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redarrowleft.GIF (53 byte) Musica Dicembre 2001  
 

Opera per voce sola

Un solo interprete vocale e un mimo. L’Ultima cena di Cristo e un banchetto di prostitute. Così l’autore bresciano Camillo Togni in "Barrabas" volle rappresentare il dualismo tra lo spirito e i piaceri della carne. Un lavoro difficile ma originale andato in scena al Teatro Grande di Brescia assieme all’opera "Il Mito di Caino" di Franco Margola

Il Teatro Grande di Brescia ha messo in scena due atti unici di autori bresciani; si tratta di "Barrabas" di Camillo Togni (Brescia 1922-1993) e de "Il Mito di Caino" di Franco Margola (Orzinuovi 1908-1992 ). Due opere con due linguaggi completamente diversi; dodecafonica la prima e di stile neoclassico pizzettiano la seconda. Si deve notare che Margola è stato insegnante di Togni ed è significativo il fatto che il modo di comporre dei due autori sia completamente diverso; segno evidente che Margola si è reso conto del valore dell’allievo e lo abbia lasciato percorrere vie diverse da quelle della sua arte compositiva senza porre alcuna coercizione.

"Barrabas" fa parte di una progettata trilogia iniziata con "Blaubart" e che avrebbe dovuto concludersi con "Maria Magdalena" se l’autore non fosse mancato. La rappresentazione bresciana di "Barrabas" può considerarsi una prima assoluta in quanto l’opera, per una serie di circostanze, non è mai stata rappresentata in forma scenica. La partitura di Togni è stata scritta ispirandosi ad una novella del poeta austriaco Mark Trakl, uomo di notevole complessità ossessionato dall’amore incestuoso per la sorella e morto suicida nel 1914. L’opera di Togni è essenzialmente corale ed ha un solo interprete vocale che rappresenta un giovane ricco in una parte difficilissima mentre la figura di Barrabas è sostenuta da un mimo.

Nel lavoro è sostanzialmente rappresentato un dualismo tra lo spirito e i piaceri carnali individuati da vari segni contrapposti come le palme che accolgono il Cristo e le rose gettate dal giovane a Barrabas o il banchetto delle prostitute che fa da contraltare all’ultima Cena o la corona di rose rosse del giovane e la corona di spine. L’opera è suddivisa in cinque scene sostenute principalmente dal coro nella funzione di Historicus mentre nella terza scena vi è l’intervento del tenore che impersona il giovane il cui canto si contrappone alla pura fisicità di Barrabas, personaggio muto. L’esecuzione bresciana si è avvalsa dell’ottimo coro del Circuito lirico regionale società cooperativa servizi teatrali ottimamente preparato e diretto dal maestro Valentino Metti: il tenore era Martyn Hill che si è disimpegnato molto bene nel lungo e difficile monologo della terza scena.

"Il Mito di Caino" del maestro Franco Margola è stato scritto su libretto di Edoardo Ziletti ed è andato in scena a Bergamo per il Teatro delle Novità nel 1940 diretto da Gianandrea Gavazzeni e narra l’episodio biblico dell'uccisione di Abele da parte di Caino.

In questa partitura è molto interessante la differenziazione tra le parti di Adamo, Eva e Abele trattate in modo delicato con le armonie dure e dissonanti della parte di Caino; l’orchestrazione è ricca, cupa e fa sempre presagire il dramma che verrà consumato alla fine.

Caino è stato impersonato con vigore dal baritono Marco Santoro mentre Abele era il tenore Gustavo Porta non sempre a suo agio e con qualche difficoltà nell’articolazione dei suoni. Brava Sonia Corsini (Ararat) che ha messo in mostra un temperamento drammatico unito ad una buona vocalità mentre Marco Spotti era Adamo ed Alessandra Zapparoli Eva. La scena, unica per i due spettacoli, costituita da una specie di teatro diroccato era di Giacomo Andronico mentre la regia era curata da Monica Conti.

Vittorio Parisi ha egregiamente diretto i due lavori a capo dell’Orchestra dei " Pomeriggi Musicali" di Milano mettendo bene in risalto il valore delle due partiture così differenti.

Luciano Maggi

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