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redarrowleft.GIF (53 byte) Musica Novembre 2000  
 


Beethoven non ripete

Musicista senza compromessi, l'artista tedesco si occupò solo una volta di lirica. E con non poca sofferenza. Nacque così il "Fidelio". Che, neanche a dirlo, più che per la parte cantata diventò famoso per i raffinatissimi pezzi musicali

Il dramma "Leonore" di Jean-Nicolas Bouilly che inneggia al predominio delle forze del bene su quelle del male era assai rappresentato nel periodo della rivoluzione francese e nel successivo decennio ed ha interessato musicisti come Ferdinando Paer che ha composto l'opera "Leonore", Giovanni Simone Mayr con la sua composizione "L'Amor coniugale" e Ludwig Van Beethoven con "Fidelio ", l'unica sua produzione per la scena lirica. Dramma sofferto nella sua composizione data la scarsa familiarità di Beethoven con le esigenze del teatro ed il trattamento delle voci che si contrappone alla gran maestria nella stesura della parte orchestrale.

La prima versione di "Fidelio" nacque su un libretto di Joseph Sonnleithner suddiviso in tre atti che ricalcava assai fedelmente il dramma di Bouilly; l'opera andò in scena il 20 novembre 1805 al Teatro "An der Wien" di Vienna ed ebbe solo tre rappresentazioni; ripresa con alcuni tagli il 29 marzo 1806 fu subito ritirata dall'autore per forti dissensi con il direttore del teatro. Finalmente nel 1814 Beethoven, lasciatosi convincere da alcuni artisti, ridusse l'opera da tre a due atti dando quindi la versione definitiva che andò in scena il 21 maggio 1814; il libretto per questa ultima edizione fu ampiamente rimaneggiato da Giorgio Federico Treitschke.

A causa di questo cammino così sofferto nacquero le diverse sinfonie dell'opera, pezzi di grande e raffinatissima musica che vengono spesso compresi nei programmi di concerti sinfonici. La prima scena dell'opera ha il carattere di un quadretto di commedia borghese con le schermaglie amorose di Jacquino e Marcellina ma dall'entrata di Don Pizzarro il dramma prende vigore per sfociare negli squilli di tromba del bellissimo finale che decretano la fine dell'oppressione di Florestano ed il suo ricongiungimento con la fedele ed eroica sposa Leonore.

Lo spettacolo rappresentato a Rovigo è frutto di una collaborazione con il Teatro Verdi di Pisa, il Teatro La Gran Guardia di Livorno ed il Teatro Sociale di Como; fatto questo lodevole perché in tal modo è possibile presentare eccellenti edizioni di opere di non semplice rappresentazione e si dà modo di creare delle compagnie ottimamente affiatate. Leonore era Ekaterina Ikonomu, artista di grande esperienza che ha affrontato il difficile ruolo con determinazione e vocalmente ineccepibile, rendendo il personaggio in tutta la sua umanità ed esaltando la sua fedeltà. Florestano era Albert Bonnema, tenore di netta estrazione wagneriana molto ben calato nel suo ruolo sia dal punto di vista vocale che scenico; Iyrki Korhonen ha dato vita al personaggio di Rocco esprimendone tutta l'umanità pur nella inflessibilità del suo lavoro con una voce di notevole volume e ben timbrata.

Il cinismo e la cattiveria di Don Pizzarro sono stati ben resi da Stephen Owen dotato di mezzi vocali assai interessanti e di eccellente presenza scenica. Buone le prestazioni di Alexia Volgaridou nella parte di Marcellina, di Antonio Feltracco in quella di Jaquino e di Filippo Bettoschi in quella di Don Fernando. Piero Bellugi ha diretto con convinzione l'Orchestra Città Lirica riscuotendo molti meritati applausi dopo l'esecuzione della Leonora n. 3 ; il suo lavoro è stato analitico e preciso ed ha messo in luce la bellezza di questa partitura. Il coro Città Lirica ha ben figurato sotto la direzione di Gian Paolo Mazzoli. Pier Paolo Pacini ha curato la regia e la scenografia;una bella prova la sua sia nella essenzialità delle scene che nell'accurato studio dei movimenti degli interpreti.

Nel primo atto una parete nuda nella quale erano situate numerose aperture dalle quali uscivano i prigionieri tagliava diagonalmente il palcoscenico chiudendosi sulla parete di fondo e rappresentava sia la stanza di Rocco che il cortile dove i condannati prendevano un breve riposo. Nel secondo atto il fondale, che delimitava la cella di Florestano era tagliato da un piano inclinato che rappresentava il collegamento tra il piano terra ed il sotterraneo ove era segregato il prigioniero; molto bello il taglio di luce che illuminava alternativamente Leonora e Rocco durante la scena dello scavo della fossa. Di grande effetto il finale con il coro schierato su un'ampia gradinata in abiti da sera ed i protagonisti situati a gruppi su piedistalli il più alto dei quali era destinato a Don Fernando in segno del suo potere. Spettacolo raffinato e gradito dal pubblico non numerosissimo.

L'opera era in lingua originale ma con gli utilissimi sovratitoli realizzati dal teatro di Pisa a cura di Alberto Batisti e di Maria Valeria Della Mea.
Il prossimo spettacolo è di grande interesse: verranno rappresentati due atti unici mai eseguiti in tempi moderni. Si tratta de "Il Divertimento dei Numi" di Giovanni Paisiello e "La romanziera e l'uomo nero" di Gaetano Donizetti. Si avrà quindi la possibilità di arricchire le proprie conoscenze nel campo operistico.

Luciano Maggi

 

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