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redarrowleft.GIF (53 byte) Arte Settembre - Ottobre  2003 (a cura di Giovanna Grossato)

 

Africa. Capolavori da un continente

 G.A.M. di Torino dal 2 ottobre al 15 febbraio 2004

Dopo tanto Impressionismo, movimento indubbiamente rilevante e per molti versi innovativo del linguaggio artistico dell’Ottocento, ma altrettanto certamente di grande presa sul pubblico, giunge piacevolmente gradita una importante mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Torino sui capolavori del continente africano.

Non solo si tratta, probabilmente, della più vasta esposizione europea di opere assai rappresentative di 3000 anni di cultura dell’Africa, da un millennio a.C. al 1500, ma offre anche un’occasione per verificare quanto ad essa sia debitore il lessico delle avanguardie del Novecento che ne hanno tratto schemi espressivi e formali del tutto nuovi ed estranei ai linguaggi artistici occidentali. Esse definivano quell’arte africana ‘primitiva’, sbagliando in quanto il concetto di primitivismo sottende un’idea di percorso temporale del tutto estraneo a questa cultura in cui opere di straordinaria e “semplificata” qualità formale si succedono nei secoli e nei millenni del tutto indifferenti, nel loro valore rituale e simbolico, allo scorrere del tempo.

Curata da Ezio Bassani e da un comitato scientifico internazionale di esperti,

l’esposizione è suddivisa in quattro sezioni di oltre 400 opere provenienti da collezioni africane, americane ed europee che ne vennero in possesso specialmente dopo le razzie compiute  nel 1887 dal corpo di spedizione inglese. Il suo obiettivo è quello di  cercare di costruire un coerente percorso di Storia dell’Arte africana, senza tacere anche le drammatiche vicende che furono all’origine alla sua “scoperta” e cioè la sistematica spoliazione e la tragedia dello schiavismo perpetrati dall’Occidente.

La prima parte offre panorama di arte antica dei Grandi Regni, stupefacente per la sua sofisticata complessità, assimilabile a quella di altre importanti antiche civiltà e totalmente ignota nella nostra parte del mondo solo fino a poche decine d’anni fa. Si tratta di rare terrecotte della cultura Nok ritrovate nel 1940 nella Nigeria settentrionale,  di bronzi della cultura Ife e del Regno del Benin, di opere in avorio tra cui delle enormi zanne d’elefante istoriate  con eventi riferibili alla vita dei re, di grandi sculture in legno dei Dogon, il popolo della falesia del Mali.

Nella seconda metà del ‘400, contemporaneamente alla scoperta dell’America, l’Occidente europeo e cristiano, specie il Portogallo, giunge anche nell’Africa “nera” aprendovi vie commerciali attraverso le quali le corti, i nobili e i potenti prelevavano le sue ricchezze, a gara nel collezionarne le opere d’arte e l’avorio, nuovo tesoro che rivaleggia con l’oro dell’Eldorado.

Di questa  eccezionale e pressochè inedita raccolta di avori afro-portoghesi si occupa la seconda sezione della mostra esponendo i cucchiai delle collezioni medicee, il Corno della Biblioteca Reale di Torino, le saliere della corte degli Asburgo, gli Olifanti dei re africani dai musei di Berlino, Liverpool e Dresda. Incisioni finissime, gioielli realizzati dagli artisti africani su committenza europea, con iconografie derivanti da incisioni, libri, modelli europei.

La terza sezione ospita, in cinque sale, una raccolta di capolavori dei maestri del XX secolo che agli inizi Novecento “scoprirono” l’art negre e su di essa compirono alcune riflessioni fondamentali; per citarne solo alcuni, la  Testa di donna dagli occhi grandi di Picasso, la Cariatide di Modigliani, la Musa addormentata di Brancusi, la Figura accovacciata di Derain,  Jazz di Matisse, la Figura seduta di Moore,  La creazione del mondo di Leger e, per la prima volta da quasi un secolo, alcune statuette attribuite a Gauguin.  

La quarta sezione della mostra è dedicata a 120 opere prestate da grandi musei europei e nord americani, maschere, statue, feticci del XIX e XX secolo che vennero portati sulla scena internazionale dell’arte specie grazie al mercante Paul Guillaume, attivo a Parigi nel dopoguerra e amico di artisti come, appunto, Modigliani, Picasso, Braque, Derain.

I tre piani del GAM si propongono, insomma,  di ricreare quel particolare senso di fascinoso mistero che promana da questi manufatti e che nasce da una concezione del tempo assai diversa dalla nostra, dominata dall’idea del progresso, della velocità e protesa verso una serie di mete da raggiungere e da conquistare nel minor tempo possibile. Il grande e antichissimo continente africano, al contrario, privo di una lingua scritta e ricco di molte e straordinarie tradizioni orali, considera perfetto ideale di armonia la coesione del cielo e della terra e l’equilibrio tra i vari elementi della natura, di cui l’uomo non è che una delle componenti, all’interno di una concezione del tempo circolare, molto simile a quella degli Egizi (che infatti discendono da antiche dinastie africane). Ciò consente di mantenere attraverso i secoli, in un’assoluta omogeneità di motivazioni etiche, una grande unitarietà di linguaggio pure in presenza di canoni stilistici assai diversi fra di loro ma tali da poter affermare l’esistenza di una koinè che si estende in un arco temporale di tre millenni.

Nella cultura africana, infatti, gli oggetti d’arte sono delle entità a sé stanti che vengono a costituire una sorta legame tra il modo umano e il resto della natura, nel suo passato (gli antenati) e nel suo presente (forze naturali che agiscono in essa) fino ad assurgere e assumere una valenza simbolica ed espressiva di cui raramente si è avuto riscontro in altre culture.

Il catalogo che accompagna la mostra, edito da ArtificioSkira, oltre a quello di Ezio Bassani, raccoglie testi dei maggiori esperti internazionali in materia: da Stefan Eisenhofer, a Jean Louis Paudrat a Anne Bouttiaux, a Ferdinando Fagnola; inoltre lo scrittore africano Amadou Kourouma, vincitore in Italia del recente premio Grinzane Cavour, ha accettato di scrivere un testo per la mostra, articolato, al modo dei cantastorie tradizionali africani, in cinque véillés, una introduttiva e una per ciascuna sezione.

Giovanna Grossato

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