[Attualitą]
MACARONÌ  e
VU' CUMPRA'


Duecento anni di mobilità

La prima fase dell'emigrazione di massa

Nei primi decenni dell'Ottocento si delinearono le zone geografiche di maggior deflusso dall'Italia e le attività cardine di una emigrazione sempre più rilevante: quella degli ambulanti, dei girovaghi e, in qualche caso, persino dei ciarlatani.

Figurinai lucchesi, distributori di stampe sacre veneti e trentini, venditori di stoffe e di tessuti della Lunigiana, mozzi e marinai liguri, suonatori d'arpa di Viggiano (Potenza), "catenoni" di Borzonasca (Genova) e altri mendicanti professionali dell'intera penisola furono precursori della futura emigrazione di massa.

Le attività girovaghe e marginali così come l'ambulantato professionale agirono insomma da palestra della grande emigrazione proletaria di massa e ne prefigurarono per molto tempo i destini.

Le definizioni e i nomignoli con cui, per una reazione razzista, gli italiani vennero a lungo chiamati all'estero suonatori d'organetto, ritals (saltimbanchi), gringos, dagoes (termine spregiativo inglese che indica i "latini" in generale), ecc. su su sino al cumulativo e spregiativo macaroni dipendevano molte volte da questa identificazione arbitraria e indiscriminata.

Nel remoto Brasile il radicamento iniziale di alcune figure commerciali originarie della Penisola guadagnò a tutti gli italiani l'appellativo di carcamanos (quelli che rubano sul peso) con cui anni più tardi sarebbero stati accolti persino i nostri contadini e coloni agricoli.


Il mestiere dell'emigrante
Nell'arco di oltre cent'anni quasi ogni genere di lavoro o di attività è stato sperimentato dagli emigranti italiani.

Questi, in generale contadini negli anni della grande fuga dalle campagne di fine Ottocento, cominciarono gradatamente a sfruttare all'estero una serie di competenze professionali acquisite o magari appena sbozzate in patria.

Sinonimo agli inizi di generica manovalanza e di forza lavoro non qualificata (unskilled), nelle Americhe e in molti paesi europei i lavoratori italiani si cimentarono via via con una varietà di mestieri la cui pratica aveva le sue origini o nella multiforme attività contadina delle "piccole industrie" rurali o nelle attività artigianali urbane o, anche, in più antiche specializzazioni lavorative su basi regionali e locali (gli scalpellini e gli operai tessili biellesi e di Schio, i terrazzai e i mosaicisti friulani, i fornaciai bellunesi, i minatori umbri e delle valli bresciane).

Molte di queste specializzazioni erano funzionali, non meno delle attività poco o nulla qualificate, alle esigenze dell'economia dei paesi d'immigrazione; e quindi gli italiani, di volta in volta, si concentrarono (o si dispersero) nei cantieri edili e a ridosso delle nuove linee ferroviarie, lungo le strade di grande viabilità, nelle cave e nelle miniere, nelle grandi e nelle piccole officine e naturalmente nelle campagne del nuovo continente.


I movimenti emigratori: numeri e regioni

L'emigrazione italiana si sviluppa a partire da aree provinciali o regionali con un andamento che ne segnala i caratteri diffusi, ma che segue scansioni e ritmi ben identificabili.

In origine ai flussi liguri e piemontesi si sovrappongono, durante gli anni di esordio dell'esodo in massa (le decadi 1870 e 1880), quelli in genere settentrionali dei lombardi e delle popolazioni del Nord-Est, dove prevale l'emigrazione di tipo temporaneo.

Già intorno alla fine del secolo anche di qui l'onda delle partenze diventa permanente e in prevalenza transoceanica che, specie dal Veneto e dal Friuli, si dirigono adesso verso l'America.

Questo continente, e in particolare gli Stati Uniti, diventa ben presto, dopo il 1896, la meta delle correnti migratorie meridionali che si fanno straripanti in età giolittiana, per riprendere subito dopo la guerra sino alla prima chiusura mondiale degli sbocchi migratori.

Tra le due guerre si assesta un modello di espulsione che continua a vedere ai vertici al Nord regioni come il Piemonte, la Lombardia e il Veneto e al Sud la Campania, la Calabria e la Sicilia.

Con l'eccezione vistosa del Veneto, ancora in testa alle graduatorie di espatrio, il flusso ritorna ad essere in larga prevalenza meridionale dopo la guerra e sino ai primi anni Sessanta.

ESPATRI DALLE REGIONI ITALIANE








1876 - 1900                                                  1901 - 1915







1916 - 1942                                                  1946 - 1961


     EMIGRAZIONE ITALIANA 1876 - 1976

     


L'emigrazione europea degli anni Cinquanta

L'ultima fase di emigrazione dall'Italia, quella verso i paesi più sviluppati del Centro e Nord Europa, fu preparata da una graduale ripresa di vecchie abitudini emigratorie interrotte dalla guerra appena conclusa.

Fu però solo al indomani del 1948 che, in forza di accordi bilaterali stipulati dal governo italiano con paesi come la Svizzera e il Belgio, ebbe luogo l'avvio di un primo consistente ciclo di emigrazione operaia, che imboccò la via dei bacini minerari e carboniferi della Svizzera, della Francia e del Belgio, dove moltissimi italiani trovarono impiego come minatori, andando incontro anche agli incerti e ai lutti di un mestiere per definizione pesante e pericoloso.

Negli anni immediatamente successivi, con la nascita del MEC e con l'ascesa economica della Germania Occidentale, rinata dalle ceneri della guerra, si verificò un ennesimo nuovo orientamento dei flussi in uscita dal nostro paese, che si indirizzarono essenzialmente verso le regioni del miracolo economico tedesco.

Protagonisti ne divennero, ancora una volta, uomini e donne di estrazione per lo più rurale, ma destinati a trasformarsi in forza lavoro industriale soprattutto nelle grandi fabbriche tedesche e svizzere.

E i treni degli emigranti per l'Europa e le loro valigie di fibra o di cartone divennero l'emblema di un fenomeno che pareva non dovesse finire mai e che sembrava anzi connaturato alla fisiologia economica contemporanea.


Lavoratori extracomunitari: i precursori

Sono gli immigrati cinesi i primi ad arrivare in Italia. Il primo nucleo risale al periodo fra le due guerre, al quale segue una seconda ondata intorno agli anni Sessanta.

La colonia cinese si ingrandisce via via che le attività commerciali si fanno più articolate (ristoranti, pelletterie), richiamando così nuova manodopera.

Negli anni Settanta giungono le prime domestiche straniere, fra cui numerose quelle provenienti dalle ex colonie dell'Africa orientale italiana. In questa fase un ruolo centrale è assunto dalle organizzazioni religiose, che incentivano il fenomeno fungendo da tramite fra le famiglie italiane e le future colf.

Negli stessi anni arrivano anche consistenti gruppi di rifugiati politici (brasiliani, successivamente cileni, argentini, vietnamiti).


Gli immigrati in Italia

La distribuzione sul territorio nazionale degli stranieri è riconducibile alla vocazione occupazionale delle diverse regioni. Se punto di approdo sono le grandi città, in seguito gli immigrati si distribuiscono in funzione delle occasioni di impiego e dei legami comunitari (catena migratoria).

Le donne immigrate (eritree, capoverdiane, filippine) si stabiliscono prevalentemente nei medi e grandi centri urbani.

I lavoratori africani sono concentrati nel Nord Italia (Milano, Modena, Reggio Emilia, Torino) e nelle zone agricole del Sud.

Nella Sicilia occidentale c'è una forte presenza di immigrati tunisini.

Gli studenti e i rifugiati politici risiedono per lo più a Roma, Milano e Perugia.

Gli ambulanti, soprattutto senegalesi e marocchini, sono distribuiti sull'intero territorio nazionale.

Africani irregolari (provenienti in massima parte da Ghana, Zaire, Angola) sono presenti in discreto numero a Roma e nelle campagne dell'Italia centro-meridionale.


[Storie che si ripetono] [L'inquietudine delle differenze] [INDIETRO]