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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Marzo 2002


 I film di Marzo 2002 (II)

I Parte

L’uomo che non c’era {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Dei Fratelli Coen con Billy Bob Thornton e Frances McDormand

La tematica esistenzialista proposta dal titolo di questo ennesimo piccolo capolavoro di ironia e di arguzia dei fratelli Joel e Etan Coen si inserisce perfettamente nel contesto di una pellicola omaggio al cinema in bianco e nero legato ai dischi volanti e di tradimenti, affrontandoli alla luce del senso di spaesamento del protagonista. Un uomo che – come barbiere – è più esposto di altri dinanzi al bombardamento di domande (più o meno intelligenti) riguardo l’esistenza. Interpretato da un Billy Bob Thorton che definire straordinario sarebbe riduttivo. Un noir dall’impianto classico filtrato attraverso la voce off del protagonista in un flusso di coscienza lucido e dalle suggestioni surreali.

Behind the enemy lines {Sostituisci con chiocciola}

Di John Moore con Chris Owen, Gene Hackman

Storia di un pilota americano catapultatosi dopo essere stato abbattuto sui cieli della Bosnia, inseguito dai miliziani serbi per colpa di alcune foto compromettenti il processo di pace, Behind the enemy lines è una sgradevole pellicola alimentata da una tronfia quanto cieca retorica militarista. Pieno di luoghi comuni e con Gene Hackman in un ruolo minore, questo film girato come un videoclip è l’ennesima reiterazione della storia del soldato pasticcione che nel momento del pericolo mostra di avere le qualità per cui è stato addestrato. Nonostante le sequenze spettacolari stile Top Gun, questo film è una collezione di orrori fini a loro stessi senza alcun approfondimento storico, né psicologico, con un montaggio demenziale dove ogni dettaglio visivo è curato, mentre il tessuto narrativo è abbandonato irrimediabilmente a se stesso.

Ti voglio bene Eugenio {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Di Francisco J. Fernandez con Giancarlo Giannini, Giuliana De Sio

Eugenio è un uomo down, tranquillo, affabile e sornione. Vive da solo nella sua splendida casa immersa nella campagna e lavora come giardiniere. Su richiesta del Professor Boselli accetta di raccontarsi a Patrizia, una giovane donna incinta, tormentata dall’incertezza di dare alla luce un figlio….come lui. Al Centro traumatologico in cui svolge volontariato, Eugenio deve occuparsi di Laura, appena uscita dal coma nel quale era piombata in seguito ad un incidente stradale. Il recupero della ragazza è prioritario per Elena,l’amica del cuore di Eugenio, amata in segreto e senza speranze, che ha lasciato il paese da adolescente per sposare un uomo più grande di lei che l’aveva sedotta e dal quale aspettava una figlia, Laura, appunto.

A Beautiful Mind {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Regia: Ron Howard; Sceneggiatura: Akiva Goldsman tratta dal libro di Sylvia Nasar; Fotografia: Roger Deakins; Montaggio: Mike Hill, Dan Hanley; Scenografia: Wynn P.Thomas Costumi: Rita Rayck; Musica: James Horner; Interpreti: Russell Crowe, Ed Harris, Jennifer Connelly, Paul Bettany; Produzione: Brian Grazer; Anno di produzione: USA - 2001 – Colore – 134 minuti

Non deve stupire la pioggia di nominations su questo film che Ron Howard ha voluto trarre liberamente dalla biografia del matematico John Forbes Nash Jr. A beautiful mind, infatti, è un film molto interessante perché, tramite un artificio, rende lo spettatore partecipe delle manie e delle ossessioni che hanno tormentato per tanti anni un brillante matematico in grado di rivoluzionare in giovanissima età la base della teoria economica moderna. Interpretato da un Russell Crowe che ha saputo portare ad un livello ancora più alto l’esperienza maturata prima con Curtis Hanson, poi con Michael Mann per The Insider e con Ridley Scott per Il gladiatore, questo film precipita il pubblico nella voragine senza apparente possibilità di ritorno, di un’ossessione che è figlia di un’epoca: del terrore di un attacco sovietico a sorpresa, della guerra di spie, dell’atmosfera della Guerra Fredda. Pur non essendo del tutto fedele allo svolgimento dei fatti, Ron Howard grazie ad una colonna sonora favolosa (anch’essa candidata all’Oscar grazie al talento del suo compositore James Horner) riesce a tessere una pellicola che avvolge lo spettatore con le sue ossessioni, la sua paura, la sua ricerca indefinita di speranza e amore.

Una pellicola dura, coinvolgente e commovente in cui il pubblico è messo per la prima volta dinanzi al dramma della malattia, visto sotto il profilo di una normalità negata. In questo senso la bellezza carismatica di Jennifer Connelly nei panni della giovane moglie dello scienziato, costretta a sopportare le mattane del marito, mandando avanti la vita della famiglia e rinunciando alla propria è la sponda ideale per un pubblico desideroso di intravedere una speranza per un uomo di genio ridotto ai minimi termini dalla sua schizofrenia e dalla sua ossessione per la Guerra Fredda. A beautiful mind è un film che tutti gli appassionati della fantascienza non potranno che amare, perché nella malattia di Nash potranno leggere non solo i riflessi di un’epoca, delle sue icone e letture, e di un momento storico decisamente importante, ma soprattutto perché potranno immergersi per la prima volta in una fuga dalla realtà vista sotto il profilo del sogno e non dal punto di vista clinico.

In questo senso A beautiful mind merita il premio Oscar per il miglior film dell’anno: per il coraggio narrativo del mutamento di prospettiva che – per la prima volta- costringe lo spettatore ad uno stato di allucinazione permanente, vedendo voci, persone e cose nate sì dalla mente di un genio, ma non per questo meno dolorose o più facili da superare. Un film sull’amore e sul senso della salvezza che pur non essendo "perfetto", seduce lo spettatore con la sua grazia disperata e il suo senso di grande e vuoto dolore. Una regia di elevatissimo livello per esaltare il cinema nella sua funzione sociale e storica: quella di raccontare storie edificanti in grado di rendere omaggio a persone fuori dal comune.

Mulholland Drive {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Naomi Watts – Laura Elen Harring – Justin Theroux Sceneggiatura e Regia David Lynch Anno di produzione USA 2001 Distribuzione 01 Durata 150’

C’era una volta il cinema noir di cui Mulholland drive è evidentemente l’erede postmoderno. Un film che per un’ora e quaranta è addirittura esaltante e che – ad un certo punto – sembra sfuggire di mano al suo regista in un calcolato delirio onirico di onnipotenza autoriale. La storia – in apparenza – è quella di una donna senza memoria in seguito ad un incidente che, per caso, finisce per conoscere un’aspirante attrice. Quest’ultima cerca di aiutarla a venire a capo del suo passato in un intricatissimo pasticcio hollywoodiano fatto di film che si vorrebbero fare e di attrici che non si dovrebbero scegliere. Dopo Una storia vera Lynch sceglie un’altra volta un percorso irto di ostacoli, di rimandi e di citazioni difficilmente decifrabili e più che mai aperti all’interpretazione dello spettatore. Pur essendo una storia di cinema nel cinema Mulholland drive che prende nome dal viale di Hollywood dove si verifica l’incidente, è anche un’immagine visionaria del cinema e dei suoi "inghippi". Una pellicola complessa in cui Lynch si concentra sulla bellezza carismatica delle due protagoniste per realizzare un gioco di specchi inquietante fatto di menzogne, ambiguità, paura e lussuria. Una rincorsa di storie e situazioni e personaggi enigmatici che si stagliano in un caleidoscopio a momenti esaltante, in altri perfino tedioso dove tutto non è mai davvero come appare e dove ogni cosa può rivelarsi per essere una proiezione di qualcosa e di qualcun altro. Mulholland drive nasce dalla stessa visione dell’America e del cinema anti-glamour che percorre l’estetica di tanti autori che vanno da Neil Labute a John Waters. Il tocco magico di Lynch, sulla stessa sintonia delle atmosfere agghiaccianti di X files diventa il marchio di un cinema in grado di andare oltre, complesso e artificioso, dove nulla è lasciato per scontato e dove solo il singolo spettatore può azzardare una personalissima e quantomai fallace interpretazione.

La rapina (3000 miles to Graceland) {Sostituisci con chiocciola}

Kevin Costner – Kurt Russell – Courtney Cox – Christian Slater Sceneggiatura e Regia Demian Lichtenstein Anno di produzione USA 2001 Distribuzione Medusa Durata 120’

C’è qualcosa di sorprendentemente irritante in questo noiosissimo film incentrato su un Kevin Costner "cattivo". La storia è fondata sul canovaccio dell’ennesima rapina ad un Casinò di Las Vegas, stavolta i ladri non sono "vestiti da stelle del cinema" come in Ocean’s eleven, ma più prosaicamente sono mascherati da Elvis Presley. Dopodiché si sa come vanno le cose: quattro milioni di dollari danno un po’alla testa e dopo una serie di litigi saltano fuori le pistole. Il resto è un caos demenziale con un montaggio enfatico da videoclip "sbarazzino" con un insopportabile Costner che fa di tutto per sembrare uno psicopatico. Così tra pistole a tutta randa, proiettili e – udite, udite – perfino l’inserimento di un antipaticissimo bambino per rendere "strappacuore" la trama, lo spettatore attende con impazienza che trascorrano le due ore di durata di questa pellicola al limite del demenziale. Tutti recitano male. Perfino Kurt Russell che infierisce sullo spettatore pure nei titoli di coda, scimmiottando in playback Elvis, mentre Courtney Cox s’aggira strizzatissima in abiti di due taglie più stretti in modo da evidenziare le sue grazie. Un film inutile, scontato dall’inizio alla fine, inverosimile, tutto giocato su un titolo originale che dovrebbe trarre in inganno pubblico e poliziotti.

The Bank {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

David Wenham, Anthony La paglia, Sibylla Budd Regia e Sceneggiatura Robert Connolly Anno di produzione Australia - 2001 Distribuzione Fandango Durata 110’

"E’ più disonesto rapinare oppure fondare una banca?" Recitava qualche anno fa il manifesto pubblicitario di Ormai è fatta film che il regista Enzo Monteleone aveva dedicato alle gesta del bandito gentiluomo Horst Fantazzini interpretato da Stefano Accorsi. Da quello che si vede in The bank, thriller cyber tecnologico australiano in cui si respirano non a caso le stesse atmosfere urbane di Matrix sulla risposta non v’è alcun dubbio. Nell’era della globalizzazione, del No Logo e del consumo critico, questo piccolo film coprodotto da Domenico Procacci e diretto da Robert Connolly rappresenta un’interessante contaminazione tra il cinema dei legal thrillers e le istanze di una società civile sempre più sospettosa e diffidente del potere delle corporations e dei loro guadagni smisurati e virtualmente senza controllo.

In questo senso la storia del matematico che ha trovato il modo per prevedere le crisi finanziarie, oltre ad avere presumibilmente qualche fondamento scientifico è tutta giocata sul dilemma morale di servire una banca senza etica o di rimanere sfaccendati nell’attendere che qualcuno (ma chi?) faccia qualcosa.

The bank è una pellicola molto intrigante e interessante perché sposta il cinema d’intrattenimento su un filone politico globalizzato che ogni spettatore del mondo potrà riconoscere di interesse, indipendentemente dalle sue idee politiche o dalle sue scelte ideologiche. Il consumo critico, da un lato o dall’altro degli schieramenti pro o contro globalizzazione, può rappresentare, infatti, l’unica vera scelta politica di matrice forte del ventunesimo secolo.

I perfetti innamorati (America’s Sweethearts) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

John Cusack, Julia Roberts, Billy Crystal, Catherine Zeta Jones, Christopher Walken, Hank Azaria, Stanley Tucci Sceneggiatura Billy Crystal Anno di produzione USA 2001 Regia Joe Roth Distribuzione IIF Durata 100’

In una satira del mondo di Hollywood poteva mancare la fantascienza? Certamente no. Ecco, perché il film che si intravede, ovvero quello che di cui teoricamente dovrebbero essere protagonisti gli attori interpretati da John Cusack e Catherine Zeta Jones è una pellicola fantascientifica sullo stile (ci sembra) di Terminator con tanto di ebrei e nazisti coinvolti. I perfetti innamorati con il suo gioco di cinema nel cinema e i suoi rimandi continui alla realtà della finzione è una pellicola divertente e geniale, cesellata da un Billy Crystal attore – sceneggiatore in gran forma per prendersi in gioco di vizi, stravizi e manie dei divi che tanto amiamo.

Catherine Zeta Jones e John Cusack nei panni di una coppia di divi hollywoodiani in crisi, costretti a riunirsi per esigenze pubblicitarie legate ad un film in mano ad un regista pazzoide sono decisamente perfetti. Irresistibili sono i finti trailers dei film che li dovrebbero avere portati al successo. Una parata del peggio, del peggio del cinema americano con i suoi luoghi comuni e con le sue farse di second’ordine. Riuscirà il potente press agent interpretato proprio da Billy Crystal a salvare la situazione insieme alla sorella (Julia Roberts) dell’attrice maniaca e dispotica?

Una commedia romantica semplice e divertente che è anche una satira dei piccoli e grandi vizi di Hollywood, diretta dall’ex capo della Buena Vista, Joe Roth con Christopher Walken nei panni di un regista geniale che ricorda molto Stanley Kubrick.

Paz! {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Claudio Santamaria – Flavio Pistilli – Max Pezzotta – Fabrizia Sacchi Sceneggiatura Ivan Cotroneo – Francesco Piccolo – Renato De Maria Regia Renato De Maria Anno di produzione Italia 2002 Distribuzione Mikado Durata 100’

Pur non sentendocela di ascrivere Paz! – come dice il suo regista – al genere fantascientifico, si può tranquillamente riconoscere a questa pellicola un background surreale che – di diritto – la colloca nel genere fantastico. Già, perché il filtro delle opere di Andrea Pazienza, fumettista di culto morto nel 1988 all’età di trentadue anni, impedisce di fare di Paz! un affresco storico circostanziato della Bologna del 1977. Sebbene il regista De Maria (con uno stile e un montaggio interessanti, esaltati da un utilizzo intelligente del digitale) inserisca nel tessuto narrativo tutti i grandi temi politici e sociali di quegli anni, a dominare la scena sono proprio tre eroi nati dalla matita di Pazienza, che divenuti reali incarnano ansie, angosce, passioni e vizi dell’opera del loro defunto padre. L’arte di Pazienza contaminandosi con il cinema e il cinema diventando fumetto offrono agli occhi dello spettatore un’opera piacevolmente insolita, sexy ed intrigante. Ma anche se l’amore libero, la discoteca, le canne, le facoltà occupate, la voglia di collettivismo politico possono aprire il cuore del pubblico, questo viene lasciato abbastanza freddo da un ibrido pericoloso. Chi non conosceva Pazienza non sarà invogliato, forse, a leggerlo, mentre chi lo conosceva potrà restare deluso da un’opera abbastanza fine a se stessa, in cui passione politica, critica caustica della società e rabbia giovanile sembrano essere spuntate da una ricostruzione storica corretta, ma al tempo stesso asettica.

Anche se non c’è nessun malinconico "com’eravamo" Paz! pur essendo molto apprezzabile, non manifesta chiaramente il suo senso e il proprio messaggio, mostrando molto, forse, troppo, senza mai diventare emblema o ritratto di niente.

Il nostro matrimonio è in crisi {Sostituisci con chiocciola}

Antonio Albanese, Aisha Cerami, Shel Shapiro Sceneggiatura Antonio Albanese, Vincenzo Cerami, Michele Serra Regia Antonio Albanese Anno di produzione Italia 2002 Distribuzione Filmauro Durata 96’

C’era una volta la mania dell’India con un cinema più o meno serio che prendeva in giro chi andava a cercare la propria identità. Adesso, nella (nuova) era della New Age ecco che Antonio Albanese cerca di replicare l’eterno canovaccio dello stolto a confronto con l’effimero filosofico che da Aristofane a Totò, da Pulcinella a Peter Sellers ha sempre funzionato benissimo dal punto di vista drammaturgico. Il tempo passa, però, e il cinema in cerca di novità pretenderebbe qualcosa di nuovo e migliore rispetto alla sconcia arlecchinata che ci offre Albanese che con un trust di cervelli (Michele Serra + Vincenzo Cerami) abbastanza insolito partorisce un topolino noioso e già visto. Il nostro matrimonio è in crisi è il peggior film di Antonio Albanese un attore tanto bravo da avere la colpa di non essere un regista all’altezza delle aspettative suscitate dalle sue interpretazioni.

I marciapiedi di New York (Sidewalks of New York) {Sostituisci con chiocciola}

Scritto, Diretto e interpretato da Ed Burns con Heather Graham, Stanley Tucci

Anno di produzione USA 2001 Distribuzione Eagle Pictures Durata 100’

Quello che risulta subito chiaro da I marciapiedi di New York è di stare assistendo ad un film in (mal) costume. Il personaggio di Ed Burns che nel più puro stile finto intervista iniziato da Woody Allen parla delle sue avventure sessuali sullo sfondo delle torri gemelle, colloca la pellicola in un tempo e in uno spazio lontano. Seppellitto dall'affermazione del personaggio di Heather Graham: "Noi ci annoiamo e per questo ci occupiamo di sesso, nella nostra vita non accade nulla....

una frase che lascia stupefatti e che sega immediatamente il valore sociale del film e il suo piglio (tutt'altro nascosto) tipico di chi ha ambizioni documentaristiche.

Detto questo, però, il peggio è che I marciapiedi di New York è alimentato da un ridondante voyeurismo verbale dove a fronte di un eloquio più che esplicito con tanto di misurazioni, pesi e misure degne del Woody Allen pre-Dreamworks in piena andropausa, non si vede una gengiva, un gomito nudo, una caviglia, un mezzobusto...

Il puritanesimo da osteria di un regista che parla di tutto, ma che non mostra niente affossa lo spettatore in una noia tremenda, spezzata da battute piccantine che - si sa - vorrebbero provocare rossore (se ci si trovasse in una sala parrocchiale...), perché di sesso si deve soprattutto ridere e chiacchierare.

Per non parlare poi della tecnica di montaggio "skip framing" utilizzata da Allen in Harry a pezzi, delle interviste finte, dell'andamento della storia che ricorda per temi, ambientazioni e stile narrativo le ultime commedie corali del regista newyorchese per eccellenza.

Non basta un cast di bravi attori carismatici a tenere su un film dove tutto è già visto e che - nell'era di un cinema dalla sessualità liberata - sembra non solo obsoleto, ma provenire da un ragazzo represso, cresciuto con un'educazione sessuale profondamente costrittiva...

Il sesso è questione di centimetri? Quante donne si devono avere avute ad una certa età? E quanti uomini si possono avere avuti a diciannove anni? Que3sti sono quesiti esistenziali sinceramente obsoleti e eccessivamente adolescenziali che appaiono assurdi e di cattivo gusto se proferiti dinanzia la simulacro delle Twin Towers.

Volgarità? Pruriti inenarabili? No, soltanto una grande e insopportabile noia. Il Deja Vu portato alle sue massime conseguenze stronca il pubblico di una commedia della New York del "bel?" tempo che fu...

The Shipping News {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Kevin Spacey, Cate Blanchett, Julianne Moore Sceneggiatura e Regia Lasse Hallstrom Anno di produzione USA 2001 Distribuzione Buena Vista Durata 110’

L'elemento più toccante di The shipping news è offerto allo spettatore dalla maniera in cui il regista svedese Lasse Hallstrom fotografa il mare facendolo apparire come una sospensione cupa e fredda che avvolge Terranova disegnandone i contorni sporgenti e taglienti e che - come un liquido amniotico - contiene e protegge le anime dei protagonisti di questa storia, preservandoli in uno stato di perenne attesa di una vita che, forse, non potrà mai nascere e avviarsi davvero.

Interpretato da un cast di attori letteralmente fantastico con Kevin Spacey, Cate Blanchett e Julianne Moore, che rappresentano in questo momento il meglio di un certo tipo di interpreti, The shipping news è un film eccessivamente veloce, che sembra riuscire solo in parte a raccontare l'evoluzione spirituale del protagonista (Spacey) e del suo viaggio tra metafora e realtà che da imbelle lo fa diventare, alla fine, una persona decisa e soddisfatta.

Avvolta in una cornice naturale mozzafiato, la pellicola diretta dal regista de Le regole della casa del sidro e Chocolat, sembra incapace di stabilire un contatto intimo ed empatico con lo spettatore, che pur apprezzandone la natura e la qualità, non riesce mai ad immedesimarsi davvero con la storia, scansionata più seguendo le pagine del copione che un vero e convincente incedere degli eventi.

Anche se Hallstrom ha - come al solito del resto - seguito ogni singolo dettaglio del film, quello che sembra essergli davvero sfuggito di mano è il senso ultimo e personale di una storia in cui Kevin Spacey appare come troppo carismatico per riuscire a convincere davvero lo spettatore di essere uno "sfigato".

L'intero andamento leggero della pellicola preconizza sin dal suo inizio un lieto fine inesorabile, smorzando sin da subito il dubbio che il dolore necessario alla saggezza della catarsi sia quasi "troppo". La colonna sonora vorrebbe farci pensare ad un'epica dell'anima incentrata sulle piccole cose, mentre nel film il contrasto tra immagini e contenuti va a sfavore di questi ultimi rendendo esili se non addirittura banali i moti dei cuori dei protagonisti, mossi dalle ansie e le angosce di tutti quanti noi, mentre il mare e le onde squassano rumorosamente i flutti. Assordati dalla propria individualità, i personaggi si muovono sullo sfondo di Terranova senza riuscire a comunicare al pubblico le proprie emozioni e i loro sentimenti più intimi.

Sostenuto da un tono ironico apprezzabile e divertente, il film soffre di una rapidità eccessiva dovuta anche al seguire numerosi personaggi presenti nella storia. Sarebbe stato dunque lecito attendersi qualcosa di più da questa pellicola intrigante, che avrebbe probabilmente dovuto insistere sull'aspetto più intimista e magico (un po' come era accaduto per La casa degli spiriti e Come l'acqua per il cioccolato) per potersi definire riuscita del tutto. La distanza emotiva apparentemente incolmabile con i suoi protagonisti rende il film freddo e a tratti perfino irritante. Esattamente come il mare di Terranova dal nostro Mediterraneo. E anche se la riuscita dei film non si misura con le miglie marine, c'è una grande differenza nel girare documentari di fiction in luoghi sperduti rispetto a quella di girare drammi dello spirito in grado di renderci persone migliori, dopo avere sentito di avere vissuto veramente qualcosa.

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