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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Marzo 2001  (A cura di Francesco Roat)
 

Cercasi infanzia disperatamente

L’incontro fra un ex sessantottino italiano deluso e rassegnato e di un gigante russo che cerca, dopo una promessa, la testa del padre perduta. Il libro di Sergio Pent è soprattutto una fiaba postmoderna per raccontare un viaggio alla ricerca di sé stessi e del proprio passato

Sergio Pent, Il custode del museo dei giocattoli, Mondadori, pp.309, L.32.000

Più che un romanzo è una fiaba postmoderna "Il custode del museo dei giocattoli" di Sergio Pent. Una storia dolceamara, dove il disincanto si alterna alla commozione e il grigiore del paesaggio metropolitano cede il passo ai magici panorami della taiga siberiana. Dove alla rassegnata apatia del protagonista narratore – un italiano ex giovane di belle speranze, ex sessantottino, ex detenuto, ex presunto terrorista – fa da contraltare l’entusiasmo tenace e un po’ folle del suo doppio: un gigante russo proveniente dalla steppa, che gira il mondo per adempiere ad una promessa che più fiabesca e felicemente insensata non si può.

Sono infatti antitetici ma insieme complementari i due personaggi chiave del libro, i cui destini vengono ad intersecarsi come per una sorta di attrazione fatale tra opposti. Quando si incontrano, l’italiano, ripiegato su se stesso in un regressivo immobilismo meditabondo, è alle prese con un suo privatissimo bilancio esistenziale che egli tenta di far quadrare riandando con la memoria agli errori e alle disavventure del passato. Il russo sta invece vagando perennemente senza requie, causa la promessa fatta al padre: un utopista rivoluzionario il quale, deluso dal regime sovietico, aveva stabilito che dopo la propria morte, il suo corpo venisse tagliato a pezzi da inviare a destinatari sparsi per tutto il mondo. Solo quando il suo Paese si fosse liberato dal comunismo, il figlio avrebbe recuperato, riportandole in patria, le sue spoglie. E così è avvenuto, o quasi. Per ricostruire il cadavere, infatti, manca ancora la testa che dovrebbe trovarsi a Salisburgo, dove finiranno per recarsi, insieme, il gigante Piotr, l’ex detenuto ed il figlio di questi, Daniel, un ragazzino handicappato, di cui il padre s’è fino a quel momento assai poco curato.

Quindi il viaggio è l’occasione da un lato per esplorare i racconti davvero fiabeschi che il russo narra all’italiano lungo il tragitto, e dall’altro per ri-scoprire da parte del genitore assente la dimensione dell’infanzia attraverso un figliolo che, secondo Piotr, ritardato non è neppur tanto, se è vero che Daniel "seleziona ogni cosa, cerca il nesso tra le parole e pronuncia quelle necessarie". Così ha una direzione insieme centrifuga e centripeta l’itinerario dell’eccentrico trio, in fuga – a bordo di una vecchia Renault prestata alla combriccola dall’ex compagna del narratore – verso un’avventura piena di colpi di scena (sia essa quella che accade ai tre nella peregrinazione alla ricerca della testa perduta; sia quella parallela della vita avventurosa del padre di Piotr, rievocata dal russo) ma anche alla ricerca della propria autenticità, che i due uomini compiono attraverso una autoanalisi tratteggiata da Pent con mano leggera, mediante un registro espressivo ilare e scanzonato ma intenso.

E forse l’utopia – ma pure l’atopia – cui tende Piotr è poi solo il vagheggiamento dell’infanzia ("un’infanzia protratta all’infinito potrebbe essere la migliore delle vite possibili"), il ritrovamento di vitalità, spontaneità e stupore infantili. Non a caso tappa cruciale del viaggio iniziatico alla scoperta di se stessi vede i due adulti in un luogo emblematico, il Museo dei Giocattoli, dove: "Per un istante che rimarrà eterno nella memoria, ci siamo persi, senza più la volontà di cercare le inutili risposte del presente".

A quel punto, cosa importa se la testa del vecchio rivoluzionario non dovesse venir ritrovata all’ultimo indirizzo di Salisburgo? Ciò che conta – sembra suggerire tra le righe Pent – è avere una meta, una tensione ideale, un obiettivo da raggiungere mettendosi in gioco, anima e corpo, senza riserve. Che poi tale scopo sia "l’impresa assurda" di Piotr, il compito di divenire finalmente adulto o di accompagnare il proprio figlio nell’altrettanto ardua impresa di crescere, oppure un'altra finalità ulteriore, dipende dalla storia in cui uno è coinvolto. E questa, che Pent ha saputo così garbatamente orchestrare, finisce o meglio si sospende proprio qui.

Francesco Roat

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