Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema marzo 2000


FILM Febbraio 2000

I QUATTRO FILM CANDIDATI ALL'OSCAR 2000

American Beauty {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Una busta di plastica volteggia tra le foglie cadute di fronte al garage di una villetta monofamiliare. Altre costruzioni praticamente identiche costellano la strada. Altre strade si intersecano tra loro. Dall’alto una visione di insieme ci fa dimenticare le solitudini, i dolori, le incomprensioni, i dubbi e le ipocrisie. Dall’alto anche la busta di plastica abbandonata non si riesce più a scorgere. In un mondo di dolorosa violenza: quella busta costituisce la cosa più bella mai vista da un ragazzo di quel vicinato. Il suo danzare tra le foglie gialle di un autunno triste come tanti altri è la "bellezza americana" che il regista teatrale Sam Mendes ci propone nel suo esordio cinematografico American Beauty. Una pellicola prodotta dalla Dreamworks di Steven Spielberg e che in poco più di un mese ha incassato circa un milione di dollari al giorno negli USA. Un film durissimo, un ritratto sconvolgente e perfetto dal punto di vista stilistico della famiglia americana medio borghese. Lui (Kevin Spacey) è un padre di famiglia che non riesce a comunicare con la figlia adolescente, un giornalista sull’orlo del licenziamento che sogna un’altra vita. Lei (Annette Bening) è una donna in carriera che tra tecniche di rilassamento e corsi di autostima tradisce il marito con il miglior venditore di case della città. La figlia è una adolescente dubbiosa come tante, con un’amica che gioca a fare la ragazzetta facile con tutti. Il vicino di casa è un marine con una moglie con cui non parla più da anni. Il loro figlio è un maniaco della telecamera vittima della violenza del padre fanatico e militarista, spaccia droga per conquistare una vita lontano dalla sua famiglia. I dirimpettai sono una coppia di yuppies gay. Gli unici personaggi positivi, in un mondo dove la commedia umana di Balzac viene attualizzata e raccontata in maniera molto moderna. American Beauty è un capolavoro. Forse, il film migliore che si poteva sperare da una fine di millennio in cui sono rimasti in pochi coloro che vogliono analizzare accuratamente la nostra società. Mendes ci riesce perfettamente con una pellicola inquietante, dai toni poetici e onirici che pur parlando di storie familiari, inchioda il pubblico alla poltrona come se fosse un thriller. Un’ironia amara, una visione del mondo realistica fin nei minimi dettagli, un film d’autore prodotto da una grande casa di distribuzione per raggiungere il pubblico di tutto il mondo con un messaggio moderno, ma anche molto antico. Scriveva Orazio ne Il Satyricon "La vita non è nulla, mentre ti volti già si fa notte." Questo è più o meno il senso del film in cui l’agitarsi per il lavoro, gli scontri tra persone che si dovrebbero invece amare, il dolore e l’incomprensione gratuiti sono solo un modo stupido per dimenticare quello che davvero conta. E che Kevin Spacey scopre proprio quando non c’è più nulla da fare per salvare. Un film indimenticabile e imperdibile. L’ultimo capolavoro dello scorso secolo cinematografico.

Il sesto senso {Sostituisci con chiocciola}

Se un film fosse costituito dalla sua semplice struttura, si potrebbe arrivare a dire che Il Sesto Senso è un vero e proprio capolavoro. Un finale a sorpresa lo rende, infatti, una pellicola assolutamente originale nel panorama del cinema horror. A parte il colpo di scena, però, e a parte anche alcune notevoli incongruenze di natura strettamente cinematografica, questo film con protagonista un Bruce Willis con un’improbabile pettinatura da ‘gagà’, è noioso e deludente. E l’aspetto drammatico della questione sta nel fatto che se uscite dalla sala prima della fine non capirete mai come questa pellicola abbia potuto incassare in America più di trecento miliardi di lire. Mentre bravissimo è il bambino Haley Joe Osment, Willis – forse non a suo agio a recitare in coppia con degli under 13 – ci sembra eccessivamente granitico e poco convincente. Qualcosa di analogo a ciò che gli era accaduto nell’infelice Codice Mercury, pellicola che tramortiva lo spettatore anche per colpa di una pessima regia. Cosa che ne Il Sesto Senso non accade. Uno stile vicino a quello del cinema indipendente americano tiene la tensione sempre molto alta e l’adrenalina scorre a fiumi nel seguire le azioni improvvise dei fantasmi che popolano la vita di un piccolo bambino, che lo psicologo Willis dovrebbe cercare di aiutare. Un film riuscito solo dal punto di vista strutturale, perché bisogna dimenticare a tutti i costi i molti dubbi sollevati da un colpo di teatro credibile solo a patto di non farsi troppe domande. Il Sesto Senso è una pellicola costruita male su un’idea geniale, in cui tutto viene disposto ad arte per condurre gli spettatori a cadere nel tranello di un complesso gioco di specchietti per le allodole. Con la paura che nasce – come per le pellicole veramente spaventose come Poltergeist, Shining e L’esorcista – dal confronto di persone ordinarie con eventi straordinari e improvvisi. Inspiegabili come i fantasmi che attraversano le nostre esistenze senza che noi ce ne accorgiamo e che possono venire percepiti solo da coloro che hanno Il Sesto Senso. Un gioco difficile da portare avanti per tutto un film e che richiede un’intelligenza registica superiore, per un autore praticamente esordiente come questo M. Night Shyalaman, incapace però di fornire buone basi alle sue ottime idee fondata sull’affermazione presente in Oltre il giardino con Peter Sellers in cui si dice che La vita è uno stato mentale. Secondo il regista anche la morte, può diventare analogo a una semplice percezione. Purtroppo tale convinzione non è supportata da nessuna base religiosa o spirituale, e questo ci fa temere che Hollywood elabori strane teorie ultramondane solo per i suoi incassi.

Le regole della casa del sidro {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Solo apparentemente la storia semplice e dall’andamento elittico di un ragazzo cresciuto in un orfanotrofio, che istruito nell’arte medica dal primario – direttore del piccolo istituto del Maine dove si trova - decide di costruirsi una nuova vita come bracciante agricolo. Ad una seconda e più approfondita lettura, Le regole della casa del Sidro è una riflessione originale e molto profonda sull’identità e sul senso di paternità inteso nella maniera più ampia possibile. Nonostante, infatti, il film rischi sempre di scivolare in facili e ruffiane situazioni da soap opera tra amori illeciti, sguardi supplichevoli di bambini desiderosi di farsi adottare, preghiere dette in ginocchio la sera prima di addormentarsi in camerate spoglie, ma pulite, il suo senso di grande umanità e la grande interpretazione di Michael Caine e Tobey Maguire, lo sollevano molto al di sopra della media del cinema sentimentale degli ultimi trenta anni. L’elemento psicologico e l’indagine su alcuni fragili meccanismi del cuore, rendono Le regole della casa del Sidro qualcosa di molto diverso dai film del passato. Il suo incedere lento, senza solennità, le brutture e le storture della vita vissute sulla loro pelle dai personaggi, i sorrisi tristi di bambini abbandonati dal mondo, rendono questo film diretto dal regista Lasse Hallstrom, già autore del fortunato Buon compleanno Mr. Grape un’opera diversa e molto dolorosa. L’identità e il senso di appartenenza sono i temi dominanti di un film in cui è il senso di mancanza il tratto che unisce tutti i personaggi. Il viaggio fisico di Homer (Nome omen, direbbe qualcuno…) è – come spesso capita – un itinerario spirituale che lo scoprirà a capire chi realmente è, tornando a un passato che lo porta necessariamente a compiere quel destino quasi ineluttabile, la cui via maestra era stata segnata da quel padre spirituale che gli aveva salvato la vita quando era piccolo. L’unico capace di interpretare il suo silenzio di neonato abbadonato come una richiesta di amore e di aiuto. Un film emozionante in cui il confronto tra il mondo esterno e la piccola comunità di bambini abbandonati in cerca di affetto è in realtà un raffinato e sottile gioco di ombre e riflessi.

Il miglio verde {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Lungo oltre tre ore necessarie per ripercorrere fedelmente l’adattamento dall’omonimo racconto di Stephen King, Il miglio verde è un film molto particolare capace di unire cronaca e mistero, poesia e orrore. Ambientato tra i detenuti e le guardie carcerarie del braccio della morte di una prigione degli Stati Uniti degli anni Trenta il film candidato all’Oscar che annovera tra i suoi protagonisti uno straordinario Tom Hanks è forse la prima pellicola in cui viene mostrata in maniera esplicita che cosa avviene ai condannati a morte sulla sedia elettrica durante la loro esecuzione. Un’opera dal chiaro contenuto sociale che si schiera apertamente contro la pena di morte e che eppure è capace di riflettere poeticamente sulla vita che si trascorre sul cosiddetto ‘miglio verde’, ovvero l’ultimo percorso compiuto da un condannato prima di salire sulla sedia fatale. Ma al di là della minuziosa ricostruzione di cosa accade in un simile contesto e della vita dei protagonisti sul confine con la morte, al di là perfino delle atmosfere che sembrano inevitabilmente ricordare il cinema dei duri dal cuore d’oro come James Cagney, Il miglio verde raggiunge il suo punto più alto nel descrivere il personaggio di John Coffey, un colossale nero accusato dell’omicidio e stupro di due bambine, che in realtà è uno sciamano dai poteri taumaturgici. La sua storia dalle profonde connotazioni New Age coincide con il trasportare il film verso una dimensione spirituale dal grande fascino, facendo così diventare Il miglio verde un capolavoro sospeso in una dimensione intermedia tra la vita e la morte, in una zona grigia di riflessione tra l’atrocità della realtà e le suggestioni del cinema e della letteratura fantastici.

ALTRE PELLICOLE IN ZONA OSCAR

ALTRI FILM IN SALA

 

Marco Spagnoli

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved