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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema aprile-maggio  2003

 I film di aprile-maggio 2003

La vencinquesima ora (The 25th hour) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Edward Norton – Rosario Dawson – Barry Pepper – Philip Seymour Hoffman Sceneggiatura David Benioff Regia Spike Lee Anno di produzione USA 2002 Distribuzione Buena Vista Durata 135’

In un clima da "fine dei tempi" e in una New York distrutta emotivamente dall’attacco alle Torri gemelle, Spike Lee costruisce una storia drammatica ed intensa su uno spacciatore di droga (Norton) incastrato da qualcuno che gli è vicino (un amico? La sua fidanzata?) costretto ad affrontare la sua ultima giornata di libertà prima di sette anni di prigione. Un film doloroso ed intenso in cui Spike Lee ha riversato uno stile visivo straordinario e una piccola summa della disperazione di un momento storico. Lo spacciatore, un ex bravo ragazzo entrato nel mondo dello spaccio di droga per comodità e pigrizia, affronta nel corso di 24 ore tutti gli errori e le stupidità commesse durante la sua vita, confrontandosi con le persone che ama: suo padre, i suoi amici, la sua compagna.

Un misto di preoccupazione e di angoscia accompagna l’uomo nelle sue ultime ore di libertà. Un sentimento che viene comunicato allo spettatore attraverso una profonda empatia. Ma nulla di più perché Norton resta uno spacciatore di morte, e New York la città delle illusioni infrante per ingenuità e crudeltà.

La venticinquesima ora è probabilmente il film più importante e riuscito che Spike Lee abbia realizzato negli ultimi anni. Una pellicola illuminata dalla bravura di Norton e del resto del cast, nonché dalla bellezza della Dawson, recentemente vista in Men in Black 2.

Una storia importante sull’angoscia di un’epoca di incertezza in cui drammaticamente si deve iniziare a riflettere sui propri errori.

The Core {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Aaron Eckhart – Hilary Swank – DelRoy Lindo – Stanley Tucci Sceneggiatura Cooper Layne & John Rogers Regia Jon Amiel Anno di produzione USA 2003 Distribuzione 01 Durata 135’

Pur essendo pieno di "falle" sotto il profilo narrativo e interpretativo con personaggi sopra le righe ed eccessivamente "stilizzati" (il bello, l’intrepida astronauta, il professore cattivo, il professore buono, nonché l’immancabile generale americano) The Core è un film divertente e piacevole, più vicino allo spirito dei film anni Sessanta che alla fantascienza stile Deep Impact e Armageddon.

Diretto da Jon Amiel, già regista di Entrapment, The Core ha i suoi momenti migliori nella fase di preparazione della cosiddetta "terra-nave" per il suo viaggio verso il nocciolo del nostro pianeta che – dopo essersi fermato – sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza del genere umano.

Sebbene eccessivamente lungo e con troppi finali a sorpresa, The Core è segnato da un ottimo ritmo e – soprattutto – da un’ironia di fondo che mantiene sempre alto il tono complessivo della narrazione. Anche se i personaggi non offrono molto in più del cliché va sottolineata la presenza carismatica di Aaron Eckhart (Possession) nel ruolo dell’eroe bellone ed intelligente, nonché l’assoluta inespressività di Hilary Swank (premio Oscar per Boys don’t cry) che risulta particolarmente imbarazzante nei momenti più drammatici della storia.

Grande ruolo hanno, invece, gli effetti speciali come è prevedibile che sia: l’atterraggio di fortuna dello Shuttle a Los Angeles, la distruzione di Roma e San Francisco, le tempeste e il viaggio sotterraneo, rendono comunque spettacolare e intrigante sotto il profilo visivo una storia complessa dove la scienza, ovviamente, va inevitabilmente a farsi benedire in cambio della gloria cinematografica.

L’acchiappasogni (Dreamcatcher) {Sostituisci con chiocciola}

Morgan Freeman – Damian Lewis – Thomas Jane – Jason Lee Sceneggiatura William Goldman Regia Lawrence Kasdan Anno di produzione USA 2003 Distribuzione Warner Bros. Durata 136’

L’acchiappasogni è un film irritante. Nonostante i suoi sforzi, nonostante l’evidente alto budget, nonostante degli attori – sulla carta – di qualità, il risultato è uno strano miscuglio di generi e situazioni che – dopo un inizio promettente – si sfascia in un crescendo di "puzzette" da fare invidia al soggetto de "Il ritorno del Petomane Nero". In fumo – è proprio il caso di dirlo – se ne va tutta la tensione possibile. Al centro della storia sono Jonesy, Henry, Pete e Beaver. Vent'anni fa erano solo dei ragazzini di una cittadina del Maine che avevano trovato il coraggio di reagire alla crudeltà dell'infanzia. Avevano infatti salvato un bambino di nome Duddits, aggiungendo inaspettatamente un quinto amico al loro gruppo. Ma questo atto eroico trasmise loro dei poteri soprannaturali, vincolandoli a qualcosa che andava al di là della normale amicizia. Ora i quattro sono diventati uomini, con vite diverse e problemi diversi, ma ancora ossessionati dal ricordo di quell'episodio, perché quei poteri sono più un peso che un dono. Quando un incidente rischia di uccidere uno di loro, all'inizio non si accorgono che sta tornando a incombere quel mistero che è in qualche modo legato a Duddits. Ma quando si incontrano per l'annuale visita al capanno da caccia nelle foreste del nord, felici di stare insieme, vengono colti di sorpresa dagli eventi. Prima arriva uno sconosciuto, un cacciatore che si è perso, inconsapevole del terribile contagio di cui è portatore. Lo insegue infatti un blizzard, una tempesta maligna in cui si muove qualcosa di molto più inquietante, una mortale forza aliena che si impadronirà di qualcuno di loro quattro e li costringerà a fare di nuovo appello ai poteri che hanno dimenticato di possedere… e a fronteggiare un orrore mai visto.
Un po’ Stand by me, un po’Alien, un po’ E.T. un po’ perfino Independence Day, L’acchiappasogni è una volgarizzazione splatter di quello che potrebbe essere un grande film di fantascienza. Perfino Morgan Freeman, truccato con dei sopracciglioni ridicoli alla Breznev, sembra recitare malissimo. Ma la colpa è soprattutto del regista Lawrence Kasadan che – sebbene autore della sceneggiatura de L’impero colpisce ancora – da regista di film come French Kiss appare assolutamente incapace di gestire gli attori e la loro recitazione fatta di sfumature. In particolare i protagonista Thomas Jane e Damian Lewis offrono un’interpretazione talmente poco credibile, da risultare disturbante e sgradevole.

L’ultimo volo dell’Osiris (cortometraggio abbinato a Dreamcatcher) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Di Andy & Larry Wachovski Regia di Andy Jones

Che cos’è una battaglia con le spade se non una danza di seduzione, nonché una metafora sensuale ed elegante della passione tra un uomo ed una donna? E’ la risposta a questa domanda alquanto retorica che ispira le prime scene de L’ultimo volo dell’Osiris primo dei nove cortometraggi della serie Animatrix in uscita in Dvd il prossimo 3 giugno, solo una decina di giorni dopo l’arrivo di Matrix Reloaded nelle sale il 23 maggio. Scritto dai fratelli Wachovski, L’ultimo volo dell’Osiris è un corto di 11 minuti, realizzato attraverso una spettacolare fusione di animazione CG e ‘anime’ giapponese ad alto impatto visivo. Diretto da Andy Jones che aveva già lavorato per Final Fantasy il piccolo film descrive la disperata battaglia dell’equipaggio dell’hovercraft Osiris quando - venuto a contatto con una macchina che sta perforando il terreno sopra Zion – decide di avvertire a tutti i costi gli abitanti dell’ultimo avamposto. Mentre viene attaccata da un esercito da sentinelle, nel mondo di Matrix, una ribelle inizia la sua corsa contro il tempo per lanciare un messaggio alla roccaforte degli ultimi esseri umani sopravvissuti.

Visto sul grande schermo, L’ultimo volo dell’Osiris segna in pieno la comprensione del perché Matrix è un fenomeno che tutti amiamo: tra battaglie e filosofia, la luminosa sensualità sospesa delle immagini trova il suo doloroso contrasto nel confronto con il mondo delle macchine. Un altro spettacolare viaggio fantascientifico tra la luce e il buio dell’esistenza. Da non perdere! Anche a costo di vedere più volte Dreamcatcher…

Johnny English {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Rowan Atkinson – Natalie Imbruglia – John Malkovich Sceneggiatura William Davis & Neal Purvis Regia Peter Howitt Anno di produzione UK 2003 Distribuzione UIP Durata 100’

Diciamolo subito: Mr.Bean e la parodia non c’entrano nulla. Atkinson – bondiano della prima ora – fa il verso a 007, ma Johnny English è più vicino agli agenti SMART e Edgar Briggs della tv a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, e – soprattutto – al Peter Sellers de La pantera rosa che al cinema parodia di Leslie Nielsen.

Questo si nota soprattutto dallo sforzo registico di Peter Howitt (Sliding doors, S.Y.N.A.P.S.E.) di trasformare la storia dell’ultimo agente segreto rimasto in vita in Gran Bretagna in un vero e proprio film d’azione. Una differenza fondamentale con altri film del genere. In più va detto che Atkinson e Malkovich sono bravissimi nei loro ruoli, soprattutto per la grande qualità di non andare mai sopra le righe. Prendendo di petto i loro personaggi, non scadono mai nelle volgari assurdità all’Austin Powers e non cercano ogni singolo alibi per fare ridere. Eppure ci riescono perfettamente, facendo di Johnny English una commedia, e non il prevedibile clone omaggio ad un genere. In più va detto che la scelta della cantante Natalie Imbruglia dona alla trama un carattere sexy e riuscito.

Shaolin Soccer (Siu lam juk kau) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Stephen Chow – Vicki Zao Sceneggiatura e Regia Stephen Chow Anno di produzione Cina 2001 Distribuzione Buena Vista Durata 87’

Cosa accade se il Kung Fu si mescola con uno sport popolare come il calcio? Cosa può capitare se un film di culto diventa oggetto nazional popolare? Probabilmente qualcosa di molto vicino a Shaolin Soccer scritta, diretta ed interpretata da Stephen Chow che sembra la materializzazione di uno dei tanti cartoni giapponesi ambientati nel mondo dello sport che venivano trasmessi nei primi anni Ottanta dalle televisioni commerciali. Tra effetti speciali "alla Matrix", con un’ironia ed un umorismo di fondo da "cartone animato" per il suo essere visionari e deliranti, Shaolin Soccer è un film estremamente divertente anche se – personalmente – non condividiamo le tante parolacce assenti nella versione originale. Certo, il risultato di fare doppiare la pellicola a tanti calciatori famosi della Lazio e della Roma (il ricavato di tale operazione andrà in beneficenza…) è interessante, perché riesce a ibridare – seppure talora anche a svilire – determinate situazioni non sempre brillanti o perfettamente in sintonia con il gusto occidentale.

Il resto è basato sul medesimo canovaccio dei "Sette contro Tebe" o – restando nella mitologia di stampo cinematografico – dei "Sette Samurai" o – ancora – de "I magnifici Sette". O – addirittura – de I Blues Brothers. Se nel film di John Landis era la "banda" a dovere essere ricostruita, questa volta, invece, si tratta della squadra di calcio che dovrà vincere la Supercoppa di Cina. Tra effetti speciali divertentissimi e situazioni paradossali, Shaolin Soccer è un film originale e spensierato.

La città incantata (Spirited Away) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Film d’animazione – Sceneggiatura e Regia Hayao Myazaki Anno di produzione Giappone 2002 Distribuzione Mikado Durata 120’

La cosa che colpisce di più de La città incantata film premio Oscar del maestro giapponese Hayao Myazaki è la sua seducente capacità di proiettare lo spettatore in un mondo incantato, mantenendo per due ore, il tono narrativo sospeso tra fiaba e messaggio ecologista, nonché spirituale. E’ così che la storia di una bambina finita a "servizio" presso le terme degli spiriti diventa l’occasione per l’incontro con un mondo magico, ma – al tempo stesso – per offrire allo spettatore occidentale un incontro "senza protezioni" con la mistica nipponica. Non serve essere un amante del lavoro di Myazaki per innamorarsi di questo film, così come – al tempo stesso – non è nemmeno necessario ricordare la fascinazione per l’animazione giapponese che i trentenni di oggi, vivevano da bambini. La città incantata rappresenta la possibilità di un sogno eterno di qualsiasi bambino, sospeso al di qua e al di là del tempo, in un confronto continuo tra narrazione e tradizione. La storia è una fiaba tout court: Chihiro è una ragazzina di dieci anni, capricciosa e testarda, convinta che l'intero universo debba sottostare ai suoi capricci. Quando i suoi genitori, Akio e Yugo, le dicono che devono cambiare casa, la bambina va su tutte le furie e non fa nulla per nascondere la sua rabbia. Abbandonando per sempre la vecchia casa, Chihiro si aggrappa al ricordo dei suoi amici e di un mazzo di fiori, ultime tracce della sua vecchia vita. Arrivati in fondo ad una misteriosa strada senza uscita, Chihiro ed i suoi genitori si trovano davanti ad un immenso edificio rosso sulla cui facciata si apre una galleria senza fine che somiglia ad una gigantesca bocca. Con una certa riluttanza, Chihiro segue i genitori nel tunnel. Il tunnel li conduce ad una città fantasma, dove li aspetta un sontuoso banchetto. Akio e Yugo si gettano famelici sul cibo e vengono trasformati in maiali sotto gli occhi della figlia. Sono scivolati in un mondo abitato da antiche divinità e esseri magici, governato da una strega malvagia, l'arpia Yubaba. Yubaba spiega a Chihiro che i nuovi arrivati vengono trasformati in animali prima di essere uccisi e mangiati. Coloro che riescono a sfuggire a questo tragico destino saranno condannati all'annientamento, quando verrà dimostrato che non servono a nulla. Da qui parte l’avventura della bambina capricciosa che – come in qualsiasi romanzo di formazione – viene educata ad una sensibilità nuova attraverso il lavoro per gli spiriti. Tra personaggi buffi e altri affascinanti nel loro essere patetici o divertenti, La città incantata è una favola anticonsumista dal forte tono animalista ed ecologista, che colpisce per la sua miscela di saggezza popolare e sogno infantile, forse, non originale dal punto di vista narrativo, ma letteralmente nuova ed emozionante nella sua proposta visiva al pubblico, con Myazaki che continua a seguire – film dopo film - un percorso narrativo e produttivo esaltante, al punto di diventare senza dubbio in questo momento il punto di riferimento più alto dell’animazione cinematografica mondiale.

Daredevil {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Ben Affleck – Jennifer Garner – Colin Farrell – Michael Clarke Duncan Sceneggiatura e Regia Mark Steven Johnson Anno di produzione USA 2003 Distribuzione 20th Century Fox Durata 103’

Più dark rispetto all’immediato predecessore nel genere fumettistico Spiderman (peraltro come nella natura del personaggio) il Daredevil di Ben Affleck è figlio dell’immaginario visivo della cosiddetta Mtv Generation e del cinema del Kung Fu. Illuminato da una fotografia granulosa, il giustiziere che di giorno fa l’avvocato dei poveri e di notte indossa una tuta rossa aderente per vendicare idealmente la morte del padre pugile è alle prese con la ricerca della propria identità. Cieco a causa di un incidente da adolescente, misteriosamente ha acquisito una serie di superpoteri che ne hanno amplificato sia le capacità sensoriali (ha sviluppato una sorta di radar uditivo) che fisiche. Un po’ playboy, un po’ difensore dei diritti civili il Daredevil di Ben Affleck è un personaggio reso in maniera più leggera e minimalista rispetto agli altri supereroi dello schermo. Opera prevalentemente nel suo quartiere (Hell’s Kitchen a New York) e – soprattutto – ha a che fare con nemici decisamente "sopra le righe". A parte il Bullseye interpretato in maniera da psicopatica macchietta da Colin Farrell, Michael Clarke Duncan (il colossale attore nero de Il Miglio Verde) ritrae Kingpin come un killer che ricorda tanto il Joker di Batman. Un film divertente, di profilo( e budget) più bassi rispetto a quanto sarebbe lecito attendersi, con una strepitosa Jennifer Garner nei panni di Electra, la figlia esperta di arti marziali di un miliardario in affari letali con Kingpin.

Daredevil ha il grande merito di una sceneggiatura piena di battute di grande humour profondamente anni Ottanta, con un simpatico cameo del papà di tutti i Supereroi Stan Lee (è l’uomo che viene bloccato con il bastone ad un semaforo da Daredevil ancora ragazzino) e una serie di personaggi piacevoli. A partire da Jon Favreau che interpreta l’amico avvocato dell’inespressivo Affleck fino ad arrivare a Joe Pantoliano di Matrix che è il giornalista venuto a conoscenza dell’identità di Daredevil. Talora impregnato forse troppo della retorica da fumetti, Daredevil funziona principalmente nella costruzione del personaggio e nel suo sviluppo. In qualche momento è un po’ troppo lacunoso e affrettato. Ma si tratta sostanzialmente di peccati veniali per un film intrigante sebbene non esaltante. Belli e vagamente poetici gli effetti che descrivono il senso radar di Daredevil, mentre un po’ stancanti sono le riprese notturne di New York.

La regola del sospetto (The Recruit) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Colin Farrell – Al Pacino - Bridget Moynahan Sceneggiatura Roger Towne & Kurt Wymmer Regia Roger Donaldson Anno di produzione USA 2002 Distribuzione Buena Vista Durata 115’

Variazione spionistica sul tema del Pigmalione alla ricerca di un pupillo, La regola del sospetto descrive il coinvolgimento di una giovane recluta della CIA in un gioco sporco più grande di lui. Interpretato da Colin Farell, decisamente uno degli attori più impegnati del momento, il film descrive in maniera interessante il lavoro di un reclutatore di spie (Al Pacino in piena forma) nell’addestrare i suoi ragazzi ad ogni imprevisto e – soprattutto – a non fidarsi di nessuno.

Intrigante nella descrizione del legame sensuale tra due giovani apprendisti spie (ma non si tratta di un Harry Potter degli agenti segreti…) La regola del sospetto funziona per tre quarti fino all’inevitabile sfilacciamento finale tipico del cinema di Roger Donaldson. Il gioco di fregature reciproche che conducono lo spettatore sul tenue filo del dubbio, diventa palese quando si inizia a sospettare che qualcosa non vada, non solo nell’andamento del film, ma soprattutto nella sua sceneggiatura.

Si approda comunque alla fine della storia in maniera piacevole soprattutto per la qualità delle interpretazioni degli attori e per l’atmosfera della pellicola. Un tono intrigante il cui merito è anche quello di descrivere in maniera credibile gli azzardi tecnologici del film con virus informatici e computer resi in maniera plausibile e non fantascientifica.

Lo smoking (The tuxedo) {Sostituisci con chiocciola}

Jackie Chan – Jennifer Love Hewitt Sceneggiatura Phil hay & Matt Manfredi Regia Kevin Donovan Distribuzione UIP Anno di produzione USA 2002 Durata 95’

La filosofia di questo film è che sia l’abito a fare il monaco. Nella fattispecie tutti possiamo diventare un agente segreto come 007 se ci vestiamo con uno smoking. Non uno qualsiasi, però, e non si tratta di "fattura" o taglio dell’abito. Quando l’autista cinese di un facoltoso miliardario un po’ James Bond, un po’ Arsenio Lupin indossa lo smoking pieno di estensioni neurali che controllano il corpo, ecco che anche lui diventa un agente segreto perfetto come il suo datore di lavoro. A parte il fatto che gli manca l’intelligenza per farlo che – per colpa di uno scambio di persona – gli viene prestata praticamente da un’agente segreto donna, interpretata da Jannifer Love Hewitt. Lo Smoking è un filmetto parodia innocuo del genere bondiano con qualche coreografia divertente, ma per nulla interessante. Tenuto su un tono postdemenziale, il film è basato su una commedia degli equivoci piena di battute salaci sulle tette (leggendarie a giudicare il fandom sulla Rete) della Hewitt alle prese con un Jackie Chan a mezzo servizio.

Animato da uno humour al limite dell’etereo, Lo Smoking non ha grandi idee come film comico, né come film d’azione. Vederlo e dimenticarlo è tutt’uno. A parte per il pubblico maschile che verrà risollevato da qualche inquadratura femminea decisamente patetica nel suo essere audace senza sentimento. Una regia da "chiacchiera da bar" che pur senza mostrare davvero nulla (e il film ovviamente non lo richiede) si ostina ad essere salace, fotografando, però, la Hewitt in una maniera che peraltro non le dona affatto. Se esiste uno 007 per tutte le generazioni, Jackie Chan è quello perfetto per i dodicenni che cercano di rimorchiare…

Ubriaco d’amore (Punch Drunk Love){Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Adam Sandler – Emily Watson – Philip Seymour Hoffman Sceneggiatura e Regia Paul Thomas Anderson Distribuzione Columbia Tristar Anno di produzione USA 2002 Durata 95’

Divertente e romantico, l’ultimo film del regista di Boogie Nights e Magnolia Paul Thomas Anderson è una sorta di black comedy sul potere dell’amore di curare le nostre nevrosi e fobie. Interpretato da un ottimo Adam Sandler il film racconta la storia di un uomo frustrato che – innamoratosi di una ragazza conosciuta tramite una delle numerose sorelle – incontra come ostacolo sul suo cammino un gruppo di energumeni scatenatigli contro dal proprietario di una chat line deciso a perseguitarlo per non avere ceduto ad un ricatto.

Visionario ed elegante nel suo poetico approccio alla vita, Ubriaco d’amore è un film sul lato fragile di ciascuno di noi, reso più forte e "invincibile" dall’amore o – in certi casi – dalla sua speranza. Pur essendo figlio di un’ispirazione colta e raffinata, Ubriaco d’amore è una farsa dai toni sexy ed originali, sulla forza dell’amore e sull’educazione sentimentale alla ricerca di se stesso. Comico, ma anche in alcuni momenti amaro al limite del thriller è inserito in un contesto urbano desolante in cui l’amore sembra rappresentare l’unica via di fuga decente dalla propria individualità smaccata. Vincitore del premio della regia a Cannes, è un film più riuscito e maturo rispetto alle opere precedenti di Paul Thomas Anderson che si conferma uno degli autori di punta del nuovo cinema americano.

X men 2 {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Hugh Jackman - Patrick Stewart – Ian McKellen – Anna Paquin – Famke Janssen – Halle Berry – Alan Cumming – Rebecca Romjin Stamos Sceneggiatura Michael Dougherty & Dan Harris Regia Bryan Singer Anno di produzione USA 2003 Distribuzione Twentieth Century Fox Durata 120’

E’ uno dei rari casi in cui un sequel è meglio dell’originale e – diciamolo subito – questo capita sia dal punto di vista visivo che narrativo, con una storia più intensa, centrata meglio sui personaggi al punto di trasformare X men 2 in una pellicola corale. Se Sam Raimi l’estate scorsa aveva alzato ancora una volta il livello di aspettativa legato al cinema dei supereroi gravando di aspettative sia Daredevil (rivelatosi poi un episodio divertente, ma "minore") che X men 2 che il prossimo Hulk in uscita in Italia il 29 agosto, Bryan Singer ha raccolto la sfida con determinazione facendo di X men un film straordinario ed imprevedibile per la sua capacità di gestire storie e sentimenti diversi con una cura e una visione omogenee.

La storia inizia esattamente dove l’avevamo lasciata nel film precedente: Wolverine è alla ricerca delle sue radici in una zona remota e ghiacciata, Magneto è ancora nella sua prigione speciale, il professor Xavier segue con attenzione e pazienza gli sviluppi di quello che sta accadendo nel mondo riguardo l’atteggiamento nei confronti dei mutanti. X men 2, però, ha un suo prologo quando quello che poi sapremo essere un mutante di nome Nightcrawler attenta alla vita del presidente degli USA obbligandolo a convocare un fanatico militare per dare un giro di vita all’atteggiamento di tolleranza nei confronti di questi esseri dotati di poteri sovrumani. Mystique (Rebecca Romjin Stamos) che ormai si è sostituita al Senatore Kelly, ex leader del movimento anti mutanti, inizia ad indagare su questo misterioso generale Stryker (il primo Hannibal Lecter, Brian Cox) quando capisce che l’uomo ha in mente un piano in grado uccidere ogni mutante sul pianeta, grazie all’aiuto del Professor Xavier…

Brillante e – al tempo stesso – esplosivo X men 2 introduce nuovi personaggi interessanti: Deathstrike, una mutante al servizio di Stryker (Kelly Hu, già protagonista de Il Re Scorpione e conosciuta in Italia per il suo ruolo di Kaori in un famoso e irritante spot pubblicitario), Nightcrawlet (Alan Cumming), Pyro (Aaron Stanford) e dà più spazio al personaggio di Iceman (Shawn Ashmore) e alla sua relazione tormentata con Rogue (Anna Paquin).

Anche se Xavier e Magneto non sono più le figure centrali della narrazione tutta rivolta a seguire ogni personaggio con equilibrio, il film mantiene intatto lo stile carismatico del capitolo uno, facendo attenzione a non scadere nella banalità dell’idea di conflitto tra Bene e Male e – soprattutto – nel mantenere intatto il valore della metafora. La diversità, il razzismo, l’omosessualità, lo strapotere dei militari, i servizi deviati e perfino l’intolleranza famigliare nei confronti di un outing a proposito dell’essere mutanti, trasforma X men 2 in un film di intrattenimento dalla capacità didascalica straordinaria, offrendo un altro punto di vista riguardo il cosa significhi l’essere umani.

Tutto questo con una dinamicità spettacolare in grado di tenere incollato lo spettatore per due ore sulla sedia, con effetti speciali curati e una trama che potrebbe sempre diventare caotica e che, invece, Singer mantiene intatta con una cura e una padronanza davvero invidiabili.

In più X men 2 aggiunge una vena erotica molto forte: la bellezza questa sì sovrannaturale di Rebecca Romjin Stamos in grado di fare ignorare Halle Berry e Famke Janssen, la tensione erotica tra Wolverine e Jean Grey, la passione di Mistique per Wolverine (che – ma questo dimostra trattarsi solo di fiction – la snobba…), l’ardore adolescenziale di Rogue per Iceman. Insomma X men 2 è una nuova pietra miliare del cinema dei supereroi e del cinema fantastico più in generale. Speriamo di stupirci ancora presto con il gigante verde diretto da Ang Lee ed interpretato da Bruce Bana.

Marco Spagnoli

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