Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
 
redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Gennaio 2001  (A cura di Francesco Roat)
 

Auschwitz? Una topaia

I nazisti sono dei gatti sadici. Gli ebrei dei topi in trappola. Così Art Spiegelman ha raccontato in "Maus" gli orrori dell’Olocausto. Trasformando la storia della sua famiglia di polacchi sopravvissuti ad un lager in un delicato e divertente fumetto fatto di animali

"Maus" – Einaudi, collana Stile Libero (pp.292, L.24.000)

L’orrore e il dolore dell’Olocausto – a detta di molti ex internati nei campi di sterminio nazisti – sono letteralmente inenarrabili, davvero indicibili. Ma affinché le generazioni future non abbiano a smarrire la memoria storica, i vari Primo Levi, Simon Wiesenthal, Elie Wiesel e tanti altri sopravvissuti ai Lager hanno trovato le parole per raccontare l’indescrivibile. Eppure forse nessuno più di Art Spiegelman è riuscito, come ha scritto Moni Ovadia, a "dire l’impossibile attraverso la pietas artistica" in una forma assieme colta e popolare, d’intensa pregnanza espressiva ma di semplice, agevolissima lettura. Mediante una formula ed un linguaggio alla portata di tutti; ossia con un libro a fumetti.

Si tratta di "Maus", recentemente proposto ai lettori italiani da Einaudi nella collana Stile Libero (pp.292, L.24.000), cioè il racconto fatto dal padre dell’autore – un ebreo di origine polacca, scampato ad Auschwitz – al figlio cartoonist intorno alla tragedia personale e collettiva che ha sconvolto, assieme a quella di Vladek Spiegelman e della sua famiglia, milioni di ebrei durante il terzo Reich. La storia di "Maus", ambientata in Polonia, inizia dunque negli anni trenta all’epoca felice del matrimonio di Vladek e Anja, per trattare quindi gli anni bui della guerra e dell’occupazione tedesca e infine quelli dell’internamento ad Auschwitz, da cui entrambi i genitori di Art usciranno fortunosamente vivi.

Una vicenda come tante, si dirà. Sebbene, proprio perché colta nella prospettiva d’una dimensione familiare, dimessa e colloquiale, in grado di catturare il lettore e di inchiodarlo alle tavole di un racconto dal fascino delicato e struggente. Sì, "Maus", non è certo un fumetto aggressivo dalle immagini cupe o terrifiche, ma – lo sintetizza felicemente Umberto Eco nel retro di copertina – una "storia splendida" che "ti prende e non ti lascia più". Una storia in cui la sofferenza si alterna all’umorismo e i massacri alle beghe coniugali. Dove la pietà autentica non scade mai in retorica e la testimonianza dell’orrore non ha bisogno di scene granguignolesche.

Stavo per scordarmi un tratto essenziale, però. In "Maus" gli ebrei sono topi e i nazisti gatti. Eppure, grazie a tale escamotage, Spiegelman è riuscito a regalarci un’autentica epopea "narrata a disegni minuscoli", come ha sottolineato il New York Times. E insieme una piccola grande storia d’amore.

Di tutt’altro registro: erotizzante, trasgressivo, provocatore come al suo solito, l’ultimo fumetto di Milo Manara. Un libriccino all’insegna di un voyeurismo ben temperato da un pizzico d’ironia (e autoironia) che ci parla di belle donne e di Internet, di mass media e immaginario collettivo, di sesso virtuale e non virtuale (anche se, ovviamente, tutto rimane confinato nell’ambito visivo, quindi sempre soltanto iconico e fantasmatico).

Si tratta di "Tre ragazze nella rete" - Oscar Mondadori, (pp.58, L.16.000) - ovvero la storia di un affiatato trio di femmine (seno all’insù, coscialunga, labbra a cuore, occhio vispo) alle prese con una sorta di Grande Fratello alquanto pornografico. Insomma, per farla breve, se le tre fanciulle vogliono guadagnare qualche soldino in rete, bisogna che davanti alla telecamera piazzata sullo schermo del loro computer si mostrino come mamma le ha fatte e si diano da fare in termini di "sesso! sesso!" come sbraita lo sponsor.

Così ce la metteranno veramente tutta, in un crescendo di immagini tra l’osé e l’allusivo, inguaiando un assatanato che si credeva predatore e finisce per diventare preda, anzi vittima. Perché il racconto finisce col tingersi di giallo e di noir; anche se poi è tutto un fraintendimento, che si risolverà in una burla, in gioco, appunto.

Giacché solo uno sembra essere il messaggio sotteso al fumetto di Manara: non prendiamo troppo sul serio le immagini; in primis le vignette di questa storia, di questa irriverente presa in giro dell’ossessione iconica per antonomasia: lo scenario di un teatro sessuale allestito dal e per il desiderio insoddisfatto. Attenti, è tutto un trucco, una finta, una illusione, sembra voglia avvertirci il buon Manara. Altro che plauso alla realtà virtuale!

Francesco Roat

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved