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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema marzo 2000


FILM Febbraio 2000

ALTRE PELLICOLE IN ZONA OSCAR

Tutto su mia madre {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Tutto su mia madre è un moderno melodramma, dove Pedro Almodovar esplora il campo minato dell’istituzione familiare alla fine del Millennio. Una riflessione dolorosa e a tratti accorata, piena di colpi di scena e densa di situazioni e avvenimenti tramite i quali, è in grado di offrire al pubblico la prospettiva di una nuova normalità. Una consuetudine rinnovata, nata sulle ceneri dell’accezione che l’aggettivo "normale" ha sempre avuto per quello che riguarda i rapporti interpersonali. Nata dalla necessità della finzione e dal rifiuto dell’incompatibilità dei caratteri, la famiglia che ci mostra Almodovar è quella dove sono sempre e comunque solo i veri sentimenti a trionfare. Lontano dai perbenismi e superati i vecchi vincoli matriarcali e patriarcali, il mondo sul cui sfondo si muovono i personaggi di Tutto su mia madre è profondamente cambiato. La polverizzazione perfino della famiglia mono nucleare ha lasciato posto a un’entità nuova e per il momento informe dove ha spazio chiunque lo voglia e in cui ognuno ha il ruolo che si sceglie. Contro l’emarginazione, il machismo e i luoghi comuni, l’utopia almodovariana in cui è solo dagli sconosciuti che ti puoi aspettare del bene, è in grado di dare vita a una pellicola indimenticabile e che si potrebbe a ragione considerare come il capolavoro per antonomasia del cineasta spagnolo. Un trionfo della civiltà in cui tutti gli elementi chiave del melodramma, in pieno contrasto con il genere telenovela, vengono riutilizzati e reinventati per proporre una nuova arte, capace di farci riflettere sul significato di parole come maternità e amore. Una pellicola riuscita sia per l’acume e la cura con cui è stata scritta dallo stesso regista la storia che ha dato vita al film, sia per la grande forza espressiva dei suoi interpreti. Tutte attrici bravissime, ottime protagoniste di una delle più belle pellicole di sempre dedicata alle donne e all’universo femminile in piena espansione nel nostro presente

Magnolia {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Magnolia soffre dello stesso difetto di Boogie Nights. Una noia dominante soverchia lo spettatore che si chiede il significato rencodito della pellicola diretta da Paul Thomas Anderson. Un film senza una particolare ironia che soffre di numerosi difetti, soprattutto di natura concettuale.

Nove vite di persone distanti tra loro che abitano nella stessa città, nove storie quasi diverse unite apparentemente dal filo rosso del caso, un legame effimero, ma palpabile che il regista e autore Paul Thomas Anderson ci pone dinanzi agli occhi con una notevole intelligenza narrativa, non coadiuvata, ahimé, da una sceneggiatura adeguata agli intenti. Il problema è, infatti, che nonostante seguiamo il dipanarsi di queste esistenze per tre ore e dieci di durata della pellicola, non ne capiamo affatto le motivazioni. I personaggi rimangono in superficie e l’introspezione è solo accennata. Qual è il senso di tutta la storia? In che cosa risultano esemplari le vite di un conduttore televisivo, malato di tumore con il vizio della pedofilia, di una moglie fedifraga innamorata tardivamente di un marito condannato a morte dal cancro, di un bambino prodigio, di un ex bambino prodigio, di un poliziotto noioso, di un infermiere sensibile, di un santone del sesso, di una ragazza problematica? In realtà il dato strano di Magnolia è che grazie ad attori come Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Tom Cruise e Jason Robards i personaggi sono più interessanti delle vite che raccontano, intrecciate spesso in maniera forzosa al punto di fare sembrare questo film come un sequel ideale, ma non all’altezza di America oggi di Altman. E se nel film di Anderson è una pioggia di rane (uno strano fenomeno atmosferico, davvero…) a tirare i fili della trama, nel fortunato predecessore era un terremoto a riunire i protagonisti. Somiglianze eccessive per essere casuali, per una pellicola che se funziona lo fa soprattutto in virtù di un intrigante intreccio di storie diverse, aiutato da una regia certamente più interessante della rappresentazione dell’esistenza stessa dei singoli. Un film di difficile interpretazione i cui personaggi sono riuniti dalla ricerca di amore e dalla voglia di perdonare. Sentimenti nobili è vero, ma piuttosto abusati dal punto di vista cinematografico e narrativo.

Il talento di Mr.Ripley {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Sembra un film degli anni sessanta eppure non lo è. Le ambientazioni a Ischia, a Roma, a Sanremo (ma è Anzio in realtà) a Venezia trasportano lo spettatore nell’Italia di fine anni Cinquanta rendendo Il talento di Ripley quasi un film in costume, dove a essere davvero camuffati sono principalmente i sentimenti dei protagonisti. Eh già, perché il talento oscuro di Mr.Ripley, un giovane mandato da un potente magnate americano a recuperare lo scellerato figlio in Italia dalle grinfie di una fidanzata intellettualoide, dà vita a un thriller affascinante nel più puro stile hitchcockiano. Dopo la pioggia di Oscar de Il paziente inglese il regista Antony Minghella è riuscito a tessere le fila di una pellicola intelligente dal grande ritmo procacciatore di forti batticuori al pubblico, che dei gialli anni Sessanta ha conservato soprattutto l’atmosfera raffinata e lo spessore degli interpreti. Tutti famosi e soprattutto tutti quanti vincitori o in odore di Oscar. A partire dall’ambiguo Matt Damon, vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting, continuando poi con Gwyneth Paltrow (Oscar per Shakespeare in Love), passando poi per Cate Blanchett e Philip Seymour Hoffman (entrambi nominati all’Oscar negli anni scorsi) fino ad arrivare a Jude Law, candidato all’Oscar proprio per l’intepretazione dell’eccentrico Dickie Greenleaf, che usa le persone per il suo piacere e che di tornare in America da Papà e mammà proprio non ne vuole sapere.

Ironico, emozionante, esaltante, divertente, estremamente astuto Il talento di Ripley è un film ottimo in ogni suo aspetto. Già dall’inizio dei titoli di testa la regia si rivela straordinaria e originale in grado di trascinare il pubblico in bilico sul filo del rasoio per più di due ore. Intensa la recitazione di tutti gli attori, perfette le ricostruzioni degli ambienti, il film di Minghella è un omaggio ad un certo tipo di cinematografia, le cui storie difficili da rendere negli anni sono state spesso sacrificate alla facile violenza per il gusto della violenza e ai costosissimi effetti speciali. Il talento di Ripley si ispira a un cinema della tensione dove sono gli sguardi e le espressioni del volto le vere chiavi di lettura della trama e dell’azione. Antony Minghella ha dato vita a una pellicola la cui grande forza sta nella commistione esplosiva ed emozionante tra passato e presente. Un thriller dai profondi risvolti psicologici e umani in cui Matt Damon porta alle massime conseguenze con la sua recitazione asciutta e tagliente il gioco del destino e l’architettura fatta di passioni e di bugie che viene costruita lungo tutto il corso del film. Un film da non perdere per riconquistare il gusto del grande cinema eccitante e ben costruito.

I CINQUE FILM CANDIDATI ALL'OSCAR 2000

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Marco Spagnoli

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