SPETTACOLO&MODA - Maggio 1998


I film di maggio (II parte)

Hopkins scopre cos'è l'odio
Blues Brothers, torna il mito

prima parte

Lo sguardo dell’altro (La mirada del otro)

Laura Morante - José Coronado - Miguel Angel Garcia - Miguel Bosé Sceneggiatura Alvaro El Amo & Vicente Aranda tratta dal romanzo di Fernando G Delgado Regia Vicente Aranda Anno di produzione 1997 Distribuzione MEDUSA Durata 100’

Una donna ricca e viziata che cerca di sfamare col sesso la propria solitudine e racconta le sue voglie a un computer digitale giapponese potrebbe non essere stata una storia tanto banale, se il regista Vicente Aranda non avesse deciso, purtroppo, di rendere questa storia di sessualità e abbandono estremi con un gusto tipicamente borghese e fintamente perbenista. Realizzato col senso della trasgressione proprio di chi concepisce questo termine come qualcosa di televisivo e perciò banalotto, Lo sguardo dell’altro è una storia tipicamente borghese, scritta, diretta e montata per una borghesia spagnola ricca e annoiata, con l’intento voyeuristico di reperire anteroi deboli da stigmatizzare e rimproverare per gli stessi vizi. In un mondo fatto solo di soldi, tradizioni e sesso selvaggio e casuale, il personaggio di Begonia interpretato da una sinuosa e dark Laura Morante, si rivela come una povera vittima della propria torbidezza morale.

Lo sguardo dell’altro viene, infatti, rappresentato da una telecamera collegata al computer è quello di un gelido e silente partner che raccoglie in maniera acritica e indifferente la disperazione tronfia e vorace di una donna degli anni Novanta relegata al ruolo di soddisfare le proprie voglie. Un film che racconta il desiderio di "essere una vacca" da parte di un’autorevole esponente della buona borghesia spagnola e che proprio in questo vuole riflettere il suo finto perbenismo e il suo incredibile senso di scandalo. Se il vizio di Begonia fosse stato quello di dare fuoco alle navi fatte di stuzzicadenti, allora sì che ci saremmo fatti delle risate o preoccupati per davvero. Le sue sono solo confessioni fatte per il gusto di sentirsi parlare: nulla di psicanalitico o disperato, dunque. E’ insulso fare finta di non volere fare film morbosi quando la morbosità è l’unico ingrediente autentico - per quanto riprovevole - della pellicola. Begonia è una donna malata e disperata e la sua storia può assurgere agli onori del cinema solo come alibi per mostrare donne talmente nude da essere trasparenti. Piene di vizi così puerili e deboli da ispirare più tenerezza che altro. Quando il sesso è finzione, ci si può solo divertire a guardarlo. Ispirare tragicità o compassione è davvero sperare un po’ troppo.

So cosa hai fatto (I know what you did last summer)

Jennifer Love Hewitt - Sarah Michelle Gellar - Ryan Philippe - Freddie Prinze Jr. Anne Heche Sceneggiatura Kevin Williamson Regia Jim Gillespie Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 100’

Dopo il successo di Scream, Kevin Williamson è uno degli sceneggiatori più apprezzati a Hollywood e così mentre di diletta a scrivere i sequel del film diretto da Wes Craven si cimenta anche con un’altra serie di thriller molto vicini al genere orrorifico che tanto andava di moda qualche anno fa. So cosa hai fatto ha come protagonisti quattro giovani che durante l’estate della maturità uccidono - investendolo - un uomo che in seguito si verrà a sapere essere un ragazzo in preda al dolore per la morte in un altro incidente della sua fidanzata. Le loro vite rimangono sconvolte a tal punto che tutti i progetti che avevano fatto sembrano andare a farsi benedire. Durante l’estate seguente qualcuno fa sapere loro che "sa quello che hanno fatto l’estate passata".

Ben diretto, veloce, con un montaggio che rispetta tutte le caratteristiche dei migliori film di suspence, So cosa hai fatto ha il grande pregio di essere una pellicola che non è mai banale e che riesce a essere terrorizzante proprio quando la normalità sembra dominare la scena. Certo, è un prodotto commerciale, ma lo è di qualità garantendo allo spettatore forti emozioni nel seguire le gesta dei protagonisti del film. Il finale, poi, è tutt’altro che scontato, così come è certo il fatto che la pellicola sia stata confezionata per avere un seguito già in lavorazione negli Usa. È questo, forse, l’unico vero limite del film: quello di essere girato con la consapevolezza di raccontare una storia che non si compie del tutto. So ancora cosa hai fatto sarà l’ultimo atto oppure anche qui c’è il preludio di una piccola saga come per Scream di cui si sta girando Scream 3 ?

La stanza dello scirocco

Giancarlo Giannini – Tiziana Lodato – Paolo De Vita – Francesco Benigno – Tony Sperandeo Sceneggiatura Suso Cecchi D’Amico – Salavtore Marcarelli – Maurizio Sciarra tratta liberamente dal romanzo di Domenico Campana Regia Maurizio Sciarra Anno di produzione 1998 Distribuzione Warner Bros. Durata 89’

Girato con fascino dal regista esordiente Maurizio Sciarra, La stanza dello scirocco racconta con molto tatto e poesia una storia d’amore particolare tra un nobile antifascista costretto a vestire i panni del proprio defunto maggiordomo e una bella e sensualissima popolana nella Sicilia degli Anni Trenta. E Giancarlo Giannini e Tiziana Lodato sono bravissimi a raccontare i sonni e le passioni di due persone tanto diverse e – per questo – tanto disponibili a imparare l’uno dall’altra. Con il sogno continuo di una Parigi lontana e irresistibile, il marchese d’Acquafurata racconta se stesso senza scoprirsi a una donna ignorante, ma non per questo non intelligente e non disponibile a seguirlo nei suoi sogni e nelle sue pazzie. Proprio in quella stanza dello scirocco del palazzo del marchese, luogo di fresche suggestioni e di leggermente indecenti proposte edificato dagli architetti arabi per gli amori dei loro califfi.

Un film divertente, geniale, irresistibile grazie alle belle ambientazioni e alla recitazione di buoni comprimari come Tony Sperandeo, esilarante contrappunto alla folle fantasia del marchese. Fascinoso, con quel tocco di seducente poesia che non guasta mai, La stanza dello scirocco è – a nostro modesto giudizio – la migliore pellicola italiana da un po’ di tempo a questa parte. Girato con intelligenza e simpatia, con tocchi geniali come i monologhi presi da due punti di vista diversi e montati insieme, presenta tutte le caratteristiche migliori del nostro cinema: una storia semplice, lineare, affascinante e intelligente portata con grande passione sullo schermo dall’erede diretto di Marcello Mastroianni, quel Giancarlo Giannini sempre più bravo e carismatico, da una Tiziana Lodato che non è più l’interprete acerba de L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore e da un gruppo di attori bravissimi anche nei ruoli minori. Insomma: un piccolo gioiello.

Mr.Magoo

Leslie Nielsen – Kelly Linch – Matt Keelsar – Malcom McDowell Sceneggiatura Pat Proft & Tom Sherohman Regia Stanley Tong Anno di produzione 1997 Distribuzione Buena Vista International Durata 87’

Non fa molto ridere, purtroppo, Leslie Nielsen nei panni del miliardario Mr.Magoo che viene dritto, dritto dai cartoni animati che sembrano essere davvero molto più divertenti e originali rispetto a questa spiacevole pellicola diretta nientedimeno che da uno dei mostri del cinema di Hong Kong, Stanley Tong.

Se all’inizio Magoo viene caratterizzato discretamente dall’irresistibile Nielsen, nel corso della pellicola questa identificazione viene meno lasciando il protagonista di film come La pallottola spuntata o Dracula a fare semplicemente quello che in tutte le altre pellicole che lo vedono protagonista. Forse, sarà un film diretto a un pubblico composto principalmente da bambini, ma è anche vero che i piccoli di oggi sono molto smaliziati e – certamente – preferiranno assai di più il personaggio dei cartoni animati come stanno a testimoniare anche i due cartoni che costituiscono le animazioni dei titoli di testa e di quelli di cosa, sicuramente più divertenti e originali del resto della pellicola. Ci si doveva aspettare molto di più da un film che vede perfino la partecipazione di Malcom McDowell nel ruolo del cattivo.

Deep Rising

Treat Williams – Famke Janssen Sceneggiatura e Regia Stephen Sommers Anno di produzione 1997 Distribuzione MEDUSA Durata 106’

Girato in poco più di ottanta giorni, Deep Rising è – per stessa ammissione del suo regista - un pop corn movie, ovvero un film che non deve ispirare grandi riflessioni, ma che si può godere con semplicità e tranquillità. Ed è vero che nonostante gli schifosissimi esseri marini che divorano i passeggeri di una delle navi più belle del mondo in una zona sperduta dell’oceano, Deep Rising è una pellicola che colpisce per la sua semplicità al punto da renderlo veramente esilarante e godibile. Si seguono, infatti, con passione e ansia le avventure del gruppo di terroristi che abbordata la nave con l’obiettivo di derubare i passeggeri devono cercare a tutti i costi di salvarsi dalle spire dei mostri marini che hanno divorato tutti gli occupanti della Argonautica raggiunta in alto mare. Pieno di sviste, un po’ Alien, un po’ The Abyss, un po’ Leviathan, un po’ Titanic, Deep Rising è un film ironico che ricorda, forse, suo malgrado le parodie create da Mel Brooks. Con personaggi divertenti e dialoghi stupidi né più, né meno come quelli di tutti i film di avventura hollywoodiani, questo film è la scelta giusta per chi vuole essere scosso da emozioni forti senza farsi troppe domande. Un film per il gusto di andare a cinema e di non rimanere delusi da una vera sciocchezza, però sincera e di qualità.

Il grande Lebowski (The big Lebowski)

Jeff Bridges - John Goodman - Julianne Moore - Steve Buscemi - David Huddleston - Ben Gazzarra - David Thewls - John Turturro Sceneggiatura Joel & Ethan Coen Regia Joel Coen Anno di produzione 1998 Distribuzione Cecchi Gori Durata 117’

Dopo il fortunatissimo e sopravvalutato Fargo, i fratelli Coen tirano fuori un film divertentissimo e di qualità intitolato Il grande Lebowski, storia pulp metropolitana che vede Jeffrey "Drugo" Lebowski, musicista sbandato disoccupato, coinvolto in una strana storia di rapimento. Con una regia visionaria e una sceneggiatura omogenea e esilarante, i due fratelli sceneggiatori esplorano un mondo a prima vista assurdo come quello della Los Angeles ricca e annoiata contrapponendolo a quello degli sbandati reduci degli anni Settanta. A metà tra il Bowling e l’industria del cinema porno, tra fondazioni per artisti di strada e sognatori da fast food, accompagnato da una colonna sonora di gran qualità (Dylan, Eagles, Creedence Clearwater Revival, Elvis Costello) tutti i personaggi vengono seguiti e descritti abilmente con pochi tratti : Drugo (Jeff Bridges) è un ex-musicista pieno di sani principi e di molto alcol, Walter (John Goodman) è un divorziato attaccabrighe con la lingua sempre in moto, Maude (Julianne Moore) è l’artista appassionata che odia la vita di suo padre, Donny (Steve Buscemi) è l’idiota di turno, Jesus (John Turturro) è un pervertito sessuale maniaco anche del bowling. Insomma, tutte figure molto particolari che vengono utilizzate come ingranaggi per una storia divertente, originale e simpatica. Proprio quando Tarantino ha abbandonato il genere, ecco i fratelli Coen impadronirsi del pulp con uno stile molto particolare e intelligente che si concretizza in un film "speciale" con delle punte di genialità come quando vengono descritti i sogni di Drugo. A metà tra il bowling e l’oro del Reno, immagini oniriche di raro fascino e simpatia.

Blues Brothers 2000

Dan Aykroyd - John Goodman - Joe Morton - J. Evan Bonifant – La Blues Brothers Band - Aretha Franklin - James Brown - B.B. King - Kathleen Freeman - Sam Moore - Wilson Pickett - Frank Oz - Eddie Floyd - Erykah Badu - Eric Clapton - Clarence Clemons - Bo Diddley - Isaac Hayes – Paul Shaffer - Steve Winwood – Sceneggiatura John Landis & Dan Akroyd Regia John Landis Anno di produzione 1998 Distribuzione UIP Durata 120’

Come abbiamo già anticipato nel numero di marzo, Blues Brothers 2000 non è tanto un sequel della pellicola di diciotto anni fa, quanto piuttosto un omaggio tardivo e fascinoso a una delle saghe di fine millennio. Visto in quest’ottica si possono perdonare a questa pellicola che racconta le peripezie di un Elwood (Dan Akroyd) orfano di fratello e uscito di galera per ricostituire la mitica band.

Ma sebbene gli anni siano passati, Dan Akroyd sembra non avere perso nemmeno per un attimo lo smalto del passato (è dimagrito di molti chili per girare questo film) che gli consente di trovare nuovi fratelli e di rimettere insieme la band per un’avventura numero 2 oppure 2000 come gioca abilmente il titolo.

Eversivo, esilarante e buffo il film fa dimenticare il trascorrere degli anni, le rughe e le curiose incertezze di una sceneggiatura forse un po’ troppo uguale a quella dell’originale. Così nel cast smisurato di attori e cantanti si leggono i nomi di coloro che nell’ultimo ventennio hanno fatto contemporaneamente la storia del cinema e della musica blues. Una pellicola all’altezza dell’originale di cui è consacrazione e tributo, capace di suscitare ricordi e emozioni sepolte da anni, con una colonna sonora da brivido.

So cosa hai fatto (I know what you did last summer)

Jennifer Love Hewitt - Sarah Michelle Gellar - Ryan Philippe - Freddie Prinze Jr. Anne Heche Sceneggiatura Kevin Williamson Regia Jim Gillespie Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 100’

Direttamente dallo sceneggiatore di Scream ecco arrivare un bel thriller adolescenziale incentrato sulla storia di quattro ragazzi che decidono di tenere per sé un omicidio che avrebbero compiuto tutti insieme in una notte d’estate, non avendo prestato soccorso a un uomo che hanno investito. L’estate dopo si rincontrano e scoprono che qualcuno li sta cercando per quel delitto tutt’altro che perfetto.

Con i migliori ingredienti del genere : belle ragazze spaventate, riprese che lasciano montare la suspence e una storia tutt’altro che banale e incredibile, il regista esordiente Jim Gillespie ha saputo sfruttare al meglio i momenti migliori per costruirci su una pellicola di successo il cui finale - purtroppo - prelude palesemente a un seguito che è già in cantiere negli Stati Uniti. Comunque, nonostante si debba attendere a lungo per vedere il sequel intitolato So ancora quello che hai fatto ci possiamo godere questa pellicola piena di momenti di puro terrore, soprattutto perché tutto avviene in maniera credibile e in situazioni normali. Nulla di soprannaturale o di assolutamente impossibile : un banale incidente d’auto, un’incresciosa omissione di soccorso, un atroce tentativo di annegare uno sconosciuto diventano le basi per sconvolgere la vita di quattro giovani qualsiasi che - pur mantenendo il silenzio su ciò che hanno fatto - non riescono a tacitare le proprie coscienze che impediscono loro di "riappropriarsi" delle proprie vite. Francamente avremmo aspirato a una sorta di nemesi psicologica nel vedere questa pellicola, ma è facile rendersi conto che - forse - si sta chiedendo davvero troppo a un prodotto comunque di natura commerciale.

Soluzione estrema (Desperate measures)

Michael Keaton - Andy Garcia - Marcia Gay Harden - Brian Cox Sceneggiatura David Klass Regia Barbet Schroeder Anno di produzione 1998 Distribuzione Cecchi Gori Durata 100’

Frank Connor (Andy Garcia) è un poliziotto di San Francisco ligio al dovere, ma è improvvisamente costretto a scegliere vie poco ortodosse per trovare un donatore di midollo osseo per suo figlio Matt, gravemente ammalato. Peter McCabe (Michael Keaton) è l’unica persona il cui DNA è compatibile con quello del ragazzo, ma c’è un problema: si tratta di un pericoloso omicida che sta scontando l’ergastolo in un carcere di massima sicurezza. Frank è disposto a tutto pur di salvare suo figlio e tenta di scendere a patti con Peter.

E’ stupefacente vedere come, ultimamente, alcuni tra gli attori che solitamente rivestono il ruolo del buono o dell’eroe, quando decidono di passare "dall’altra parte" si trasformano in viscidi gaglioffi, la cui "cattiveria" è talmente esagerata da risultare ridicola e grottesca.

Dopo Bruce Willis versione killer, visto in The Jackal, ecco arrivare quel simpaticone (di solito) di Michael Keaton nei panni di uno psicopatico omicida. Assassino sì, ma dotato di un’intelligenza superiore, Peter McCabe è una sorta di genio del male capace di utilizzare la sue conoscenze in campo informatico e chimico per evadere da posti controllati da un intero esercito, nonchè di sottoporsi a terribili prove fisiche pur di riuscire nel suo intento di fuga.

Keaton, con tanto di occhialetto intellettuale e ghigno satanico, rende ogni "prodezza" di McCabe irresistibilemente comica, mentre nei panni del poliziotto, vedovo e col figlio malato, troviamo un Andy Garcia in versione last hero come da copione del più scontato action-movie d’oltreoceano. Tra sparatorie, esplosioni e stragi di innocenti non poteva mancare l’elemento-commozione racchiuso nell’irritante ruolo del piccolo Matt che a soli 9 anni sciorina discorsi sull’esistenza e sulla morte, di fronte ai quali gli adulti (papà e criminale compresi) non possono che restare stupefatti.

Secondo le intenzioni di Schroeder questo film avrebbe dovuto essere "un omaggio al thriller classico con un’intensità vicina allo stile di Hitchocock", peccato che risulti solo un rumoroso patchwork di situazione già viste in tanti film d’azione. Forse con un finale - che non ovviamente non sveleremo - un po’ più comico.

e.s.

Lo straniero che venne dal mare (Swept from the sea)

Vincent Perez - Rachel Weiss - Ian McKellen - Jos Ackland - Kathy Bates Sceneggiatura Tim Willocks tratta dal racconto "Amy Foster" Regia Beeban Kidron Anno di produzione 1997 Distribuzione Columbia Durata 114’

Il mare dà la salvezza, il mare porta fortuna, e chi ha il mare dentro sa cos’è la vita come la giovane Amy Foster (Rachel Weiss) sorprendente figura protofemminista, eppure inchiodata ad essere una donna qualunque in un ignorante mondo maschile di fine secolo scorso.

Ed è un’immensa distesa di acqua a fare cornice e contrasto alla grettezza di un piccolo paese della Cornovaglia dove l’Oceano abbandona sulla spiaggia un giovane russo emigrato (Vincent Perez) unico superstite di una nave che sempre il mare non ha voluto fare arrivare in America.

Ed Amy, odiata senza motivo da paesani bifolchi e stupidi è l’unica che cerca di capire lo straniero, solo come lei tra estranei crudeli che lo scambiano per ritardato.

Metafora dell’alieno, dello straniero, dell’emigrato in una terra dove l’unico uomo illuminato è un medico (Sir Ian McKellen da Oscar), Lo straniero che venne dal mare è un adattamento di un racconto di Conrad, dove l’oceano campeggia sovrano. Ciò che il mare divide, il mare riunisce e l’amore dei due giovani supera la stupidità degli uomini del villaggio come le onde oltrepassano gli scogli. Sebbene come gli stessi flutti esso si infrange contro la barriera della marmorea stupidità e ignoranza - al tempo stesso - sempre come le onde rapiscono il nostro sguardo, l’amore dei due andrà oltre il tempo e lo spazio.

Il finale, drammatico, sarà quello di un senso di civiltà e di uno splendore pressoché assoluti. L’incontro contro la minaccia, il pane contro le botte, la danza contro l’alcolismo cronico, il silenzio contro l’ingiuria, la saggezza contro l’ignoranza sono i santi cardini sui quali il regista esordiente Beeban Kidron incastona una fotografia travolgente e la colonna sonora toccante di John Barry. Un film affascinante, triste, doloroso e romantico senza alcuna banalità. Per una storia di amore, perdono, tolleranza, speranza e redenzione che lascia il segno. Interpretata da un cast di attori veramente che danno una prova veramente eccezionale, la storia risulta essere moderna, attuale e vagamente colpevolizzante l’atteggiamento degli stolti contro l’immigrazione.

Un film che farà piangere e sognare, per raccontare la storia antica di migliaia di anni dell’uomo che solca il mare per cercare la felicità e ci riesce. Lo straniero che venne dal mare è - senza alcun dubbio - un piccolo capolavoro che mette a nudo l’ignoranza di chi ancora oggi - alle soglie del Duemila - guarda l’estraneo con odio e disprezzo e di chi ha paura del viaggio dell’anima, verso la felicità e verso l’amore.

Deep Impact

Tea Leoni - Morgan Freeman - Elijah Wood - Robert Duvall - Vanessa Redgrave Sceneggiatura Michael Talkin & Bruce Joel Rubin Regia Mimi Leder Anno di produzione 1998 Distribuzione UIP Durata 120’

Quando gli effetti speciali non bastano, nemmeno un gruppo di buoni attori è in grado di salvare un film con una storia originale, non eccessivamente - però - strutturata come ci si sarebbe potuto aspettare.

Dispersivo, incomprensibilmente retorico, mirato a colpire sentimenti facili Deep Impact è un’occasione sprecata per la bravissima regista di The Peacemaker Mimi Leder che con una regia veloce, anche se non particolarmente ispirata è riuscita a produrre una pellicola melensa e solo a tratti avvincente. Un meteorite sta per colpire la terra, così viene organizzata una missione congiunta tra Stati Uniti e Russia per distruggere la più seria minaccia mai esistita per l’estinzione del genere umano. Lo shuttle guidato da Robert Duvall fallisce l’operazione di far esplodere la cometa, così viene estratto a sorte il nome di circa un milione di persone che potranno sopravvivere in un bunker del Missouri insieme a un gruppo di animali con lo stesso intento dell’Arca di Noé.

Con Morgan Freeman nel ruolo del Presidente degli Stati Uniti e Tea Leoni in quello di una giornalista con qualche scrupolo di coscienza e una famiglia allo sbando, Deep Impact non presenta però, che pochi momenti interessanti . Un film facile, troppo facile e lungo, spesso noioso che con molta ripetitività fa il verso a pellicole come Meteor e ad altri film catastrofici. Girato con poca ironia e con ancor meno originalità, trova dei grandi momenti di cinema soltanto nelle riprese d’azione realizzate con capacità e inventiva. Purtroppo - lo si è già detto - gli effetti speciali non bastano a salvare un film stritolato da una storia eccessivamente banalizzata che tocca tutti i luoghi comuni delle pellicole del genere. Perfino Morgan Freeman ci appare spento e incapace di bucare lo schermo come al solito. Che fosse il ruolo a non convincerlo ? Oppure una sceneggiatura dispersiva e con poco spirito innovativo ?

Marco Spagnoli