa esercitato vi è la limitazione che il soggetto non produce, ma «sente» come «passività» (Leiden).

Ora, se tutto cio’ è compreso nella determinazione della filosofia come Selbstgefühl, è sempre in rapporto a tale determinazione che Novalis tenta di mostrare come essa debba essere distinta dalle singole discipline, che egli designa (in modo piuttosto ambiguo rispetto alle argomentazioni da egli condotte in precedenza) come suo ‘prodotto’. Leggiamo il passo per esteso: «La filosofia è originariamente un sentimento. Le intuizioni di questo sentimento vengono comprese dalle scienze filosofiche. (...) Distinzione della filosofia dal suo prodotto - le discipline filosofiche» (loc. cit., p. 72).

Novalis cerca di venire a capo di questa connessione tra attività e passività, sentimento e riflessione, esaminando la struttura di quella che egli chiama la Urhandlung con cui l’io pone se stesso. Nell’interpretare il primo Grundsatz della GWL, egli cerca di dimostrare come in realtà l’io, per porre se stesso, debba già presupporre la connessione con un non-io (secondo Grundsatz), e come siffatta connessione presupponga a sua volta necessariamente una «sfera» che l’accolga (terzo Grundsatz).

Cosi’ facendo, egli mostra l’impossibilità d’intendere la relazione fra i tre principi come una sequenza seriale, evidenziando come essi debbano essere compresi come articolazione logica-linguistica di un atto che li comprende simultaneamente in sè: «L’atto, con cui l’Io si pone come Io, dev’essere connesso con l’antitesi di un Non Io indipendente e con la relazione a una sfera che l’accolga» (fr. 8, p. 65).

Di qui, non solo sarebbe possibile ricavare le critiche cui lo stesso Fichte sottopose la forma espositiva adottata nella prima Darstellung della sua WL, e dunque dedurre la necessità di una dottrina della scienza «nova methodo». Novalis spinge la sua riflessione ancora piu’ oltre, e cerca di mostrare come alla radice della Urhandlung dell’io debba essere posto un principio ancora piu’ profondo, che Novalis chiama col nome di «vita» (Leben). L'esame di quest’ultimo passaggio ci ricondurrà laddove avevamo cominciato, cioè alla determinazione della filosofia a partire dal suo ‘limite’.



Gaetano Rametta - ricercatore Università di Padova
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