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redarrowleft.GIF (53 byte) Sport Febbraio  2001  
 

Gemellaggi spa

La globalizzazione dei mercati è ufficialmente entrata in uno dei luoghi più sacri e conservatori che ci siano: il tifo sportivo. Primo passo: il mega accordo commerciale fra i New York Yankees del baseball e il Manchester United del calcio. Un precedente che trasformerà presto i vecchi gemellaggi fra ultras di squadre e perfino di nazioni diverse. Perché a decidere non saranno più i sostenitori dei club. Ma gli uomini d’affari

Ma il mercato ha un’anima? Perché se forse non la possiede, sembra comunque provvisto di una particolare sensibilità, incline a trasformare in business qualsiasi moto dell’animo umano. Compresa quella singolare e positiva variante del tifo calcistico nota con il nome di gemellaggio. Qualcosa di indefinibile e bizzarro, secondo cui "fino a oggi" gli ultras legati a squadre di città (e a volte di nazioni) diverse, hanno stipulato vere e proprie sinergie delle passioni, nel cui segno sostenere non solo i propri beniamini, ma anche quelli amati dai "gemelli". In Italia è un fenomeno che riguarda ad esempio le curve di Fiorentina e Verona, Vicenza e Udinese, Lazio e Inter.

Fino a oggi, si diceva. Il tema va infatti rianalizzato in modo radicale all’indomani dell’accordo commerciale appena sottoscritto dal Manchester United e dai New York Yankees. Si comincia dal merchandising, con imponenti punti-vendita dove trovare tute, maglie, scarpe e qualsivoglia "gadget" di entrambe le formazioni, puntando a estendere gli effetti della partnership a marketing, promozione multimediale e, dulcis in fundo, diritti televisivi. Tanto per inquadrare la portata dell’evento, sono squadre che si gemellano sull’altare del dio denaro pur non praticando il medesimo sport.

La prima, oltre a essere da circa sei anni senza rivali in Inghilterra, è anche la società calcistica più ricca del mondo, grazie proprio a un imponente merchandising, da sommare a voci come sponsor, diritti televisivi e vendita dei biglietti. La seconda vale altrettanto nel baseball, sport nazionale statunitense, per i cui fans dire Yankees è come pronunciare l’amato-odiato nome Juventus in Italia. E’ abbastanza lecito sostenere che il ventiseiesimo scudetto conquistato dagli Yankees nell’autunno scorso, con finale play off vinta quattro a uno contro i concittadini Mets, abbia spaccato a metà un pubblico americano diviso fra odio e amore nei confronti dello squadrone che fa di Manhattan la capitale mondiale del baseball.

Alla luce di tali presupposti, anche ammettendo che il mercato non abbia un’anima, va comunque riconosciuto che Charlie Stillitano, principale ideatore dell’accordo nei panni di ex general manager dei Metrostar, squadra di calcio di New York, è uomo dotato di una diabolica intelligenza commerciale. Una sorta di incrollabile fede, che Stillitano è stato capace di trasmettere ai massimi dirigenti di Manchester e Yankees, al punto di farli firmare l’accordo senza prima avere risolto un problema apparentemente monumentale: e cioè coinvolgere nel progetto sia la Adidas, sponsor tecnico degli Yankees (contratto decennale da 95 milioni di dollari), che la Nike, partner invece dello United (440 milioni di dollari per quindici anni).

In realtà la filosofia che ispira un’alleanza del genere si fonda su numeri così imponenti, dati dalla somma di milioni e milioni di tifosi, da passare sopra perfino alle ipotetiche ritorsioni delle due principali multinazionali di articoli sportivi. Come se fosse piuttosto naturale una loro futura sinergia, o tacita non belligeranza, mirata al comune obbiettivo di "creare" nuovi tifosi: all’Old Trafford fans dei Red Devils dotati di cappellini da Charlie Brown, e al Giants’ Stadium sostenitori degli Yankees seduti con rossa sciarpa del Manchester al collo. Prima ancora di concludere che il mercato una sua anima dannata ce l’ha, eccome, sarà bene mettere in relazione la mostruosità economica dell’accordo anglo-americano con il tenero spontaneismo da cui sono stati "fino a oggi" caratterizzati i gemellaggi calcistici. Cose germinate anche sulla sorprendente scia di una storia d’amicizia come quella che, qualche anno fa, ha dato vita alle accese passioni condivise fra i tifosi veneti del Vicenza e gli ultras alsaziani del Metz.

"Fino a oggi", bisogna ribadire, dato che proprio la dimensione kolossal della neonata joint-venture Manchester-Yankees rischia di condizionare pesantemente il futuro di queste collettive infatuazioni da curva. Pare infatti difficile sottrarsi a una globalizzante morale della favola, secondo cui asettiche leggi di pianificazione domineranno anche un bisogno di gemellarsi da incanalare dove portano le vele sovrane del merchandising. Così da immaginare le prossime comparse alla ribalta di altre gigantesche creature multidisciplinari, tipo Real Madrid (calcio)–Boston Celtics (basket), All Blacks (rugby)–McLaren(automobilismo), Dallas Cowboys (football)–Suzuki (motociclismo), con eventuali corollari di multinazionali dove, in nome dello sponsor di turno, Vicenza e Metz si ritroveranno separate lungo piramidi che porranno obbligatoriamente al vertice un Milan da una parte e un Paris Saint Germain dall’altra.

Fantascienza? Speriamo che lo sia, incoraggiando nel frattempo il proliferare di ben altri gemellaggi, magari nel segno di un "piccolo è bello" da sviluppare sull’onda nuda e cruda del fattore umano, del tam tam in Rete, delle affinità elettive fra curve che soffrono e amano con straordinaria intensità. Così da favorire miracoli in grado di tenere Vicenza e Metz non solo unite, ma anche collegate a nuove compagne di ventura, tipo una squadra di pallavolo spagnola, una formazione di pallamano polacca, un club sciistico giapponese, una "big" del prestigioso campionato pakistano di hockey su prato, e una sconosciuta "provinciale" del più eroico rugby australiano. In fondo, a ben guardarlo, più che un’anima, il mercato possiede delle leve che gli uomini sono in grado di manovrare a loro piacimento. Sai che bello se una volta tanto la direzione, piuttosto che verso una United-Yankees, fosse nel senso di un immaginifico "mondo di sport", dove trovare solo chi fa sport. E non chi lo vende.

Stefano Ferrio

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