indice ARTE - a cura di Giovanna Grossato - Ottobre 1998

LE STANZE DELLA MEMORIA

Dei ciliegi, l'albero simbolo nazionale del Giappone, solo l'ombra.

La selezione di dieci arristi e dei loro lavori operata da Kazuiko Tomita, giovane ma già affetmato designer contemporaneo che víve tra Tokyo, Nagasaki, Pesaro, Venezia, Milano ed Este, sembra infatti privilegiare il costante rapporto tra l'arte tradizionale del suo paese e gli aspetti più salienti delle vicissitudini artistiche occidentali, proprie di quest'ultimo mezzo secolo di storia.

Chi ancora avesse un'idea troppo tradizionale dell'arte di quel paese, deve necessariamente abbandonarla, una volta entrato nelle stanze di questa esposizione.

La storia sembra quindi ripetersi, ma in senso inverso. Poco più di un secolo or sono l'arte del Giappone si era diffusa in tutta Europa, influenzando non pochi artisti francesi, soprattutto dopo l'Esposizione Universale a Parigi del 1867. Da allora, tuttavia, le tendenze aperte alle visioni occidentali dell'arte, in Giappone si sono moltiplicate sia per contenuti che per tecniche espressive, lambendo, nel secondo dopoguerra, i confini del Surrealismo e dell'Informale. Chi volesse quindi ritrovare nelle opere ora esposte i temi dell'Ukiyo-e, il mondo fluttuante, della Bunjin-ga, la pittura-poesia, o della Nan-ga, la pittura del Sud, non può che restare deluso. Semmai può qui notare come le innovazioni, apportate all'inizio del secolo dal movimento Sosaku Hanga, l'incisione creatrice che ha introdotto in Giappone nuove tecniche incisorie quali la litografla, l'acquaforte, la serigrafia e la fotoincisione, accostandole afla tradizione silografica, abbiano fatto molta strada.

Eppure del Giappone in questa mostra rimane ancora molto nei segni incisi, disegnati o dipinti da questi artisti, alcuni dei quali vivono, ormai da qualche decennio, in Svezia, Italia o Inghilterra.

E' questa, quindi, una mostra all'insegna della memoria, del suo recupero e del suo svolgersi. Memorie personali e intime, memorie nazionali e infine memorie artistiche. Sono appunto le tracce e i segni lasciati nel tempo che ora vengono qui raccolti in queste "stanze della memoria".

I micromondi di Shuhey Matsuyama, eseguiti sovrapponendo carta su carta e leggeri strati di colore, rimandano al senso del suono, lo Shin-On, espresso attraverso i ritmi della materia e del colore. L'artista coglie pertanto il vero suono interiore delle cose, in cui si esprime l'anima e I'essenza del reale, con reciproci riferimenti all'arte sia occidentale, Kandinsky, Cézanne e Fontana, che orientale, primo tra tutti Hokusai.

Ad essi sembrano opporsi, per violenza di immagini, le collografie di Shoko Yomogizawa, una sorta di diario giomaliero di esperienze personali in cui la materia appare in tutta la sua organicità. Memorie quotidiane che atfondano le loro radici nel bozzolo delle forme.

Di segno totalmente differente sono invece le incisioni di Toru Taki con i suoi giochi geometrici di colori nello spazio, che danno vita a forme che si perdono e si confondono, ombre di fiori che si concentrano sugli spigoli, fondamento e base per ogni flessuosa forma evanescente.

Anche le serigrafie di Ryoichi Shigeta, tutte giocate sullo scambio di luce e ombra, di sogno e realtà, dei quali non resta visibile che l'ambivalenza quale unica verità, rimandano al simbolo orientale del Mandala, là dove il cerchio dell'unità si è tuttavia inesorabilmente spezzato. La sua è ancora una ricerca sullo spazio, mediata dallo studio dell'arte europea di Kandinsky o di Klee.

La medesima ambivalenza è presente anche nelle incisioni della più giovane artista del gtuppo, Hiromi Sugiyama. Ciò che prevale nella sua opera è soprattutto la violenza di un segno, rielaborato sul linguaggio e sull'ideogramma cinese e giapponese, con gli opposti significati a cui i segni rìmandano, una volta reinventati e recuperati dalla memoria. Un unico segno esprime quindi l'ambivalenza di acqua o, se letto capovolto, di terra, matrici primarie dell'universo.

Il retaggio dell'arte gestuale, propria dell'Occidente, è presente invece nel calligrafismo di Yasuko Nakanishi, ove la successione di punti, linee e macchie campongono un lungo itinerario verso la riceraa dell'equilibrio, il medesimo presente anche nei frammenri di memoria ricomposti da Minako Masui.

Più legato alla tradizione silografica giapponese risulta invece Kenji Kume. La tecnica mokunhanga e la stampa su carta washi, tipica del periodo d'oro della silografia giapponese antica, vengono ora riproposte nell'indagine compiuta da questo artista sul mondo naturale. Sono le interpretazioni delle stagioni e degli uccelli, che l'Occidente ha conosciuto nel corso degli anni Venti di questo secolo attraverso i pochoir di Edouard Bénédictus, uno dei rappresentanti più insigni della tendenza floreale e decorativa dell'Art Nouveau europea, a sua volta ereditata dall'Oriente.

Passato e presente, Ocaidente e Oriente si mescolano nei continui rimandi delle silografie a colori di Nana Shiomi. I suoi Nirvana abitati dai segni dell'Oriente, Ia luna, il pino, l'acqua che scorre impetuosa o che ristagna, ma anche quelli dell'Occidente, i riferimenti a Cèzanne e a De Chirico, tentano una sintesi poetica di due culture che si incontrano nel nome della memoria, la medesima che viene colta anche nelle maniere nere di Narumi Harashina. I soggetti delle opere di quest'ultimo artista, forse il più letterario fra tutti, mostrano inquietanti presenze che riaffiorano da mondi differenti. Sono maschere, giocattoli e oggetti di mondi tra loro lontani, ma che la memoria restituisce nella lora profonda vicinanza e unità, come in un sogno che con semplicità si vuole raccontare, sbirciando dalla soglia di una porta.

 

Marco Fragonara