Index POLITICA - Giugno 1997



Ve lo dò io il federalismo

Il relatore della bozza portata in Bicamerale sull’ordinamento federalista dello Stato, il Ccd Francesco D’Onofrio, ha scelto il Nordest per la sua prima uscita ufficiale. Una scelta non casuale, visto che è soprattutto in queste zone che tra i piccoli imprenditori crescono le voglie autonomiste. Anche se resta il sospetto che il blitz dei separatisti a Venezia abbia accelerato i tempi

Ha scelto proprio una città del Nordest per la sua prima uscita ufficiale. Sarà un caso, ma difficile pensare che il relatore della prima bozza di ordinamento federale dello Stato italiano (il testo completo è pubblicato in questo numero di Nautilus), l’ex Dc e ora onorevole del Ccd Francesco D’Onofrio, non l’abbia scelta apposta. E forse non ha sbagliato, visto che lui, all’assemblea generale dell’Api (associazione piccole-medie industrie) di Vicenza dedicata al tema "Federalismo, subito!" (scritta proprio così, con il punto esclamativo) ha parlato probabilmente con sincerità. Forte della sua "passione" federalista di lunga data (e riconosciuta anche dagli avversari: non per nulla il presidente della Bicamerale D’Alema gli ha affidato la stesura della bozza). E anche del fatto che era davanti a quegli imprenditori ricchi e infelici che sembrano diventati lo spauracchio economico del governo.

Il moderatore Giorgio Lago, ex direttore del Gazzettino di Venezia e co-fondatore del neonato movimento del Nordest, lancia la provocazione: "L’impressione che abbiamo in molti è che questa improvvisa spinta federalista della Bicamerale sia arrivata all’ultimo minuto. Insomma dopo il blitz sul campanile di San Marco ecco subito le proposte. E qui nel Veneto proprio per questo c’è diffidenza verso una così strana accelerazione…".

D’Onofrio non si nasconde: "Sono preoccupazioni non infondate – dice – Solo che lo scetticismo non posso combatterlo a parole, ma devo provarci con i fatti. Intanto devo dire che la stampa non ha parlato del problema federalismo fino ai fatti di Venezia. Insomma nei tre mesi precedenti, mentre io lavoravo al progetto, giornali e tv non mi hanno dedicato una riga…". Archiviata la questione con la solita colpa data ai giornalisti, D’Onofrio continua: "Premesso che sono federalista da sempre, il problema è che l’esperienza delle Regioni così come concepita nella riforma dei primi anni ’70 è fallita: il mio modello per contro non vuole creare degli "staterelli", ma caso mai va molto oltre. Perfino delle regioni a statuto speciale".

Esempi? "Basta ai controlli preventivi delle Regioni sulle attività amministrative del territorio. Stop anche alle riserve di legge sull’organizzazione amministrativa locale. Con questa riforma non si dovrebbe più chiedere permessi a nessuno su come organizzare il potere amministrativo. Ma sono principi che incontrano grandi ostacoli". Perché secondo D’Onofrio "è la società civile che è centralistica, più della burocrazia. Mi spiego: i beni demaniali, ad esempio, passerebbero ai Comuni, ma molti si oppongono. E’ una battaglia appena iniziata, ci vorrà tempo". Inutile dire che le perplessità non mancano: trasferire i beni del demanio (cioè dello Stato) ai Comuni può essere pericoloso. Cosa sarà delle spiagge, oggi controllate dallo Stato, nelle mani di qualche amministrazione affamata di cemento?

Un’altra delle perplessità è che, tra una mediazione e l’altra, del federalismo ne venga fuori un "papocchio". "Papocchio? – dice il deputato del Polo – No, ci sarà poi il voto, a decidere saranno gli italiani. Quello che è bene sapere è che la bozza che ho presentato deriva dal testo Tremonti (ex ministro del governo Berlusconi) e dalla proposta della Lega ad Assago nel ’93. Quando ancora non aveva idee secessioniste. A parte questo, non si può fare un cambiamento simile senza l’intervento delle forze che hanno lanciato la tesi federalista, cioè la Lega (ancora non c’era stato il voto-beffa del Carroccio sul semipresidenzialismo, magari D’Onofrio cambiava idea: ndr) L’importante è capire che è stato il moltiplicarsi delle burocrazie, il sovrapporsi di controlli e autorizzazioni, che hanno fatto fallire le regioni. Il futuro governo dello Stato federale dovrà occuparsi di poche cose: la difesa, gli esteri, istruzione, moneta, grandi opere strutturali in materia di trasporti ed energia. Di sicuro non più di stabilire il numero minimo di alunni per classe come fa adesso…".

Stefano Stefani, presidente della Lega Nord, inorridisce in puro stile bossiano (tanto che lo imita anche nella voce, manca solo l’accento lombardo…) quando legge nella bozza D’Onofrio la frase "i tributi applicati dallo Stato sono destinati anche alla perequazione e alla solidarietà, con particolare riferimento alle aree meno sviluppate, alle Isole e al Mezzogiorno (…)". "Cos’è sta perequazione? Non vorrà mica dire che tutte le Regioni sono uguali anche per il fisco?". D’Onofrio sospira: "Ma no, non hai capito, te lo spiego io cosa vuol dire: che progressivamente bisogna potenziare le aree meno fortunate, non che entrate e uscite saranno uguali per tutti. Comunque ben venga il federalismo fiscale, ma ricordiamo che gli interessi sul debito pubblico sono compito statale, non locale. Cosa succederà adesso? Io credo che la mia bozza sarà votata in Bicamerale a grande maggioranza come testo base. Altrimenti confermo che mi dimetterei".

Chiude Lago, ma con una domanda. Destinata, per ora, a non avere risposta: "Ma la Bicamerale invece di discutere di doppio turno e presidenzialismo o di sistema maggioritario e proporzionale, non dovrebbe decidere prima la struttura federalista dello Stato?"

Alessandro Mognon