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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Febbraio 2002

 
Rimini, un’estate: intervista a Luciano Ligabue

Dopo Radiofreccia lo aveva promesso: basta con i film. Invece Luciano Ligabue ci ha ripensato. Ed è tornato dietro alla macchina da presa con "Da 0 a 10". Perché, racconta, avevo ancora qualcosa da raccontare. Come la Rimini dei contrasti forti, quella degli eterni pensionati in vacanza e dei giovani in cerca di avventure

E’ la seconda volta di Luciano Ligabue come regista. Dopo il successo di Radiofreccia con Stefano Accorsi e Francesco Guccini, il rocker emiliano continua la sua esplorazione cinematografica con Da 0 a 10, storia di un gruppo di amici che si incontra vent’anni dopo per riprendere un week end interrotto. Una pellicola ambientata in una Rimini estiva carica di suggestioni erotiche e cinematografiche.

Anni fa lei diceva in un’intervista radiofonica che la nebbia è stata per lei una sorta di "grande schermo" su cui proiettare i sogni…

Le luci sono quelle che danno vita al cinema. In Da 0 a 10, per esempio, ho riflettuto molto su quali luci utilizzare per raccontare l’idea che Rimini lascia dentro ciascuno di noi. Quella città è un contenitore di estremi: le famiglie che da vent’anni vanno nella stessa pensione tutte le estati e i ragazzi in cerca di avventure. Rimini è un simbolo molto forte, uno specchio di tutte le contraddizioni che attraversiamo. La mia intenzione era quella di restituire un’immagine diversa della città, gonfiata dalle luci.

Quanto contano i giudizi degli altri nella vita di tutti i giorni?

Molto e soprattutto per chi come fa un mestiere sotto gli occhi di tutti, il giudizio degli altri è qualcosa di costante. Questo, però, porta ad una degenerazione secondo cui tu non vivi la tua vita perché ti va, bensì perché gli altri ti obbligano a viverla in una certa maniera. E’ una delle insidie maggiori della nostra vita…

Che cosa significa per lei essere un regista all’atto pratico?

Procedere a tentoni. Mi interessa raccontare storie che conosco bene per sforzarmi nel mostrarle al meglio. Come autore, invece, parti di te le incolli ad alcuni personaggi, mentre quelle che ti colpiscono e sono di altre persone le utilizzi di riflesso.

Dopo Radiofreccia lei aveva dichiarato che non avrebbe fatto altri film. Cosa l’ha spinta a girare Da 0 a 10 ?

Il produttore Domenico Procacci non c’entra. Radiofreccia è stata un’esperienza devastante, perché un appassionato di cinema non poteva rifiutarsi di raccontare una storia che gli stava tanto a cuore. Mi sono accorto di essermi sbagliato, che qualche cosa ancora da raccontare ce l’avevo e così sono stato io a chiedere a Procacci di potere girare un’altra pellicola.

Girare Da 0 a 10 come è stato, invece?

Me la sono goduta, perché sono fortunato a potere muovermi in settori espressivi diversi. Mentre sul palco la mia felicità è massima, dietro alla macchina da presa provo un tipo di piacere un po’ diverso. Alle volte mi domando perché mi paghino. Forse, dovrei essere io a dare dei soldi a chi mi dà la possibilità di fare lavori tanto interessanti. Io devo lasciare fluire le cose. Fare film vuol dire andare un po’ contro la mia natura, ma poi attivare un controllo mentale affinché siano gli attori a portare sullo schermo quel tipo di emozioni. Il cinema richiede pazienza. Io non sono paziente, ma nonostante questo è stato molto piacevole, senza le ansie di Radiofreccia.

m.s.

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