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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema marzo 2000


FILM Febbraio 2000

ALTRI FILM IN SALA

Risorse umane (Ressources humaines) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Jalil Lespert – Jeane Claud Vallod – Chantal Barré – Lucien Lougeville Sceneggiatura e Regia Laurent Cantet Anno di produzione Francia 1999

Distribuzione MIKADO Durata 100’

Risorse umane descrive la vita degli operai delle fabbriche francesi come quella di uomini abituati a soffrire in un inferno anestetizzato dalla drammatica consapevolezza di non potere permettersi un domani migliore. Risorse umane si inserisce prepotentemente e degnamente nel solco della grande tradizione europea del cinema operaio e del lavoro. Un film che racconta la sofferenza e la normalità dell’esistenza attraverso immagini scarne e molto dirette, raccontando il paradosso del figlio di un operaio, quasi laureato in economia, che andando a fare uno stage presso la fabbrica dove lavora il padre, scopre i piani della direzione per licenziare un gran numero di dipendenti utilizzando come alibi l’attuazione delle cosiddette "trentacinque ore". Tramite questo escamotage narrativo Cantet mira a coinvolgere la coscienza dello spettatore in maniera quasi shakesperiana, rendendolo impreparato ad assistere a un dramma psicologico, in cui il protagonista non sa se ribellarsi o meno a un sistema esortando il padre allo sciopero, compromettendo così il suo futuro come dirigente capitalista. Un interessante contrasto generazionale e sociale, in cui il confronto diretto tra i vecchi e i giovani di pirandelliana memoria sfocia nel più tenero incontro emotivo di padre e figlio su un nuovo terreno molto più sincero, sebbene ancora irto di ostacoli. Un film sulla vergogna di essere nati figli di operai e sulla ricerca di una vita diversa da quella dei propri genitori.

 

Sbucato dal passato (Blast from the past) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Brendan Fraser – Alicia Silverstone – Christopher Walken Sceneggiatura Bill Kelly Regia Hugh Wilson Anno di produzione USA 1999 Distribuzione UIP Durata 106’

Cosa c’è di più divertente di vedere raccontata la nostra modernità dagli occhi di qualcuno che le è estraneo? Dopo gli alieni, dopo una serie di personaggi provenienti dal passato e dal futuro per raccontarci la vita di oggi vista attraverso i loro occhi, ecco un film che oltre a sfruttare questo nodo narrativo abusato, ma ancora ricco di possibilità, unisce anche una certa componente sexy per complicare positivamente le cose. Adam ha, infatti, il bel corpo e l’aspetto gentile del protagonista de La mummia Brendan Fraser. Un giovane bene educato, ricchissimo e che non ha mai baciato una ragazza, perché ha passato i trentacinque anni precedenti della sua vita chiuso in un bunker antiatomico, il giorno che i suoi genitori (il padre è uno scienziato famoso) hanno pensato per colpa di un equivoco che in seguito alla crisi cubana della Baia dei porci, il Presidente Kennedy e Krusciov avessero scatenato la terza guerra mondiale.

Quando si sbloccano le porte del rifugio nucleare, il giovane va a fare provviste e conosce una ragazza di nome Eva. Questa lo aiuta e se ne innamora, ma accetterà mai questa strana storia che racconta? Un gioco ambivalente tra passato e presente, per ridere della nostra modernità, per prendersi gioco della paranoia americana riguardo la bomba atomica e per stimolare un pubblico femminile nel seguire le gesta di un uomo quasi perfetto. Tutti ingredienti comunque di qualità per una commediola scipita e non particolarmente brillante, che ha il suo grande pregio in una grande leggerezza di fondo e in una scelta vincente dei suoi protagonisti.

 

Pane e tulipani {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Licia Maglietta – Bruno Ganz – Antonio Catania – Marina Massironi – Felice Andreasi Sceneggiatura Doriana Leondeff e Silvio Soldini Regia Silvio Soldini Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione LUCE Durata 115’

Il migliore film italiano dell’attuale stagione cinematografica; una pellicola originale e delicata, in cui viene utilizzata una certa piacevole liricità abbastanza inconsueta nel nostro cinema. Merito anche di un cast di interpreti molto azzeccato su cui svettano i protagonisti Licia Maglietta e l’attore feticcio di Wim Wenders, Bruno Ganz, accompagnati da una simpaticissima Marina Massironi in licenza dal gruppo di Aldo, Giovanni e Giacomo e da uno straordinario Felice Andreasi. Pane e tulipani è la storia di una ribellione non violenta di una donna qualsiasi che stufa del suo ruolo di moglie e di madre, decide di prendersi una vacanza. Dimenticata all’autogrill dal pullman su cui era diretta a Roma insieme alla famiglia, Rosalba decide di andare per qualche giorno a Venezia. Lì, conosce un anziano cameriere islandese dal fascino molto particolare che la ospita a casa sua. Lei – per niente convinta di dovere tornare a casa – nel frattempo si trova un lavoro e decide di sfuggire una vita che non la soddisfa, iniziando a lavorare per un fioraio anarchico e condividendo il sapore dell’avventura con una vicina di casa che fa la massaggiatrice olistica. Ed è proprio nell’esplicitazione dei sentimenti della donna, attraverso il lavoro e la riconquista di talenti passati, che Soldini ha voluto raccontare la storia di un’emancipazione morale e spirituale non cruenta, da un mondo non gretto, ma abbastanza insoddisfacente sul piano emotivo. Pane e Tulipani è inoltre una commedia romantica con tanto di storia d’amore i cui protagonisti non si baciano neppure e si danno del lei per tutto il film. Un’opera molto originale questa in cui il regista sembra rivendicare una dimensione più europea per il nostro cinema e in cui si sente l’inevitabile eco dell’ultimo Almodovar. Non tanto per motivi inerenti a dei presunti rapporti tra le due storie quanto piuttosto per un’evidente attingere a una sorgente spirituale comune, in cui la figura femminile conquista un carattere molto moderno, al punto da farci osare dire che il personaggio interpretato egregiamente da Licia Maglietta è la prima grande figura di donna del cinema italiano del nuovo secolo. Resta solo da sperare che molti altri la seguano e che Soldini prosegua in questo viaggio di anarchia soft per riportare il pubblico e il cinema a una maggiore consapevolezza. Se ciò accadrà mai sarà solo grazie a film come Pane e Tulipani in cui commedia, poesia e dramma psicologico si fondono in quel connubio contradditorio e non lineare che peraltro coincide con la nostra vita di tutti i giorni.

 

Otto donne e mezzo (Eight and half women) {Sostituisci con chiocciola}

John Standing – Matthew Delamere – Toni Colette – Amanda Plummer Sceneggiatura e Regia Peter Greenaway Anno di produzione Gran Bretagna 1999 Distribuzione Cecchi Gori Durata 120’

La ricerca estetica di Peter Greenaway sfiora il delirio in Otto donne e mezzo finto omaggio pecoreccio e piuttosto autocelebrativo al cinema di Federico Fellini e all’indimenticabile pellicola con protagonista Marcello Matroianni. Privato inspiegabilmente del suo talento geometrico e realmente dissacratore, il regista de I misteri del giardino di Compton House e de L’ultima tempesta dà vita a una pellicola grigia in cui sembra solo fare il verso a se stesso. Un film che risente notevolmente la mancanza del compositore Michael Nyman e delle sue musiche cariche di mistero e che risulta per la maggior parte del tempo noioso. E’ difficile, infatti, per lo spettatore seguire i due ricchi protagonisti, padre vedovo da poco e figlio, discettare di donne con una calma ‘chirurgica’, al punto di arrivare a crearsi un harem solo allo scopo di verificare la validità delle proprie astruse teorie. Un film vecchio nei suoi contenuti, in cui Greenaway reitera fino a rasentare l’ossessività i pezzi migliori del suo cinema, fondendoli in un’antologia visiva molto debole dal punto di vista concettuale e irritante sul versante onirico - visionario. I corpi che Greenaway racconta, di donne prezzolate e di uomini flosci sono soltanto un triste simulacro di una cinematografia scandalosa e saldamente strutturata sul piano sostanziale. Quello dell’autore britannico più che un omaggio Otto donne e mezzo è un insulto al cinema di Federico Fellini, intristito da uno pseudo sperimentalismo che riporta il cinema del regista inglese indietro di trenta anni e il pubblico a sfoderare un sentimento preponderante di irritazione. Una reazione comprensibile dovuta all’erronea e spossata reiterazione di una semiologia erotica simmetrica e sorpassata, che sembrerebbe avere il punto di riferimento principale nel libro di Roland Barthes dedicato al Giappone, L’impero dei segni di cui manca l’obiettivo di ripeterne l’intelligenza e la profondità concettuale. Sarà stata l’ambientazione tra le banche ginevrine, ma questo film ha qualcosa di mortuario e deprimente. Nonostante la bellezza e l’eccentricità sessuale delle protagoniste, Otto donne e mezzo è un film grigio, un pallido riflesso del genio e del talento di Greenaway.

Tre Re (Three Kings) {Sostituisci con chiocciola}

George Clooney – Mark Wahlberg- Ice Cube – Spike Jonze Sceneggiatura e Regia David O.Russell Anno di produzione USA 1999 Distribuzione Warner Brothers Durata 120’

Nonostante George Clooney ne sia l’indiscusso straordinario protagonista, Tre Re è un film profondamente deludente. Il suo inizio a razzo con una macchina da presa a mano foriera di un eventuale mal di mare agli stomaci deboli, il suo andamento incupito da una fotografia grezza, una parte centrale davvero noiosa, risollevata parzialmente da un finale dal ritmo giusto, non sono altro che un pasticcio confusionario. Lo pseudo – sperimentalismo del regista esordiente David O.Russell serve solo a mascherare i buchi di una sceneggiatura fintamente innovativa, che in realtà non fa altro che seguire più o meno pedissequamente i cliché di un certo cinema americano di vecchia data. Tre Re nello scorrere della pellicola si rivela, infatti, più o meno un bluff . La storia ‘trasgressiva’ di un gruppo di soldati americani che in cerca del tesoro di Saddam durante la guerra del Golfo si imbattono nei drammi della popolazione civile e vengono toccati profondamente nella loro umanità è soltanto un alibi per dare vita a un film dal ritmo musicale martellante, nel disperato tentativo di supplire a una notevole mancanza di idee nuove e soprattutto di trovate geniali. Nonostante le innegabili estrosità divertenti e soprattutto nonostante un discreto cast di attori su cui svetta un fascinoso Clooney, mentre si assiste alle gesta dei protagonisti di Tre Re non si riesce a scacciare l’idea di trovarsi di fronte a una storia già vista, eppure mascherata di nuovi e artificiosi sentimenti. I cattivi americani non sono mai veramente tali (tranne gli iracheni che, invece, malvagi lo sono quasi sempre per davvero) e il cuore buono del soldato statunitense che scopre i reali motivi per cui fa la guerra viene fuori per un finale ultrabuonista all’insegna del ‘volemose bene’. In più – e questo risulta francamente imbarazzante – il tono crescente dell’ultima parte del film ricorda in maniera eccessiva i western di Gary Cooper con frasi e toni che stonano con la realtà sociopolitica del mondo del ventunesimo secolo, aggravata da alcune incongruenze che possono venire sintetizzate nella domanda: "Come faranno a portare in America le tonnellate di lingotti d’oro trafugate?".. Insomma, George Clooney e il suo fascino scanzonato rimangono il migliore e forse unico motivo per andare a vedere questo lungo e polveroso videoclip intitolato Tre Re.

Il collezionista di ossa (The bone collector) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Denzel Washington - Angelina Jolie – Queen Latifah Sceneggiatura Jeremy Iacone tratta dal romanzo omonimo di Jeffrey Deaver Regia Philip Noyce Anno di produzione USA 1999 Distribuzione Columbia Tristar Durata 120’

Era tempo ormai che il fenomeno letterario Jeffrey Deaver, trovasse la sua consacrazione cinematografica in una pellicola di grande qualità. In questo senso Il collezionista di ossa terzo dopo Le lacrime del diavolo e Il silenzio dei rapiti è un libro molto interessante dalle venature colte, che lo rende un prototipo perfetto per il cinema legato al genere thriller in perenne crisi di buone idee. Sebbene lo stile originale di Deaver e le sue innovazioni sexy e affascinanti siano vagamente impoveriti ed edulcorati dalla loro resa cinematografica, si può dire ben che il film interpretato egregiamente da Denzel Washington e da una seducente Angelina Jolie (due bellezze diverse e davvero appetitose per il pubblico di entrambe i sessi…) sia uno specchio abbastanza fedele delle istanze della letteratura di quello che è considerato come l’erede naturale di Thomas Harris. Come Il collezionista di qualche anno fa, interpretato da un’altra coppia mista Morgan Freeman – Ashley Judd, Il collezionista di ossa è una pellicola tutt’altro che prevedibile, permeata dalla psicologia dei serial killers e incentrata sulla loro voglia di esibizionismo. Una riflessione interessante che dota il film di una grande razionalità stile X files mista all’azione che poteva essere realizzata solo da un regista provetto come Philip Noyce Un connubio efficace e dalle grandi potenzialità narrative, in grado di creare l’atmosfera giusta per una tensione tutt’altro che scontata nel cinema dei cloni di Seven. Un film intenso ed emozionante che trova il suo momento più alto e originale nel confronto tra l’esperto di serial killers ridotto a vivere su un letto multitecnologico, e una giovane poliziotta dal grande intuito. I due interpretati da Denzel Washington e Angelina Jolie danno vita a una storia in cui non si può fare a meno di percepire una grande tensione di natura erotico - spirituale. Di contorno a tutto questo c’è un maniaco omicida che lascia una serie di indizi per farsi acchiappare e dimostrare qualcosa a qualcuno. Il collezionista di ossa si eleva rispetto a tante altre pellicole del genere, per una grande autonomia di fondo e per una certa intelligenza narrativa dovuta al grande talento del regista Philip Noyce, già autore di film forse non particolarmente riusciti come Il santo, ma di grande impatto emotivo come Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo con protagonista Harrison Ford. E anche in questo film sono proprio le emozioni a fior di pelle, con scariche di adrenalina dovute all’efferatezza dei delitti a comunicare una grande tensione al pubblico. L’avvenente poliziotta che viene mandata sola avanti ai suoi compagni per reperire indizi è un po’ il segno di un cinema d’azione che pur mantenendo ben saldi alcuni suoi ingredienti canonici, tenta di stimolare il pubblico soprattutto dal punto di vista intellettuale. Una tendenza confermata anche dal finale bibliofilo – letterario, reso ancora più esplosivo da una regia dal grande ritmo. Che sia forse questa la chiave di lettura per il cinema noir del futuro?

 

Mickey Occhi Blu (Mickey Blue Eyes) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Hugh Grant – James Caan – Jeanne Tripplehorn Sceneggiatura Adam Scheinman & Robert Kuhn Regia Kelly Makin Anno di produzione USA 1999 Distribuzione UIP Durata 101’

Modellato sui ruoli avuti in Notting Hill e Quattro matrimoni e un funerale, il battitore di aste inglese interpretato da Hugh Grant e perdutamente innamorato di una fidanzata con una famiglia un po’ particolare e invadente, è niente altro che Hugh Grant e basta. Eppure, nonostante la sua prevedibilità e anche l’ovvietà di certe situazioni generate dalla presenza nel cast del veterano della saga de Il padrino James Caan, Mickey Occhi Blu funziona grazie a dialoghi irresistibili pieni di battute fulminanti e un senso sviluppato del senso della commedia riletto dal punto di vista fisico. Più vicino al cinema dei Fratelli Marx che a quello raffinato del romanticismo spiritoso delle pellicole con Julia Roberts e Andie McDowell, Mickey Occhi Blu soprende per una notevole freschezza e per la sua grande capacità di prendere in giro non solo un certo filone cinematografico di spargimenti di sangue e debiti d’onore, ma anche il suo interprete principale che si presta allegramente a questa scanzonata parodia di se stesso. Poco più di un’ora e mezza da trascorrere in maniera molto divertente nel seguire le gesta di Grant tra spaghetti sconditi al pomodoro e buffe canzoni italo americane. Un incontro dai risvolti comici prevedibili, ma anche irresistibili grazie all’intelligente sviluppo della trama e la massimizzazione della resa dei caratteristi tra cui il granitico Joe Viterelli già visto in Terapia e pallottole al fianco di Robert De Niro, pellicola che insieme a Mafia! ha decisamente aperto un nuovo filone umoristico.

ALTRE PELLICOLE IN ZONA OSCAR

I CINQUE FILM CANDIDATI ALL'OSCAR 2000

 

Marco Spagnoli

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