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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Novembre 1999


FILM Novembre 1999
Seconda parte

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Destini incrociati (Random hearts) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Harrison Ford – Kristin Scott Thomas Sceneggiatura Kurt Luedke tratta dal romanzo di Warren Adler Regia Sidney Pollack Anno di produzione 1999 Distribuzione Columbia Tristar Durata 129’

In Destini incrociati Harrison Ford porta sullo schermo un personaggio che sembra unificare i tratti salienti dei tanti ruoli interpretati fino adesso. Il duro ironico dal cuore buono e l’uomo romantico dalle forti problematiche esistenziali. E lo fa con i consueti fascino e classe, segni distintivi della recitazione dell’attore in questa pellicola vagamente noiosa che segna – dopo la veloce partecipazione in Eyes Wide Shut e in A civil action – il ritorno di Sidney Pollack dietro la macchina da presa. Va detto, però, che la noia presente nel film è una controindicazione della lunghezza forse eccessiva del film. Le due ore e dieci della pellicola, infatti, anziché offrire nuovi spunti per approfondire la strana storia d’amore tra Harrison Ford e l’ambigua e ricca di sex appeal Kristin Scott Thomas, portano a una certa reiterazione di alcune situazioni che – sulla lunga distanza – appesantiscono di molto la trama. Due persone diversissime vengono riunite dalla scoperta del tradimento dei rispettivi coniugi, morti mano nella mano in un disastro aereo. Un film intrigante in cui il poliziotto duro e puro Dutch, incontra la ricca e avvenente donna in corsa per la rielezione al Congresso degli Stati Uniti. Due esseri umani diversissimi tra loro, alla disperata ricerca di fare piazza pulita dei fantasmi del passato per trovare una nuova vita all’insegna di un cinico humour e di una ritrovata tenerezza. Una trama originale in cui le menzogne della vita pubblica si sovrappongono a quelle della vita privata, in un crescendo di situazioni emozionanti, in cui i due attori carismatici sembrano al meglio delle loro seducenti caratteristiche recitative.

Fight Club {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Edward Norton – Brad Pitt – Helena Bonham Carter Sceneggiatura Jom Uhls Regia David Fincher Anno di produzione 1999 Distribuzione MEDUSA Durata 135’

Fight Club altro non è che una scarica ragionata di violenza raccontata con ironia e intelligenza, in un film perfetto dal punto di vista strettamente cinematografico. Il problema è che per trovare a tutti i costi un colpo di scena, la sceneggiatura si inventa un qualcosa di assurdo che non si può rivelare con il rischio di rovinare a tutti la visione del film. Si può dire però che tutta la storia viene completamente sconvolta negando la doppia prospettiva del film seguita per quasi due ore di pellicola, con un’invenzione talmente artificiosa da far accapponare la pelle. Come ne Il sesto senso dove la trovata era puramente cinematografica, in Fight Club il finale catastrofico viola in un colpo solo tutte le osservazioni psichiatriche della schizofrenia. Proponendo un escamotage davvero assurdo. Lontanissimo dal genio di Alfred Hitchcock o di altri maestri della suspence, il deus ex machina finale è una pura invenzione registica fatta per stupire il pubblico senza nessuna base di fondamento. E dire che Fight Club è una pellicola ottima se considerata nel suo aspetto meramente cinematografico. Gli attori sono straordinari, la regia e le ambientazioni danno un ritmo e un’atmosfera unica alla pellicola che seppure con un messaggio di fondo nebuloso (il combattimento serve a sfuggire alle tensioni e alle imposizioni della società dei consumi…) è spettacolare e molto interessante. Al di là del sangue e dell’esplosione in volo di un aereo (una scena raccapricciante di cui è sconsigliata la visione ai frequent flyers) fa sorridere l’idea tutta americana che la violenza possa essere una risposta corretta e valida contro l’arroganza e la prepotenza della massificazione della società. In un mondo in cui è, infatti, considerato più ‘sovversivo’ raccogliere una carta da terra e metterla nella spazzatura, anziché buttarla per terra, Fight Club sembra assomigliare più a una spettacolare esercitazione di stile, senza i cromosomi del capolavoro, che a un film in grado di segnare comunque un’epoca di grandi dubbi e incertezze come la nostra.

Asini {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Claudio Bisio – Giovanna Mezzogiorno Sceneggiatura Claudio Bisio Regia Antonello Grimaldi Distribuzione MEDUSA Durata

Asini è una satira agro dolce della nostra società; un alibi per un’ osservazione bonariamente metaforica e non eccessivamente allarmista dei piccoli e grandi drammi che coinvolgono le persone che rimangono abbandonate ed emarginate. Proprio come gli asini che nessuno sembra volere più. Un film intelligente e molto divertente dove il versante umoristico e comico ha preso, però, il sopravvento sulla cura necessaria di una sceneggiatura un po’sciatta e – spesso – capace di dare troppe cose per scontate. Ma la grande forza di Asini non sta solo nei toni favolistici e delicati di una narrazione leggera, in grado di mettere abilmente in mostra alcune magagne della nostra società. Il film è pieno zeppo di attori simpaticissimi e molto bravi disseminati tra ruoli portanti e piccoli cameo. Partendo dalla bellezza acqua e sapone di un’affascinante Giovanna Mezzogiorno, attrice in continua maturazione artistica, capace di affrontare anche la commedia con grande nonchalance; per passare poi al ‘grande vecchio’ Arnoldo Foà e all’ottimo Renato Carpentieri. Una piccola festa per il nostro cinema dove possiamo divertirci con Maria Amelia Monti nei panni della fidanzata noiosa, con il cantante Elio nel ruolo di un frate francescano, con Valerio Mastandrea e Antonio Catania in piccole parti buffe. Un film divertente Asini, che avrebbe dovuto osare un po’ di più sul versante narrativo per poterlo definire qualcosina in più di ‘carino’.

Resurrection {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Christopher Lambert – Robert Joy Sceneggiatura Brad Mirman Regia Russel Mulcahy Anno di produzione 1999 Distribuzione CDI Durata 100’

La coppia di Highlander costituita dal regista Russel Mulcahy e da Christopher Lambert si riunisce nel thriller Resurrection. Un film sanguinolento e dai toni trucidi come molti del genere, con due soli determinanti difetti : una voglia pazza di assomigliare a tutti i costi a pellicole come Seven o agli episodi di Millennium e un’incapacità di fondo di mettere a frutto le tante cose buone presenti all’interno della storia. Se, infatti, i tratti del protagonista del sempre bravo, ma anche sempre uguale a se stesso Christopher Lambert sono simili a quelli di tanti altri detective sulle tracce di un serial killer, fortunatamente non altrettanto si può dire della sceneggiatura che racconta la cruda storia di un maniaco omicida le cui vittime sono solo maschi di trentatré anni che portano il nome di uno degli apostoli di Gesù. Assassino che lascia morire dissanguati gli uomini scelti con cura e studiati a lungo, dopo averli mutilati di un arto diverso da uomo a uomo. Un film riuscito quando si perita di spiegare la psicologia dei serial killer raccogliendo i frutti di una storia interessante e originale, e che cade miseramente quando vuole ripetere – senza riuscirci – le atmosfere tipiche di film di ben altra levatura come Blade Runner e Il silenzio degli innocenti

Mifune – Dogme 3 {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Iben Hjelje – Anders W. Berthelsen Sceneggiatura e Regia Soren Kragh – Jacobsen Anno di produzione 1998 Distribuzione K films Durata 98’

Terzo dogma del cosiddetto manifesto del ‘95 firmato da una decina di registi scandinavi tra cui Lars Von Trier, Mifune è ispirato alla purezza e ai canoni dettati dalla dichiarazione programmatica sottoscritta dai vari autori. Dopo l’interessante Festen di Thomas Vinterberg, il regista Soren Kragh – Jacobsen ha voluto raccontare una storia ispirata sempre dalla riflessione sulla famiglia e sul significato della parola normalità ai giorni nostri. Proiettato con un’immagine ridotta a un semplice quadrato, il film potrebbe ricordare quasi un super otto familiare degli anni Settanta. In realtà la storia raffinata e assai complessa mostrataci dal regista, scava profondamente nel recondito significato di alcune convenzioni borghesi. Un muro di menzogne sembra separare i protagonisti: Liva la prostituta d’alto bordo trasformatasi in colf va a lavorare da un uomo che ha fatto della bugia l’unico mezzo per farsi accettare dalla ricca famiglia della moglie che certo non vorrebbe un contadino come suo membro. Mentre suo fratello, cerebroleso, vive in un mondo ricco di fantasia, ma anche cosciente della propria dolorosa solitudine. Il fratello adolescente di Liva, invece, mente perché si vergogna della sorella e della maniera con cui questa lo mantiene agli studi in un prestigioso collegio. Una pellicola intrigante che decostruisce la nostra fragile realtà borghese per ipotizzare in maniera divertente e convincente una nuova normalità non fondata sulle convenzioni, ma ispirata dai veri sentimenti.

La ragazza sul ponte {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Vanessa Paradis – Daniel Auteil Sceneggiatura Serge Frydman Regia Patrice Leconte Anno di produzione 1999 Distribuzione K films Durata 88’

E’ una pellicola dalle forti suggestioni felliniane, quella che Patrice Leconte, già autore dello straordinario Ridicule ha realizzato per raccontare la storia d’amore tra le luci e le ombre di un Europa che sembra appartenere ad un altro tempo. Una storia di passione e di amore tra un uomo e una donna che si incontrano per caso su un ponte, mentre lei cerca di scomparire tra le acque sottostanti, annegando in un fiume di oblio. Girato in un bianco e nero lucido e ricco di fascino, La ragazza sul ponte è una pellicola ellittica ed itinerante sulle sponde del Mediterraneo. Da Istambul alla Riviera ligure, il viaggio non solo metaforico dei due protagonisti è un’esplorazione del rapporto tra due esseri distanti, ma simili accomunati da un’unica disperazione e alla ricerca di qualcosa. In questo senso va letta l’estremizzazione della professione di lui che come lanciatore di coltelli cerca di conquistare una nuova consapevolezza in cui l’aspetto artistico non è quello principale.

Janice Beard, segretaria in carriera {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Eileen Walsh – Rhys Ifans – Patsy Kensit Sceneggiatura e Regia Clare Kilner Anno di produzione 1999 Distribuzione LUCE Durata 100’

Diretto dall’esordiente Clare Kilner, il film presenta una struttura molto semplice in cui l’affermazione personale si confronta con un ambiente dai toni volutamente squallidi come perfetta cartina di tornasole per analizzare con ironia le ansie e le ambizioni dei protagonisti in un gioco pieno di humour e di sana malizia. Una pellicola divertente, impreziosita dall’interpretazione della sua buffa protagonista Eileen Walsh, una ragazza irlandese di Cork esordiente. Una vera rivelazione che si confronta con la grazia ancora innegabilmente seducente di Patsy Kensit, nel ruolo della capo ufficio invidiosa e cattivella. In questa celebrazione di uno straordinario umorismo al femminile, c’è anche Rhys Ifans nei panni della spia industriale dal cuore d’oro. L’attore gallese così come in Notting Hill aggiunge un tono di divertente follia a una pellicola dallo schema molto classico, ma non per questo meno convincente e originale. Ifans con il suo stralunato modo di recitare che lo fa apparire perennemente come se si fosse appena svegliato porta alcune situazioni a diventare davvero esilaranti in un film molto piacevole e semplice.

Summer of Sam {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Mira Sorvino – John Leguizamo – Adrien Brody – Jennifer Esposito Sceneggiatura Victor Colicchio Regia Spike Lee Anno di produzione 1999 Distribuzione Eagle Pictures Durata 140’

Dopo il noioso He got game Spike Lee produce un buon film in cui può dare ampio sfogo al suo talento senza che questo soffochi per colpa di una trama spesso noiosa e poco convincente. Summer of Sam nonostante alcune lungaggini ed elementi deboli riporta Spike Lee allo splendore del passato nel raccontare questo spaccato di vita vissuta nell’America degli anni settanta con l’inflazione a due cifre, il prezzo della benzina alle stelle e la crisi con l’Iran. Lo scorcio di anni Settanta raccontati da Lee che utilizza la storia del primo serial killer Daviv Berkovitz come una cartina di tornasole per indagare su quell’epoca è quello degli splendori della discoteca 54, delle camicione in stile La febbre del Sabato sera e del trionfo della musica disco. Summer of Sam è una riflessione simbolica sul significato della tolleranza in una comunità chiusa come quella italo – americana dominata da un padrino – padrone che ha il volto e il carisma di Ben Gazzarra. In questo mondo qualunquista, pieno di personaggi a metà tra il patetico e il commovente, si muovono i due protagonisti John Leguizamo e Mira Sorvino. Una coppia che soffre di tutte le contraddizioni di essere figli di un mondo vecchio e destinato all’estinzione in un’epoca nuova. Lui non riesce a smettere di tradire la moglie e contemporaneamente non riesce a fare a letto con la consorte ciò che fa con le altre. Da qui tradimenti, incomprensioni, utilizzo di droga e l’inevitabile separazione. Il suo amico di una vita diventato punk in cerca di un futuro migliore, è ghettizzato e maltrattato, sospettato da degli stupidi tirapiedi del boss anche di essere il famigerato figlio di Sam che uccide per conto di Satana donne belle e brune. Una riflessione su un piccolo mondo, che appare separato dalla grande città e dai suoi ritmi. Uno spaccato convincente e interessante per raccontare una piccola storia di corna e di debolezze come matrice identificativa di un modo di pensare al suo declino e come paradigma di un’esile società piccolo borghese con ansie di un impossibile arricchimento facile. Stranamente questa pellicola di Spike Lee può ricordare alla lontana un documentario di natura semi storiografica su un mondo che oggi ci appare molto distante. Così come quasi mediocre ci appare la figura del serial killer Berkovitz, che alla luce di tanti mostri suoi epigoni venuti dopo, ci appare come un semplice disgraziato, vittima egli stesso di crisi mistiche. Un’estate quella del ‘77 che con i suoi avvenimenti particolari ha segnato profondamente l’immaginario collettivo americano e non solo. Grande idea quella di Spike Lee di tributare a quei mesi caldissimi non solo in senso climatico una pellicola interessante dove gli attori sono tutti molto bravi e la partecipazione di Mira Sorvino è ridotta grazie a Dio a poche battute basate più sulla prestanza fisica dell’attrice che sulla sua fragile recitazione. Anche queste intuizioni fanno parte del corredo professionale di un autore controverso, ma comunque di grande valore come Spike Lee.

Una relazione privata (Une liaison pornographique) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Nathalie Bayle – Sergi Lopez Sceneggiatura e Regia Frederic Fonteyne Anno di produzione 1999 Distribuzione Lucky Red Durata 80’

E’ un peccato che la storia raccontata in questo film non sia all’altezza della sua narrazione. La modernità della regia di Fonteyne, la sua scelta dei dettagli, l’ottima direzione degli attori stridono incomprensibilmente con una storia che seppure intrigante e interessante, delude per un senso di artificiosità che sembra dominare l’intera pellicola. La storia dello strano rapporto di un uomo e una donna conosciutisi attraverso un annuncio su un giornaletto porno, diventa la metafora di un’umanità formata da uomini e donne capaci di imbastire relazioni fondate sul sesso, ma non ancora in grado di affrontare qualcosa di profondo che prescinda dall’aspetto strettamente carnale del loro rapporto. L’incomunicabilità tra i due personaggi, persone qualunque abitanti a Parigi (ma potrebbe essere una qualsiasi altra città europea) è un muro su cui si scontrano solo falsi sentimenti e vere inibizioni. Un aspetto rilevante del film è che i due estranei non abbiano alcuna difficoltà a lanciarsi insieme in acrobatiche pratiche sessuali (l’aspetto strettamente erotico è peraltro quasi del tutto assente nella pellicola) e che invece siano profondamente inibiti a parlare di se stessi. Non sapremo nulla o quasi dei personaggi del film che raccontano la loro relazione privata con un meccanismo narrativo presente già nei film di Woody Allen. Due interviste parallele condotte da un misterioso intervistatore che in un lungo flashback raccontano la storia di un amore impossibile come negazione di una prospettiva borghese di vita comune. Ed è proprio questa l’unica falla della pellicola: un senso di artificiosa irrealtà condotta sul tracciato di scelte didascaliche che lasciano aperti interrogativi cui risulta pressoché impossibile dare risposta. Un film la cui riuscita in senso più ampio è interamente basata sulla risposta più o meno partecipe da parte del pubblico a tali quesiti e ai dubbi suscitati da un andamento studiato a tavolino per una resa dal punto di vista strettamente cinematografico.

Marco Spagnoli

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