Index LETTURE&SCRITTURE a cura di Giulio Mozzi - Marzo 1997

Non solo libri (I parte)
Recensioni, schede e notizie

AVVISO AI NAVIGANTI. Gli editori che volessero proporre volumi o riviste per recensione devono inviarli al seguente indirizzo: Nautilus, Ashmultimedia, via Fra' Paolo Sarpi 16, 36100 Vicenza, all'attenzione di Giulio Mozzi.

Poesia dagli Usa. Shannon Hamann, L’immaginazione violenta, trad. di Maria Pian De Nardo e Colleen Campbell, pref. di Arturo Zampaglione, Cadmo, pp. 112, L. 18.000

Se qualcuno aveva bisogno di una conferma della vocazione narrativa della poesia statunitense, si legga Shannon Hamann. Le sue poesie sono per lo più brevi racconti, che sembrano scegliere il verso per raggiungere la massima velocità e concentrazione (a dire il vero, alcune di quese poesie sono in prosa, o miste di prosa e versi): e la loro forza spesso sta nella feroce battuta finale. Come nella prima parte di Three (Tre): la signora Adderley sta vegliando il proprio bambino morente e si butta a pregare Dio:

 

 

And prayed to God, "Please God, let my son live!

Please, please, please, please, please, please, please,

Please, please, please, please, please, please, God, oh please,

Let him live!" (As embarrassing as it is, it is what she said.)

The child only grew sicker as she prayed late into the night.

Finally, beside herself with anguish, she announced,

"I would kill a thousand children so that my one might live!".

At this point God answered her,

"I will spare your son

On one condition..."

"Anything!" Mrs. Adderley responded.

Said God, "You must kill one thousand children.

By tomorrow night."

"Tomorrow night? What time?"

"Oh, eightish."

Mrs. Adderley choked back her tears

And forced yourself into a semblance of composture.

She knew what she had to do.

She had to begin immediately.

(E pregò Dio, "Dio ti prego, fai vivere mio figlio! / Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, / ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, oh Dio, ti prego / lascialo vivere!" (Per quanto sia imbarazzante, è ciò che disse.) / Ma il bambino si aggravò mentre lei pregava fino a notte inoltrata. / Infine, fuori di sé per l’angoscia, esclamò, / "Ucciderei mille bambini purché il mio possa vivere!" / A questo punto Dio le rispose, "Risparmierò tuo figlio / ad una condizione..." "Qualsiasi cosa!" rispose la signora Adderley. / E Dio disse, "Devi uccidere mille bambini. / Per domani sera. "Domani sera? Per che ora?" / "Oh, attorno alle otto." La signora Adderley cacciò indietro le lacrime / e si sforzò di acquistare una parvenza di compostezza. / Sapeva quel che doveva fare. Doveva cominciare immediatamente.")

Il titolo di questa raccolta italiana, L’immaginazione violenta, è pienamente giustificato. Hamann ci mette difronte a scene di violenza quasi inconcepibile e, soprattutto, scene nelle quali la violenza sta dalla parte impensata: è violento il dio che dice con nonchalance "Oh, attorno alle otto", non la donna che per salvare il figlio è pronta a ucciderne mille altri. L’immaginazione su dio torna spesso nei testi di Hamann, soprattutto l’immaginazione sulla violenza divina. In The Carpenter and the Moon (Il carpentiere e la luna), si legge: "Poiché Dio amava così tanto il mondo, che sacrificò il suo unico figlio... / In altre parole, quando ami qualcuno, uccidilo in modo / straordinario." E insieme questi testi sulla violenza divina (e degli uomini che si credono dèi) sono una riflessione sulla natura della bellezza, come ad es. in The Daffodil (Il tromboncino), che riassume la storia di Jeff Dahmer (un serial killer, il cosiddetto "mostro di Milwaukee" arrestato nel 1991, ucciso da un detenuto nel 1994): "Vedi, in un mondo migliore [...] / potresti cucinare e mangiare senza vergogna sedici ragazzi rosolati / [...] / e tu saresti condotto non in un tribunale / ma in una commissione di estetica, dove la domanda non sarebbe / Come hai potuto? ma Che gusto aveva? Se qualcuno ancora crede alla amoralità della letteratura, e al nostrano cannibalismo come liberazione di tale cosiddetta amoralità, provi a confrontarsi con la contraddittoria e freddamente ironica moralità di Hamann. La moralità in letteratura consiste precisamente nell’aprire questioni, nel porre domande. Le questioni aperte da Hamann sembrano insolubili, le domande che pone sembrano senza risposta. A meno che la risposta non sia, proprio, la tremenda bellezza di queste poesie. (Che in più punti, forse, potevano essere tradotte meglio. Ma la lingua italiana è ancora priva di una tradizione moderna di poesia narrativa, e le difficoltà per chi traduce sono enormi.)

Shannon Hamman è nato a Omaha (Nebraska, Usa) nel 1966. Nel 1991 ha conseguito la specializzazione in scrittura creativa presso l’università dello Iowa. Sue poesie sono state pubblicate in numerose riviste, tra le quali il New York Quarterly. Attualmente cura il periodico di arte e poesia contemporanea Mudfish e insegna scrittura presso la Long Island University di New York. Edizioni Cadmo, via Benedetto da Maiano 3, 50014 Fiesole (Firenze), tel 055-50181, E-mail: edizioni{Sostituisci con chiocciola}casalini.cafi.it, sito http//www.cafi.it
[riga][su]

Poesia su disco. Pier Paolo Pasolini, Rca/Bmg, aad, cd 74321-27043-2

Questo cd (realizzato da Sergio Bardotti) contiene cinque testi di Pier Paolo Pasolini letti da Pasolini stesso: "Il canto popolare", "Le ceneri di Gramsci", "La terra di lavoro", "La Guinea" e "Meditazione orale". I primi quattro testi sono stati registrati nel 1962, l’ultimo nel 1970. Si dice che spesso gli scrittori, e in particolare i poeti, non siano particolarmente abili nella lettura dei propri testi; questo non si può dire per Pasolini, che sicuramente legge in modo molto diverso da come potrebbe leggere un attore o un cosiddetto fine dicitore: l’enfasi è ridotta al minimo, la lettura è quasi piatta, monotona, eppure sensibilissima allo snodarsi sintattico del testo. Si potrebbe forse chiamarla una lettura analitica e antispettacolare. D’altra parte, è una lettura che priviegiando appunto lo snodarsi sintattico passa sopra alla struttura metrica, smorzando gli enjambements e facendo sentire appena le rime e le assonanze. Comunque è impressionante.

Il libretto che accompagna il cd contiene solo i testi letti (con qualche refuso che poteva essere eliminato); nessuna notizia (che sarebbe stata gradita) sulle registrazioni, la loro occasione ecc. Molto belle le due fotografie (di Enrico Liverani) riprodotte in copertina e controcopertina.

[riga][su]

Poesia dall’Italia. Pietro Bruno, Futuro anteriore, Edizioni del Leone, pp. 63, L. 14.000

Non sarà (non è) grande poesia, ma quella di Pietro Bruno è una poesia onestissima. Nei testi che compongono questo libro (tre poemetti con un prologo e un congedo, o piuttosto un "poemetto per quadri", come scrive Paolo Ruffilli nella nota in quarta di copertina) c’è una rievocazione dell’infanzia, una meditazione su dio, un tranquillo bilancio esistenziale. La sezione che s’intitola "Sacrificio" ci sembra la più bella. Ci sono delle scene al mare (il mare di Messina!) veramente molto vive e dette con grande grazia: "[...] un mare bambino / che cantava nel coro / della colonia / (quanti bambini eravamo / quanti bambini!)"; "C’era una volta il mare / di vele rosse / sotto un sole giallo" (pp. 44-45). E un piccolo prodigio di conversazione riportata in versi: "«Fai come t’ha insegnato / tua sorella / così fai solo schiuma!»" (p. 44). Notiamo che in prosa queste frasi sarebbero state gridate, sarebbero entrate in una scena con più avvenimenti ecc.: Pietro Bruno, estraendole e isolandole (tra due righe bianche) riesce nell’effetto di cambiarle di tono, trasformarle in parole-oggetto dell’infanzia. Magari sarà poesia da niente (gozzaniana), questa, ma ci sembra che ci sia una corrispondenza perfetta tra quelle che il lettore percepisce come intenzioni del testo e l’esecuzione. In somma, si ha esattamente quel che ci si aspetta, il patto autore/lettore è rispettato. E allora non ci si preoccupa troppo se questa poesia riecheggia altre poesie, se ci rendiamo conto che Pietro Bruno non inventa un linguaggio sua ma usa, con prudenza e compitezza, un linguaggio inventato da altri: ad esempio, c’è molto Paolo Ruffilli in questi versi; e forse anche la scelta del poemetto è ruffilliana. Anche se c’è qualche tentativo di scatto alla Caproni ("D’abitudine poi / come da liturgia / aggiunse / così sia", p. 51: questo è lo scatto capronico meglio riuscito). Comunque il tono specifico di questa poesia non si trova tanto nel lessico o nell’esecuzione del singolo verso, ma piuttosto nel ritmo delle strofe. Alcune sono proprio belle, e si sente che lì è la vera voce dell’autore. Ad esempio la deliziosa: "Adesso prendo Gretel / per la mano / perché da sola / non deve attraversare / la foresta. / Al bar di marzapane / compreremo / i cannoli della festa. / Se state buoni. / Diventano diamanti le castagne, / se state buoni" (p. 59).

Pietro Bruno, classe 1942, ingegnere minerario. Ha pubblicato la raccolta di versi Il sole tramonta ad oriente (Edizioni del Leone).
[riga][su]

Letteratura e conformismo. Arnaldo Colasanti, Novanta: il conformismo della cultura italiana, Fazi, pp. 155, L. 22.000

Questo Novanta di Arnaldo Colasanti (che ricorda irresistibilmente, sgradevolmente, e credo per precisa intenzione dell’autore, un orribile film con Ezo Greggio, Massimo Boldi & C.) è uno dei libri più irritanti e insopportabili che siano stati pubblicati in Italia negli ultimi dieci anni; tuttavia, è un libro che chiunque si occupi (anche da semplice lettore) di letteratura italiana dovrebbe comperarsi e leggersi con attenzione. Qui Colasanti riunisce, riscrivendoli e aggiungendoci un paio d’altri saggi, alcuni articoli al vetriolo (come si diceva una volta: oggi il vetriolo non si sa più nemmeno cos’è) già pubblicati in Nuovi argomenti: che è qualcosa come, anche se spiace dirlo, la più prestigiosa e istituzionale rivista di letteratura in Italia. Materiali che dovevano essere rifusi, spiega Colasanti nella prefazione, in "un più ampio studio della narrativa italiana di questi anni", e se ne sono staccati essenzialmente per la loro natura polemica. "La natura polemica è il prolungamento di una critica letteraria sempre meno ossessionata da metodi e da poetiche ma votata, piuttosto, alla ricerca della più radicale individualità di ogni libro: perché un romanzo o una raccolta in versi ci interessano soltanto per la loro verità di senso." (p. vii).

Bene: fin qui, siamo con Colasanti senz’altro. Abbiamo bisogno di critici che scrivano articoli, recensioni e saggi usando il pronome "io", esponendosi, lottando con i testi dei quali parlano (citiamone uno: Tiziano Scarpa, gentile mostro d’intelligenza critica, attualmente più noto come autore di Occhi sulla Graticola, Einaudi). Abbiamo bisogno di critici che raccontino sé stessi nell’atto della lettura: "quando si staccano i telefoni e si chiudono le finestre; quando il mondo scompare e lascia che la luce diffusa di un libro ti riconcili con il silenzio, con le paure del giorno, comincia allora per te un atto di serietà a cui non andrà rubato nemmeno un istante di attenzione e di cura" (p. 5). Ancora bene: questo è uno scoprirsi, un venire verso il lettore. E ci piace l’espressione "atto di serietà", felicemente incongrua in questi tempi di irridente postmodermisticismo trash. E meglio ancora qualche pagina dopo, quando Colasanti arriva proprio a scoprire tutto: "Proviamo ad azzerare le polemiche e a chiederci altro. Per esempio: la letteratura è ancora una parte essenziale della vita? e per chi? cosa significa riconoscere allo scrivere un’auctoritas, un valore di possibile esperienza individuale quanto collettiva?" (p. 16). "Qual è il valore etico di un libro?" (p. 27). Abbiamo proprio bisogno di tornare alle domande elementari, quelle più imbarazzanti e screditate. Non abbiamo nessuna voglia di rinunciare all’attrezzatura tecnica del critico e del filologo (soprattutto del filologo), tuttavia abbiamo un grande bisogno di sentirci uomini e donne, non giornalisti o accademici.

Ben venga quindi questo Novanta, libro profondamente ingiusto, prolisso, insolente. Anche se troviamo abbastanza folle dedicare venticinque pagine a dir male di Và dove ti porta il cuore (quando bastava una frase, p. 43: "Possibile che uno scrittore disprezzi a tal punto i suoi lettori e gli offra tutto questo?") e ventidue a stroncare il "libro del papa", ossia Varcare la soglia della speranza a cura di Vittorio Messori. Questo intervento, tra l’altro, provocò un polverone all’italiana (cioè della durata di cinque minuti) quando uscì su Nuovi argomenti, e non va esente da sospetti di desiderio di stupire.

Su un punto Novanta è inaccettabile. Spesso la lingua prende un’andatura da ufficio sacro che non ci piace affatto. Il primo esempio: "la letteratura distrugge tutti coloro che si prostrino e ne accettino l’incanto, e confondano la vera posta in palio della bellezza: il fatto che solo in lei si rifletta il senso della vita, la morte che ci guarda, le ore pulite del mattino, la quiete della domenica..." (pp. 3-4). Bisognerebbe ricordarsi che la letteratura, di per sé, è solo una delle tante attività umane.

Arnaldo Colasanti, classe 1957, è caporedattore di Nuovi argomenti. Ha pubblicato A giorno chiaro: ritratti di poesia italiana (Rotundo, Roma, 1991) e numerosi studi di letteratura italiana e francese. Quasi contemporaneamente a Novanta ha pubblicato La nuova critica letteraria nell’Italia contemporanea (Guaraldi, pp. 350, L. 30.000), un’antologia che fa evidentemente da pendant a Novanta (il primo saggio del quale è sostanzialmente l’introduzione alla Nuova critica).
[riga][su]

Letteratura e pulp. Marino Sinibaldi, Pulp: la letteratura nell’era della simultaneità, Donzelli, pp. 95, L. 16.000

Un libro che prende posizione. Il merito di questo instant book di Marino Sinibaldi (noto soprattutto per essere uno dei conduttori di Lampi, fortunata e molto ben fatta trasmissione pomeridiana di RadioRai 3) è che prende posizione: cosa rara nel giornalismo culturale italiano, dove tanto è importante esserci (ovvero dire la propria opinione su tutto) quanto è importante non compromettersi (ovvero astenersi meticolosamente da qualsiasi giudizio di valore). Andiamo con ordine.

Sinibaldi non è un innamorato del pulp. Lo osserva come una cosa interessante e relativamente nuova (nella narrativa italiana). Gli importa di non lasciarsi sfuggire il nuovo che effettivamente c’è, ma sta attento a non scambiare per novità le riverniciature (ad esempio, è consapevole che ciò che oggi in Italia si chiama pulp, e che in letteratura forse è una novità, è ben assestato da decenni non solo nel cinema ma anche ad es. nel fumetto). La questione centrale, per Sinibaldi, pare che sia il definire che cosa è e che cosa non è letteratura, o meglio: che cosa può dare oggi la letteratura, che nessun’altra forma di espressione ci dà. Così, del Jack Frusciante di Enrico Brizzi Sinibaldi apprezza soprattutto la "prorompente, quasi candida rivendicazione del ruolo e dello spazio specifico della scrittura, legato all’espressione di un’identità in costruzione, che la letteratura [...] pareva aver smarrito (sostituita, in questo compito, soprattutto dalla musica pop e rock" (p. 33). E’ interessante notare come (e giustamente, a nostro avviso) Sinibaldi ritrovi lo specifico della scrittura proprio in un libro che è stato attaccato (da certa critica) e amato (dal suo pubblico, nonché da altra critica) proprio per l’inserzione nella scrittura di materiali apparentemente estranei alla letteratura: il gergo, quote di dialetto, musica di consumo e così via. E, simmetricamente (a proposito di Fluo di Isabella Santacroce): "Se la letteratura si contamina con altri linguaggi fino a cancellare una sua qualche specificità e originalità, sui tempi lunghi non ci sarà motivo di chiedere letteratura" (p. 52).

Sinibaldi cerca di capire che cosa ci sia di effettivamente interessante e nuovo nel pulp. "Il terreno sul quale forse il pulp rappresenta almeno in parte una novità importante è quello dello sguardo e dello stile, [...] con quel misto di adesione e ironia rispetto alla realtà, di condivisione disincantata e di critica radicale dei suoi valori [...]. Coglie in maniera sinteticamente espressiva quel problema capitale del nostro presente che è la irriducibile problematicità della realtà, la sua incerta e debole verità, l’impalpabilità delle vicende, delle storie, delle persone" (p. 47). E in questa definizione, prendiamo nota, non c’è traccia di sangue né di altri liquidi organici.

Il giudizio sui singoli titoli è rivelatore. Aldo Nove, Woobinda: "non è facile dire se si tratta di un’estrema convulsione (cadaverica, appunto), che conduce all’azzeramento della letteratura, se siamo in presenza dei primi passi della letteratura come zombie [...] o se invece questa piccola dimostrazione di vitalità apre uno degli spiragli possibili attraverso i quali il linuaggio specifico della letteratura rinnova le sue potenzialità conoscitive ed emotive" (p. 62). Nicolò Ammaniti, Fango: "Contaminazione, velocità e sorpresa sono le componenti decisive di questo stile narrativo. Quando anche uno solo dei tre si smarrisce, vengono alla luce le debolezze e i clichés narrativi." (p. 63). Nei racconti di Gioventù cannibale "abbondano [...] gli stereotipi, le esercitazioni fredde e convenzionali, i compiacimenti trasgressivi che convivono con le più scontate allusioni moraliste" (p. 69), eccezion fatta per i pezzi dei già citati Nove e Ammaniti, e per il "perfido, spietato e ingegnoso" racconto di Matteo Galiazzo. Tiziano Scarpa, Occhi sulla Graticola: "Un tentativo colto e molto avverito di tradurre l’orizzontalità indiscriminata della percezione contemporanea in una forma narrativa che raccolga più oggetti, stimoli, suggestioni possibili ma non rinunci a una dimensione e un’ambizione pienamente letteraria" (p. 75).

Il saggio di Sinibaldi si chiude, come per contrappasso, con un capitoletto dedicato a un breve catalogo di quegli scrittori che, più che a contaminare la letteratura con gli altri linguaggi del mondo, preferiscono dedicarsi a "definire uno spazio, a delimitarlo meglio, a esaltare una sorta di distinzione della letteratura" (p. 86). In alcuni di essi, secondo Sinibaldi "prevale un procedimento stilistico e tematico di conquista di uno spazio e un linguaggio propri, di continua verifica e autoverifica, il cui sintomo più evidente è una sorta di scrupolosa prudenza espressiva. [...] Come a dire: questo è lo spazio, questi sono i temi e il linguaggio propri della letteratura; ciò che è compreso qui dentro è dunque la sua ragione" (p. 88): esemplari Mozzi, di Lascia, Lodoli, Cotroneo, Picca, Carbone, Affinati, Sandro Onofri, Nata ecc. A questi distintori della letteratura Sinibaldi affianca gli scrittori voraci, nei quali "prevale una sorta di audacia [...] che divora linguaggi e forme, annette alla scrittura interi universi tematici ed espressivi forse con minore scrupolo per la sua distinzione [...] ma con una maggiore apertura stilistica e di contenuti" (pp. 89): come Benni, Veronesi, Maggiani, Culicchia, Ballestra, Nesi.

Marino Sinibaldi, bibliotecario, conduce i programmi culturali pomeridiani di Radio Tre. E’ tra i fondatori del mensile Linea d’ombra. Ha scritto saggi sui movimenti politici e culturali giovanili e sulla nuova letteratura italiana.

[riga][su]

Letteratura e premi. Francesco Permunian, Un lungo sguardo silenzioso, Campanotto, pp. 104, L. 18.000

Se avete in odio i maîtres à penser nostrani e avete voglia di incontrare qualcuno che la pensi allo stesso modo, potete leggere questo libro, o almeno il pezzo che si intitola "Foto di gruppo", da p. 65 a p. 82. Permunian, fingendosi autista o maggiordomo della contessa Armida, nella villa della quale si riunisce la giuria di un sedicente prestigioso premio letterario, trova modo di offrirci un ritratto, una foto di gruppo appunto, di alcuni tipici (secondo lui) esponenti della cosiddetta repubblica delle lettere. Dire che sono ritratti dissacranti è dire poco. I bersagli principali sono tre: Carlo Bo, il celebre critico letterario cattolico; il poeta dialettale ex guerrigliero; il sindaco-filosofo (lasciamo ai lettori il gioco delle identificazioni). Feroce è il ritratto di Bo: "Osservando quella faccia prelatizia ho imparato a distinguere le aberrazioni della coscienza cattolica; se oggi mi è così facile smascherare la tracotante ipocrisia di molti credenti il merito è esclusivamente di quel vegliardo malandato che risponde al nome di Carlo Bo" (p. 71). "Osservi dunque il volto devastato di quel rudere cattolico, lo ascolti mentre recita compiaciuto il suo pentimento. Impari cos’è una commedia cattolica, questa ridicola sceneggiata nella quale anche ildolore diventa fasullo, per strappare gli applausi di un pubblico idiota malato di sentimentalismo" (p. 73). Più convenzionale il ritratto del poeta dialettale ex guerrigliero. "Bastò una gitarella a Cuba per indossare di colpo i panni del profugo. Fu un successone. [...] La prima volta che lo accompagnai a palazzo, mi ricordo, si guardò bene dal mostrarsi con quella ridicola divisa [...] E infatti il poeta-esule si presentò in smoking tenendo in valigia l’uniforme da guerrigliero, magari a fine serata gli chiedevano l’esibizione" (p. 74). Quanto al sindaco-filosofo, è divertente l’invenzione della collezione di baci all’anello del vescovo. "[...] è riuscito a collezionare una quantità inverosimile di anelli vescovili, su un quadernetto tiene la contabilità di quelli baciati e di quelli ancora da conquistare. A volte mi recita l’elenco come un bambino con le figurine: Milano: baciato! Torino: baciato! Palermo: baciato! E mi confida sottovoce a che punto sono le operazioni di avvicinamento al Santo Padre. La pantofola pontificia è il suo chiodo fisso..." (p. 77).

Gli altri testi di questo composito libretto, benché più ambiziosi, sembrano meno riusciti. La prima parte consiste in una raccolta di aforismi, tra i quali il migliore: "Un rappresentante di rilevatori acustici suona alla porta all’ora di pranzo. Non gli apro, ho udito perfettamente la sua inopportuna scampanellata" (p. 31), dove tuttavia l’aggettivo "inopportuna" è di troppo. La scrittura aforistica è difficilissima, e forse Permunian sopravvaluta i suoi mezzi. La seconda parte, oltre al citato "Foto di gruppo", contiene il racconto "Il compleanno ovvero L’armata delle foglie tremanti", che ci convince fino a un certo punto. Ma Carlo Bo...

Francesco Permunian, classe 1951, nato a Cavarzere (Ve), vive a Desenzano del Garda. Ha pubblicato diverse plaquettes di versi (con interventi di Roberto Roversi, Piero Gibellini, Carlo della Corte ecc.). Ha pubblicato un libro di testi e fotografie con Mario Giacomelli. Nel 1991, sempre presso Campanotto, ha pubblicato Arlecchino notturno, una raccolta di versi e prose con due racconti.