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redarrowleft.GIF (53 byte) Primopiano ottobre 2003  
 

Lettera a un insegnante di buona volontà

Piero Morpurgo, insegnante e storico vicentino, ha scritto una “lettera aperta” ai suoi colleghi professori. Per dire loro che non tutti i guai della scuola sono colpa di governi e burocrazia. Ma è anche loro. Perché se c’è chi fa il suo lavoro con passione e impegno, molti altri vivono alla giornata. E forse è arrivata l’ora di cambiare le regole di un mestiere trascurato

Cari colleghi, leggo spesso i vostri interventi e condivido moltissimo quel che scrive Lodoli (insegnante di scuola superiore e scrittore: ndr)

http://www.gildatriveneto.it/parole_sante/lodoli.html ; http://www.azionecattolica.it/settori/MSAC/sezione/zaino/articoli/850_classe_club; http://members.xoom.virgilio.it/autoriforma/sommario.asp.

Mi tormenta un dubbio: stiamo dicendo davvero tutto? I disagi della scuola sono tutti imputabili ai governi o ai sindacati, o ai burocrati che ci sommergono di norme assurde? O forse la colpa è anche della nostra reticenza?

Rileggete il mirabile articolo di Louis de Bernieres: I professori vivono all’inferno  pubblicato su ‘La Repubblica’ il 4 aprile 2001. Allora mi riempii di entusiasmo aspettando una valanga di consensi su quella denuncia di una scuola fondata sulle ‘anzianità di servizio’. Non accadde. Perché? http://www.pavonerisorse.to.it/autonomia/bagni.asp  http://art.supereva.it/eratourania/segmenti_bastoncini.asp?p  

Ora considerate se l’assenza di quel rispetto sociale che un tempo esisteva nei confronti degli insegnanti non nasca anche da una pavidità nel denunciare quei ‘vizi’ che minano la credibilità stessa della scuola. Si tratta di atteggiamenti talora puerili e talvolta esecrabili. Forse è semplice maleducazione l’assegnare al docente di prima nomina il cassetto più scomodo; però è gravissima –anche dal punto di vista didattico- la consuetudine per cui i professori anziani vogliono avere le classi migliori. Da questa soperchieria si dipanano altri arbitri poiché negli istituti scolastici si richiedono i privilegi più bizzarri: il pretendere solo classi quinte (che per un cavillo giuridico possono essere anche di 8 persone) rifiutando le affollatissime e problematiche classi prime di 30 alunni; il non avere allievi disabili o stranieri (vergogna!); l’insegnare solo per 12 o 14 ore quando l’orario di servizio sarebbe di 18. Si tratta di atti di nonnismo che denotano una concezione del mestiere del tutto distante dall’idea di essere al servizio degli studenti e della società (cfr. Marco Lodoli http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=275).

Questo meccanismo una volta innescato diventa implacabile e produce a cascata effetti dannosi sicché vi sarà: chi a bella posta perde tempo e impiega anche 40 minuti “per mettere a posto” il registro personale; chi presenta ogni anno sia la programmazione scolastica sia la relazione finale ristampando sempre lo stesso testo trascurando di considerare le molteplici diversità dei giovani; chi alle riunioni del collegio docenti o del consiglio di classe ascolta solo il ticchettio del proprio orologio pronto a scappare; chi non prepara mai una lezione tanto…. e chi non legge mai un libro e guarda sempre e solo il quadrante del proprio orologio e chi proprio per non voler leggere (e scrivere) presenta una nuova adozione di un libro con il modulo prestampato della casa editrice, chi terrorizza i ragazzi mettendo sfilze di votacci tutto l’anno (così stanno buoni) per poi tramutare tanta severità in promozioni benevole; c’è poi chi, per tutto l’anno, non fa lezione e mette sempre 8 (così stanno buoni).

Il docente pretende di agire sempre e solo come un cavaliere solitario. Ben chiuse sono le porte delle aule per non rischiare di incappare in suggerimenti e osservazioni che dovrebbero dar gusto alla vita degli insegnanti. A conferma di ciò c’è l’incredibile fatto per cui in 15 anni di insegnamento non ho mai assistito ad una lezione di un collega!! Da studenti, genitori e colleghi si possono collezionare immagini di una scuola che spesso non può meritarsi il rispetto dei cittadini. Certo non è la regola. Per fortuna. Si obietterà che si tratta di casi isolati o che esistono istituti che non sono afflitti da queste piaghe. E’ vero esistono progetti lungimiranti come quello dell’Istituto di Monterotondo che ha anche saputo affrontare le ragioni del disimpegno dei docenti http://www.edscuola.it/archivio/ped/progetto2002.html .

E’ vero che esistono professori che sono rigorosissimi nel loro mestiere, è verissimo e ne conosco tantissimi, ma non basta. La linea di controllo è debole, debolissimo l’autocontrollo. In realtà il malcostume è profondo e diffuso (che dire del docente che adotta per le sue classi i libri che sono previsti per il figlio in modo da ottenerli gratuiti e risparmiare?). Si tratta di devianze che nascono dall’aver delineato un sistema di istruzione per cui l’insegnante limita la sua presenza all’interno dell’edificio scolastico allo stretto indispensabile. Così, a poco a poco, si è imposta l’idea per cui chi insegna sta a scuola una parte minima della giornata lavorativa. Da questo presupposto discende la strana convinzione per cui a scuola debbono studiare solo gli studenti mentre per gli insegnanti le aule non sono un luogo di studio. Anzi in certi casi i docenti non studiano affatto e non si recano nemmeno in biblioteca cosicché le aule vedono l’azione di ‘interpreti’ e di ‘ripetitori’ dei libri di testo, azione questa che è ben diversa dall’essere professori.

Non c’è dubbio che l’essere docenti sia un atto di coraggio. Tuttavia oggi si premia la mediocrità che vuol dire promuovere tutti. Ci vuole coraggio per la scuola cfr. http://www.pianetascuola.it/resonline/RES_24/01_lodoli_sacchi_a.html . In particolare sarebbe necessario mirare a due obiettivi: 1) essere insegnanti dovrebbe comportare il tempo pieno e l’incompatibilità con le attività liberoprofessionali il che significa che la professione docente non può servire da maschera per altri lucrosi impieghi, non può e non deve coprire doppi lavori e impieghi che evadono le tasse. Su questo tema basterebbe seguire l’esempio della riforma Bindi per  il Sistema Sanitario (cfr. art 15 in http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/99229dl.asp ): si trattò di un provvedimento che pose fine a gran parte delle malversazioni. In ogni caso il tempo pieno non impedirebbe ai professionisti di insegnare part-time. 2) per insegnare a scuola nella società contemporanea occorre studiare tanto e questo vuol dire che lo Stato (e le Regioni) debbono concedere agli insegnanti congrui periodi di ‘respiro’ in cui il docente potrà tornare a leggere (soprattutto) e potrà e dovrà seguire corsi e lezioni. Infine ci vorrebbe un’ultima dose di coraggio. Poiché non è affatto detto che un buon insegnante lo sia a vita, anzi è verosimile che con il passar del tempo diventi un maestro noioso o annoiato, si dovranno concedere valide alternative.

Non sarebbe affatto dannoso per la vita della scuola e degli studenti che, di tanto in tanto, il professore potesse lavorare in musei, biblioteche, gallerie d’arte, laboratori scientifici, aziende pubbliche e private. Insegnare è un mestiere usurante e occorre garantire soddisfazione a chi ha passione. Al tempo stesso occorre rigore per chi considera il mestiere una rendita parassitaria. Si! Bisogna avere coraggio: aprire le porte a chi vuole insegnare davvero –soprattutto ai precari- sbarrarle a chi pensa che l’attività didattica sia una ‘sine cura’. Bisogna affermare che il professore è al servizio degli altri e che lo studente deve poter ragionare con il docente come faceva Don Milani e non può essere lasciato solo come ha rappresentato con efficacia il pittore Antonio Mancini http://www.photo.rmn.fr/fr/f_recherche.html .

La cultura del lamento non rende. E’ ben vero che le Scuole e le Università sono sottoposte a restrizioni finanziarie normative preoccupanti. Ma questi attacchi al sistema dell’istruzione pubblica non possono essere fronteggiati se non si comincia a dire la verità: in scuole e università ho visto sprechi incredibili (in particolare denuncio la totale assenza di coordinamento negli acquisti per le biblioteche sicché lo stesso volume viene comprato decine di volte da istituti o plessi scolastici contigui); nei concorsi per l’accesso all’insegnamento sono state attuate ogni genere di pratiche che mascheravano concorsi poco trasparenti. E come si può oggi accettare la protesta di quei Rettori che nel passato hanno controfirmato atti discutibili? E come si può dar vita a una difesa della scuola pubblica quando tutto il sistema del reclutamento è un intrico di leggi, regolamenti, ricorsi, annullamenti?

La storia della scuola http://www.bibliolab.it/materiali_dida/fonti.asp può essere rappresentata come una continua tensione tra chi si adagia sull’ossequio formale di norme burocratiche e chi prova a trasmettere il senso e la passione degli studi. E ancor oggi questa tensione appare irrisolta eppure basterebbe un po’ di buona volontà.

Piero Morpurgo (http://www.morpurgo.wide.it)

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