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redarrowleft.GIF (53 byte) Arte Novembre 2000  (a cura di Giovanna Grossato)


L'arte ha fatto click

Ha fotografato cose e persone per quasi un secolo. Ma, spiega Placido Barbieri, ha soprattutto conosciuto, analizzato e interpretato quello che vedeva. Perché, dice, sei tu il padre-padrone dell'immagine che inquadri dentro l'obbiettivo. E se è vero che un'immagine a volte vale mille parole, quelle mille parole le devi prima imparare

Far parlare le immagini può essere curioso, interessante se chi dà loro voce è chi le pensa, le modella e le crea. A casa di Placido Barbieri potrebbero parlare anche solo le pareti: la quantità e la continuità di foto appese rendono impossibile anche solo intravedere la carta da parati. Il fluire di immagini è interrotto qua e là da qualche scultura. Impossibile non guardarsi intorno. Tra le fotografie spicca un bellissimo ritratto; "quello è Gino Soldà", la voce è di Placido Barbieri, fino a poco prima impegnato in una telefonata, "grande alpinista, grande uomo".
Classe 1916, artista Fiap (Fédération Internazionale de l'Art Photographique) dal 1960, una lunga serie di premi all'attivo, innumerevoli mostre e collaborazioni dal 1953 ad oggi, riconoscimenti anche all'estero, Barbieri sta guardando l'immagine di Soldà. "Ricordo bene quel momento", mi dice sedendosi, "eravamo prima della salita che porta a Punta Kennedy, sul Cornetto; tutto d'un tratto il viso di Soldà cambiò espressione… era come teso, prima di affrontare la salita; io ho voluto cogliere quell'espressione; tre scatti, tutti ben riusciti". Questione di momenti. Un attimo di esitazione e quell'espressione si sarebbe persa nel fluire del tempo.

"Nella fotografia non ci si ferma solo al ricordo di una visione, ma si vuole una propria interpretazione del momento" spiega, e aggiunge: "la fotografia mi aiuta a vedere, ricordare, conoscere persone e cose. Superare la superficie. Appagare la mia fantasia". Ricondurre Barbieri nei binari di una normale e piatta discussione di tecnica fotografica sembra ormai improbabile. Fortunatamente.
Spazio, tempo e conoscenza diventano i veri personaggi dell'appassionato racconto di Barbieri, una lunga avventura: si parte dalla prima macchina fotografica comprata per 70 lire negli anni '20, si passa per l'incontro con Bruno Bulzacchi, "il mio maestro, un uomo onesto e leale", per continuare tutt'ora, nel duemila.

"Se non c'è cultura non c'è fotografia", Barbieri ha distolto gli occhi dall'immagine dell'amico Soldà. Il discorso ritorna al presente. "La fotografia è soprattutto conoscenza - spiega - conoscenza tecnica e conoscenza di ciò che devi fotografare, si tratti di un uomo, di una città, di una montagna … Un viaggio, una vacanza, un 'idea diventano motivo di conoscenza, l'incontro con una persona diventa un'analisi, si può scrutare la natura nel suo intimo trovando un mondo nuovo". Sorride, Barbieri, e definisce il normale turista con la sua macchina fotografica uno "strucabotoni, capace solo di usare 'el lanpo'". "A queste persone", continua, "manca la conoscenza. Per esempio, dopo aver deciso di fotografare la mia Vicenza, l'ho percorsa in lungo e in largo, l'ho riletta, l'ho rivista, l'ho riscoperta, guardandola con occhi nuovi".
E' effettivamente affascinante vedere che alla fine "la fotografia è una continua ricerca, e le attrazioni sono immense. Con la macchina fotografica non si è mai soli".

"Tutto nasce da un'idea creatrice, un'intuizione", prosegue Barbieri, "l'idea diventa soggetto, la resa del soggetto deve essere sottoposta ad un'analisi tecnica, grammaticale, e infine si passa alla composizione, che aiuta a porre il soggetto nella migliore posizione grafica per la sua massima valorizzazione". Placido Barbieri sembra dunque dirci che la fotografia artistica è retta da una dinamica paradossale, risultato del confluire della conoscenza tecnica nell'idea, del calcolo razionale nell'immediatezza irrazionale dell'intuizione. Significativamente, infatti, dice: "Un'immagine vale più di mille parole, ma solo se chi la produce conosce ed utilizza mille parole". Silenzio. Barbieri comincia a sfogliare una serie di ritratti, "immagini che più mi piace fare e rivedere", tutti in bianco e nero. "Questo è Vedova, un grande artista, guarda che occhi; questo è Scapin, questo Neri Pozza"… Il ricordo subentra nuovamente al presente.

"La fotografia ti porta a conoscere tante persone", spiega, "più o meno note. Ti permette di conoscerle fino infondo. Come ho già detto, non fotografo nulla e nessuno prima di averlo conosciuto profondamente". La conoscenza per motivi professionali, poi, dove può, diventa amicizia. Sincera, duratura. Artisti, poeti, pittori, scultori si intrecciano indissolubilmente nella vita e nei ricordi di Barbieri, che risale via via nuovamente a quegli anni '20 della sua prima macchina fotografica, anni in cui scoprì l'amore per l'arte "collezionando cartoline di opere d'arte. Costavano 20 e 30 'franchi' che risparmiavo meticolosamente, Poi, fuori da scuola correvo a comprarle". Interessante come Barbieri parli molto volentieri del passato in dialetto, quasi lo sentisse più suo, più intimo.

"Il fotografo è vero e proprio padrone della sua opera", dice Barbieri in italiano, il suo sguardo si è spostato dai ritratti sparpagliati sulla tavola. Ora è di nuovo il presente.
"Il fotografo", continua, "è padrone del punto di vista, della prospettiva determinata e scelta con significato e non a caso, come invece fanno 'i strucabotoni'. Come il pittore, il fotografo artistico sceglie, valuta e soppesa colori, profondità, incisione. La fotografia è un mezzo espressivo, da essa deve emergere chiaramente la personalità di chi l'ha fatta, proprio come nel modo di parlare di una persona noi riusciamo, più o meno, a farci un'idea della sua personalità. E poi la foto è di chi la vede, di chi la trova. E' sua e di nessun altro".

Ritorna a cercare in un fascicolo di fotografie, ne prende una, rappresenta una scultura femminile: "Ecco, questa è 'L'adultera' di Barbaro Remigio da Burano", la presenta in dialetto, Barbieri. Ricorda: "Erano i tempi in cui lavoravo con il mio maestro, Bulzacchi. Naturalmente io lo guardavo mentre fotografava, per imparare. Quello che inizialmente mi stupì era che anche lui facesse così con me, suo allievo. Proprio così è successo con 'L'adultera': il soggetto l'avevo suggerito io. 'Tu hai avuto l'idea, tu fotografi, è inutile un doppione. La foto è di chi la vede', proprio così mi disse".

Silenzio. Barbieri inizia a raccogliere le foto sparse sul tavolo, le mette via, ordinatamente. La chiacchierata è finita. L'impressione è quella piacevole di aver fatto una lunga passeggiata nel tempo e nei ricordi di un uomo, di un artista, che ci ha accompagnato, per dirla con Borges, nel suo personale "giardino dei sentieri che si biforcano".

Francesco Zanella

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