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[RULE] Storie rotonde come monete [RULE]
Gian Antonio Stella, inviato del Corriere della Sera, nel suo ultimo libro-saggio "Schei" passa in rassegna, come fossero le api di un prospero alveare, i multiformi addendi di un territorio prodigio: il mitico Nord est e i protagonisti del suo boom economico. Un catasto delle contraddizioni, costruito con avvertita tecnica giornalistica...

C'è un prima ed un poi, nell'immagine di sé che il cosiddetto Nordest suggerisce al resto del Paese. Negli ultimi mesi questa terra, feconda di industriali in perenne surmenage lavorista e di ex contadini proiettati in Welfare personalissimi quanto minuscoli orti, ha suscitato un boom d'interesse a memoria dei più inaudito. Il punto di svolta, naturalmente, è rappresentato dall'esplosione, in una delle zone più opulente del Paese, di una protesta sociale senza precedenti, e senza precedenti in quanto protesta dei ricchi. La Lega di Bossi, dopo aver brandito come un efficace randello la parola d'ordine secessionista, è riuscita quasi da sola a trasformare questa area in un'emergenza nazionale che sembrerebbe lì lì per saltare in aria: in effetti in Italia è quasi accaduto negli anni Settanta, ma a Reggio Calabria.

Rivolta fiscale, federalismo, indipendenza, «Roma ladrona». Urla di guerra che nell'immaginario collettivo ormai caratterizzano l'area del benessere diffuso quanto denotano l'aggressività demagogica del Carroccio. E proprio in questa esplosione di interesse, per certi versi ambigua perché motivata dalle contingenze politiche se non elettorali, si inserisce il libro «Schei. Dal boom alla rivolta, il mitico Nordest» di Gian Antonio Stella. Anzi il lavoro del giornalista del Corriere della Sera, 43 anni è certo il primo di vasto respiro da quando il vento del Nord, rimodellato dal successo in senso antipauperista, spira prepotentemente sui palazzi di Roma. Lo sviluppo del Triveneto negli ultimi anni è stato vorticoso, travolgente, apparentemente disordinato. Così almeno appare il Nordest agli osservatori digiuni: un affastellarsi inesauribile di performance statistiche strabilianti, di imprese collocate in aree periferiche eppure presenti con i loro prodotti su tutti i mercati del mondo, di plurimi aneddoti sull'ex emigrante che scopre l'America nella sua terra d'origine. Un bazar che ai neofiti appare di ostica interpretazione, persino di incerta delimitazione geografica.

Che pianeta è quello sul quale i giovani stanno in fabbrica per 10 ore al giorno, sono avviluppati in un'etica del lavoro più stringente di una religione, e si affacciano alle macchine utensili a controllo numerico a 14 anni, perché tanto «studiare non serve»? E quali denominatori legano fra loro aree - il Veneto, la Venezia Giulia, il Trentino - che sono investite insieme dall'interesse collettivo per il Nordest, ma che non condividono comuni matrici storiche? Aderendo in modo quasi camaleontico alla natura sfuggente del suo oggetto, anche il libro di Stella è uno sterminato bazar di statistiche mirabolanti, di self made man bonari e di storie rotonde come gli «schei» di cui da queste parti sono immancabilmente gonfi i portafogli.

Non che il Veneto, cuore del Nordest, nella sua intima e reale essenza sia accostabile alla baraonda pur ordinata di un emporio. Nient'affatto. Già i lavori dei vari Diamanti, Franzina, Isnenghi e Lanaro, per citare solo alcuni studiosi già in odore di enciclopedia, hanno messo in luce le origini sociologiche, storiche, culturali su cui l'attuale boom si andato innestando: la tradizione industriale ottocentesca, le dinamiche politiche di una società di piccola e media impresa, la durevole egemonia clericomoderata, il policentrismo territoriale, il significato sociale ed economico dell'emigrazione. Del resto a chi fra i lettori si accosti al fenomeno come ad una scoperta postelettorale, quelle matrici poco importano. E' l'elenco delle mirabilie che affascina, il catasto delle contraddizioni che suscita interesse. E allora Stella registra, annota, postilla, cita, narra, ironizza. Un libro costruito con avvertita tecnica giornalistica, il suo. La firma del Corriere non impone mai una sua sintesi interpretativa. Semmai, come insegnano i manuali della professione, prende per mano il lettore con il sapiente accostamento dei dati, la forza allusiva commenti, le osservazioni degli opinion leader.

In questa operazione di mimesi, Stella trova un alleato occulto proprio nella natura apparente del Nordest. E a questo proposito è illuminante una citazione del poeta vicentino Fernando Bandini, che l'autore dispone sul campo della sua indagine (pagina 22) senza soffermarsi: il Veneto «non è un modello - dice Bandini e Stella riporta - è un risultato. Lo puoi pure ammirare, ma nessuno l'ha programmato. Non è imitabile, non è esportabile: che razza di modello è?» Ecco. Il «mito» che viene dipinto con abilità da «Schei», in fondo rimane un alveare riprodotto senza la dichiarazione di una ratio, il quadro di una progressione aritmetica di innumerevoli forze individuali, la somma-rassegna di addendi i più diversi. E ritorna l'immagine del bazar. Che qui è anche un metodo di esposizione dotato di fascino: lì nasce la godibilità senza tornanti della lettura, il carattere avvincente, documentaristico, della narrazione, l'esibita obiettività. Con qualche problema di spaesamento, tuttavia, per il lettore che non avverta il peso dei fattori storici di lungo periodo. Un esempio? Una tesi che emerge con chiarezza dal libro di Stella è la mancanza di gerarchia territoriale fra le città che innervano il tessuto socio-produttivo triveneto. Non c'è una capitale riconosciuta, in questa terra dei mille miracoli economici.

Ma il lettore come ci arriva? Rovistando fra le merci esposte in bell'ordine, naturalmente. Così a pagina 130 il sindaco di Venezia Massimo Cacciari dichiara che «una buona fetta dell'economia regionale non sarebbe neanche concepibile senza Venezia». Ma a pagina 132 il presidente degli industriali veneti Mario Carraro, padovano, giura di credere in Venezia come «capitale "virtuale" dove concentrare il cervello dell'area. I bracci operativi, invece, li vedrei bene sparsi sul territorio: quello industriale a Vicenza, il commerciale a Padova, l'agricolo e il fieristico a Verona». Poi il lettore fila dritto a pagina 147 e sorprende Alessandra Guerra, ex presidente regionale del Friuli Venezia-Giulia, nell'asserire che «la capitale del Nord est può essere solo Trieste». A pagina 156, in compenso, il presidente della Provincia trentina Carlo Andreotti afferma inorridito: «E' questo che vogliamo? Diventare un sobborgo di Verona?» Mentre subito dopo il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder si chiede preoccupato: «Stare sotto Venezia anziché sotto Roma per noi non cambierebbe niente. Anzi».

Capitolo dopo capitolo, Gian Antonio Stella passa così in rassegna, come fossero le api di un prospero alveare, i multiformi addendi di un territorio-prodigio. E poco incide che capitolo dopo capitolo gli addendi mostrino via via il segno negativo: crollo della religiosità, devastazione del territorio, insofferenza verso la burocrazia, rivolta fiscale. Così alla fine il libro sorvola l'addendo negativo finale, l'ipotesi suggestiva anche sul piano terminologico di una «secessione preteritenzionale». L'autore di «Schei» la illustra affidandosi all'autorità del sociologo Ilvo Diamanti: «Un'enormità come la secessione - spiega lo studioso - diventa spunto per il talk show. Un'idea bislacca come la Padania diventa buona perché va in tivù». Rischiamo un conflitto secessionista preterintenzionale? stuzzica Stella. E Diamanti replica: «Esatto: preterintenzionale». Messa lì come chiusa ad effetto, la tesi del secessionismo preterintenzionale di Diamanti (o di Stella?) rimane un po' evanescente. Il sacrificio dell'ultimo addendo.

Gian Antonio Stella, «"Schei". Dal boom alla rivolta: il mitico Nordest», Baldini & Castoldi, Milano 1996, pp. 285, lire 26.000.

Maurizio Caiaffa

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