Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Banner di HyperBanner Italia

Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Settembre 2000


I FILM DI SETTEMBRE 2000

Scelti da Nautilus

Fuori in sessanta secondi (Gone in 60 seconds) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Nicolas Cage - Angelina Jolie - Robert Duvall - Giovanni Ribisi - Will Patton - Christopher Eccleston Sceneggiatura Scott Rosenberg Regia Dominic Sena Anno di produzione Usa 2000 Durata 117'

Fuori in 60 secondi è una pellicola esplosiva, carica di tensione ed altamente spettacolare, tutti ingredienti tipici dei film prodotti da Jerry Bruckheimer l'uomo che le scorse estati con The Rock, Con Air, Armageddon ha letteralmente sbancato i botteghini di tutto il mondo, rilanciando con ben due film di successo la carriera altrimenti non brillantissima di un Nicolas Cage diventato - finalmente - un attore maturo. Fuori in sessanta secondi è una classica storia di onore, lealtà e passione per le sfide amalgamati abilmente sulla base di una trama semplice: il più grande ladro di auto di Los Angeles (Nicolas Cage), ritiratosi dal mestiere qualche anno prima per evitare che il fratello segua le sue orme, deve rubare insieme alla sua banda cinquanta auto lussuosissime in una sola notte. Questo è il prezzo da pagare per ottenere salva la vita del fratello che sentitosi abbandonato, aveva comunque abbracciato la strada del furto, arrivando così ad intralciare e perfino rovinare gli affari di un mafioso dell'Europa dell'est. Il tempo è passato, ma fortunatamente i suoi uomini e la sua ex donna sono rimasti gli stessi, tornando così a formare la più grande squadra di topi d'auto del mondo. Professionisti in grado di riconoscere una vettura semplicemente dal 'canto' del motore e con una vera ossessione per le fuori serie ad alta cilindrata. 'Memphis' Raines, un vero mito nell'ambiente del crimine, l'uomo che con il suo ritiro ha fatto cadere del sette per cento l'indice dei furti d'auto della città californiana, sa bene di potere contare su di loro per evitare le contromosse del detective Ron Castlebeck. In genere i rifacimenti non riescono quasi mai ad eguagliare gli originali. Invece, nel caso di Fuori in sessanta secondi diretto dal regista di Kalifornia Dominic Sena, riesce non solo a superare e di molto il film anni Settanta: Rollercar sessanta secondi e vai!, ma è anche in grado di apportare nuovi elementi di tensione ad una storia apparentemente fuori moda. Tra auto di lusso e ragazze affascinanti (la protagonista femminile è la bella vincitrice dell'Oscar 2000 Angelina Jolie) si rinnova così il binomio apparentemente inscindibile nell'immaginario non solo cinematografico e non solo maschile costituito da donne e motori Ed è su questi semplici elementi che è costruita la storia di Fuori in sessanta secondi un film ad alto numero di ottani in cui la passione per le auto e per il crimine vanno quasi di pari passo. Un film quindi strutturato sullo stile della vecchia Hollywood dove i cattivi non sono mai veramente tali e che propone il suo momento epico quando Nicolas Cage si riserva di affrontare per ultimo il furto di Eleanor. Non una donna o un'amante, bensì uno splendido coupé che il più grande ladro della città degli angeli non è mai riuscito a rubare. Quell'automobile è per lui una sorta di elemento mitologico con cui concludere la sua carriera 'invidiabile' di ladro d'auto. 


Space Cowboys {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Clint Eastwood - Tommy Lee Jones - James Garner - Donald Sutherland - James Cromwell - Marcia Gay Harden Sceneggiatura Ken Kaufman & Howard Klausner Regia Clint Eastwood Anno di produzione Usa 2000 Durata 129'

Spettacolare ed essenziale Space Cowboys è un film divertente e efficace in cui le mattane dei quattro attempati protagonisti sono esaltate da battute fulminanti e situazioni esplosive al limite dell'esilarante. Una fantascienza molto umana non troppo diversa da quella alla base di Armageddon o di Capricorn One in cui il fattore umano diventa decisivo per spiegare il sogno di quattro anziani piloti di indossare - finalmente - le tute di astronauti. Ed è sorprendentemente tenero come questi quattro uomini di una certa età si comportino quasi alla stregua dei bambini che confessano il proprio desiderio in segreto alle madri, guardando in alto verso la luna e verso dove nessun uomo è mai stato prima…Space Cowboys è un omaggio a questo sogno e a tutti i piccoli che hanno anelato in ogni epoca di cavalcare le immense praterie del cielo. Nel 1958, infatti, i piloti del Team Daedalus si allenavano duramente per il primo lancio nello spazio fino a quando il passaggio del progetto dalle mani dell'Aeronautica Militare all'appena fondata NASA non solo li taglia fuori, ma nega per sempre loro la possibilità di andare nello spazio, riservando tale onore ad uno scimpanzé, diventato - suo malgrado - il primo americano nello spazio. Quaranta e passa anni dopo quando il satellite per le comunicazioni russo Ikon è uscito dall'orbita e sta per andare a schiantarsi sulla terra. La NASA ha di nuovo bisogno di Frank Corbin (Eastwood) leader spirituale del gruppo Daedalus che aveva progettato il sistema di navigazione dello Skylab. Il satellite Ikon monta, infatti, lo stesso meccanismo di guida rubato dal KGB anni prima. Quando Corbin accetterà di andare a riparare il satellite russo soltanto a patto di poter compiere la missione con la sua vecchia squadra. La passione per il volo, battute da caserma, spacconate di ogni genere accompagnate da un sorprendente senso dell'onore e della lealtà trasformano i quattro protagonisti in un'interessante metafora della nostra modernità dove i vecchi anziché rispettati e coccolati come fonte primaria di saggezza vengono relegati a vegetare sui campi di bocce o di golf a seconda della latitudine geografica. Decisi a coronare il loro sogno 'interrotto' tanti anni prima, i quattro nonnetti si rivelano determinanti nel tentare di salvare il mondo alla loro maniera old fashion quanto vuoi, ma sicuramente molto efficace. 


Holy Smoke {Sostituisci con chiocciola}
Kate Winslet - Harvey Keitel Sceneggiatura Anna & Jane Campion Regia Jane Campion Anno di produzione USA 1999 Durata 114'

Privo di ogni forma seppure embrionale di introspezione psicologica, il rapporto d'amore tra uno psichiatra e la sua paziente (già disdicevole sotto il piano professionale e deontologico) diventa lo spunto per una serie di amplessi furiosi e disperati (nonché disperanti) in cui in barba a tutte le norme e ad ogni regola, quello che si rivela per essere solo un vecchio porco si avventa incurante di tutto e di tutti sull'emotivamente fragile ragazza che è stata affidata alle sue cure. Un film che seppellisce i pochi divertenti spunti narrativi e registici sotto una coltre di luoghi comuni per cui l'India, le sette, le suggestioni induiste diventano un fondone di cartapesta per una storia banale, volgare e buonista. Niente, infatti, viene spiegato e nulla viene sviluppato: il confronto tra un oriente infido e un occidente pacchiano si riduce a pochi battibecchi buttati là. Dopo il tedioso Hideous Kinky la Winslet torna nei panni della transfuga esotista alla ricerca dell'illuminazione da parte di un santone, riuscendo così ad assestare un altro ferale colpo alla sua carriera in caduta libera dopo Titanic andando a scontrarsi con un film - mattone più duro del famoso Iceberg. 

The Big Kahuna {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Kevin Spacey - Danny De Vito - Peter Facinelli Sceneggiatura Robert Rueff tratta dal suo romanzo Hospitality Suite Regia John Swanbeck Anno di produzione USA 2000 Distribuzione Lucky Red Durata 90'

Come in una sorta di moderno Morte di un commesso viaggiatore che Kevin Spacey in qualità di produttore - attore ha deciso di portare sul grande schermo un dramma scritto da Robert Rueff, tratto dal suo romanzo Hospitality Suite. Insieme a Danny De Vito, l'attore fresco dell'Oscar di American Beauty mette in scena un film claustrofobico e amaro, una commedia in cui il divertimento e l'allegria seguono di pari passo il carattere esplosivo del suo alter ego cinematografico alla ricerca del leggendario Big Kahuna, che alla stregua di una meravigliosa creatura mitologica potrebbe cambiare la vita sua e dei suoi colleghi per sempre. Questo è, infatti, l'appellativo di origine hawaiana che in gergo viene dato al presidente della compagnia cui vendere il proprio prodotto e - nel caso particolare - salvare così il poco roseo futuro della società per cui il suo personaggio lavora. Una missione difficile se non quasi impossibile da realizzare visto che nella squadra composta da tre persone c'è anche un giovane ipocrita, tutto casa - chiesa e lavoro che sente l'inspiegabile necessità di parlare con tutti di Gesù e di perdere di vista i veri motivi di natura molto terra - terra per cui si trova a quell'improvvisata convention. Kevin Spacey veste i panni di un venditore dal cuore d'oro induritosi nel tempo che non si fa troppi scrupoli per quello che riguarda il lavoromentre il vecchio filosofo delle vendite, un Danny De Vito che tutto ha visto e tutto ha conosciuto, è solo desideroso di cambiare vita e trapassare magari verso quell'aldilà fatto di premi di produzione continui e di mogli che non divorziano. Se ci trovassimo a teatro a seguire le vicissitudini improntate sul pragmatismo della middle class alla perenene ricerca di uno Shangri - La postborghese, rimarremmo sorpresi dal carisma straordinario e dalla tensione ad alto numero di ottani creata da Spacey, De Vito e - in parte - anche dal giovane Peter Facinelli. Ma nel suo adattamento per il grande schermo, il regista non troppo esperto John Swanbeck fallisce nel rendere in maniera narrativamente adeguata una storia che in un certo senso costituisce l'epitaffio dell'era dell'Accesso per un'intera classe sociale. 


Omicidi di classe (Dead Man's Curve) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Matthew Lillard - Michael Vartan - Randal Batinkoff Sceneggiatura e Regia Dan Rosen Anno di produzione USA 1997 Distribuzione MEDUSA Durata 91'

Primo incontro tra il cinema indipendente e l'horror giovanilistico Omicidi di classe è l'ennesimo film a base di sesso tra universitari. Nonostante un andamento noioso, basato eccessivamente sulle pur discrete doti recitative del serial killer di Scream Matthew Lillard, quello scritto e diretto dal giovane regista praticamente esordiente Dan Rosen è un film che presenta numerosi punti di interesse. A partire innanzitutto da una trama strutturata sullo stesso filone iniziato proprio dal thriller di Wes Craven a metà tra le cinefilia e il gusto per il giallo di qualità. Purtroppo, la girandola vorticosa di omicidi e di suicidi con continui (e talora prevedibili) colpi di scena non è supportata da una sceneggiatura altrettanto brillante dal punto di vista dei dialoghi. I personaggi spesso eccessivamente scontati ed enfatizzati non riescono a rendere del tutto credibile la storia del delitto perfetto compiuto da due studenti, che per garantirsi il passaggio del semestre e la promozione sufficiente per entrare alla prestigiosa università di Harvard, mettono in scena il finto suicidio del loro compagno di stanza per avvalersi di una vecchia consuetudine dei campus americani in cui gli allievi sotto shock vengono promossi comunque sia la qualità dei loro voti. In più, il finale buonista al limite dell'happy ending e comunque sforzato dimostra ancora come il cinema americano, seppure indipendente, mostra alle volte ancora una certa sudditanza psicologica nei confronti del tabù del finale in cui i cattivi la fanno franca.

Fantasia 2000 ***
Film d'animazione - Regia: James Algar, Gaëtan Brizzi, Paul Brizzi, Hendel Butoy, Hendel Butoy, Francis Glebas, Eric Goldberg , Don Hahn, Pixote Hunt; Sceneggiatura: Hans Christian Andersen, Carl Fallberg, Don Hahn, Irene Mecchi, Perce Pearce, David Reynolds Distribuzione Buena Vista International Anno di produzione USA 1999 Durata 75'

A sessanta anni esatti dall'uscita del primo Fantasia la Disney ha deciso di realizzare una pellicola che riprendesse in qualche maniera l'idea del cartone animato originale e continuasse a seguirne il percorso a metà tra il lirico e l'intrattenimento. Un progetto - in verità - accarezzato da lungo tempo visto il successo pressoché universale del primo film d'animazione, e che aveva visto negli anni coinvolti artisti di grandi spessore come - per esempio - il pittore spagnolo Salvador d'Alì. Adesso il secondo Fantasia esce giusto in tempo per celebrare il nuovo millennio del cinema animato in una produzione alle dirette dipendenze di Roy E. Disney, pronipote di Walt e responsabile del reparto di animazione della casa dalle orecchie di topo. Va detto che l'originale Fantasia pur essendo tra i le pellicole di maggiore successo prodotte dalla Disney è anche quello meno amato dai bambini, visto la sua complessità intellettuale e il delicato gioco di riferimenti tra le immagini e la musica classica. Più leggero rispetto al precedente, dunque, con l'orchestra stavolta diretta da James Levine e non più dall'indimenticabile Leopold Stokowski, Fantasia 2000 si cimenta in un interessante duello tra immagini digitali e musica classica in situazioni buffe (come quella dei fenicotteri con lo yo-yo), poetiche (i gabbiani e le balene), romantiche (la storia del coraggioso soldatino di stagno), liriche (la primavera e il vulcano), glamour (rapsodia in blu). Introdotte da personaggi molto noti al grande pubblico come 'la signora in giallo' Angela Lansbury o l'attrice Bette Midler, le scene di Fantasia 2000 creano un'amalgama interessante toccando dei punti davvero esilaranti come quando il testimone passato tramite Topolino da Stokowski a Levine, arriva fino a Paperino nei panni del disastroso e nevrotico assistente di Noè. Nel film viene riproposto integralmente anche la celebre sequenza restaurata di Topolino apprendista stregone. Una piacevole sorpresa agrodolce che fa rimpiangere le immagini colorate e disegnate a mano, in confronto alle immagini digitali. Se dei cartoni animati hanno mai avuto del carisma insuperabile, quello del povero topo alla prese con le scope fuori controllo che versano acqua è uno di quei casi…

Rosa e Cornelia {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Stefania Rocca - Chiara Muti - Athina Cenci Sceneggiatura Remo Binosi - Françoise De Maulde - Giorgio Treves Regia Giorgio Treves Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione Lantia Durata 90'

Girato interamente in veneto, dopo una selezione tra oltre quaranta ville padronali, possiamo davvero dire che Rosa e Cornelia è una trappola. Grazie alla sua attenta ricostruzione storica, grazie al fascino delle sue attrici, grazie allo spirito di una trama originale e apparentemente innocua, sembrerebbe un film interessante, 'ben fatto', in cui seguiamo la storia di due donne diversissime (una ricca e una povera che le fa da serva) accomunate da un insolito destino in cui - entrambe incinte - devono fare fronte al segreto e all'ipocrisia di un'epoca. La nobile, infatti, sta per sposare un pari di Francia deve nascondere il proprio stato interessante che costituirebbe uno scandalo. 
Ma Rosa e Cornelia nel suo dipanarsi come una storia complicata e piena di risvolti umani intensi e al tempo stesso sottili, pian piano rivela qualcos'altro che lo trasforma - come la famosa recita dell'Amleto di Shakespeare in una trappola per la nostra coscienza. Il suo messaggio duro e incapace di compromessi racconta una condizione femminile universale e al di fuori del tempo, trasformando la sua cornice storica in un alibi per un film non solo molto moderno, ma anche tremendamente attuale. Come nel Goldoni più raffinato e soprattutto come nel teatro sociale di Marivaux, Rosa e Cornelia sferza le nostre coscienze scagliandosi senza apparentemente alzare la voce contro il perbenismo borghese disposto ad uccidere per i suoi interessi e per i suoi loschi tornaconto. Una strage degli innocenti prezzolata dove le vittime sono le donne e i loro figli. Bambini minuscoli, teneri ed incolpevoli chiamati bastardi…Diavolo di un Giorgio Treves! Dopo essere stato nominato all'Oscar nel 72' con un cortometraggio e avere girato solo un altro film quasi quattordici anni fa, vincendo subito il David di Donatello, torna oggi con una storia coraggiosa e incapace di compromessi dove un'amicizia tra due ragazze in qualche maniera abbandonate da tutti diventa una metafora della condizione femminile. Raccontando la nostra modernità attraverso il secolo che idealizzò il nostro laicismo e l'età della ragione, Treves tesse le fila di un gioco sottile e davvero unico nel nostro cinema che sempre più di rado è in grado di scagliare messaggi dal forte piglio sociale. Sotto l'alibi di una sceneggiatura settecentesca, lui e l'autore Binosi della piéce teatrale da cui è tratto il film, realizzano un'opera unica nel nostro panorama cinematografico in cui Stefania Rocca e Chiara Muti dimostrano la loro grande maturità artistica. Due donne che provano grazie a ruoli tanto difficili non solo di essere delle brave giovani attrici, ma anche delle interpreti indispensabili per il nostro cinema se vuole riconquistare i fasti del passato. Sperando che Treves - poi - non di debba mettere altri dieci anni prima di realizzare un altro piccolo grande capolavoro come questo… sarebbe un lusso che - oggi come oggi - non ci possiamo permettere visto quanto abbiamo bisogno di opere coraggiose. 

Angel Baby {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
John Lynch - Jacqueline McKenzie Sceneggiatura e Regia Michael Rymer Anno di produzione Australia 1995 Distribuzione Fandango Durata 105'

A cinque anni dalla sua realizzazione esce finalmente anche in Italia Angel Baby una pellicola dura sulla difficile gravidanza di una donna psicotica autocostretta a privarsi delle medicine che le consentono di vivere una vita normale. Una storia d'amore originale sullo sfondo di un'insensibile metropoli australiana in cui due giovani diversi da tutti cercano di portare avanti il loro sogno di vedere nascere una bimba. Al di là degli inevitabili interrogativi etici su un menage familiare ossessivo e praticamente impossibile senza l'ausilio chimico di medicine, però, fatali al nascituro Angel Baby offre una visione ingentilita dal sogno di avere per figlia l'incarnazione del proprio angelo custode. Da qui Angel Baby con una stupenda colonna sonora realizzata dalla Real World di Peter Gabriel segue un doppio binario, ovvero quello della vita sognata (dagli angeli custodi e dai loro devoti) e quello della realtà fatta di lavoro, di medicinali e di problemi materiali. Interpretato da John Lynch (il fidanzato fedifrago di Sliding doors) e dall'australiana Jacqueline McKenzie AngelBaby è un film lirico e complesso in cui la simpatia per i protagonisti e per la loro passione non riesce mai a travalicare quel muro di praticità necessario quando si tratta di mettere al mondo un figlio. Una pellicola - dunque - difficile che richiede nello spettatore un profondo senso di compassione e una grande dose di umanità, visto che la storia affascinante e al tempo stesso dolorosa che viene raccontata, richiede uno sforzo particolare per mettersi adeguatamente in sintonia con i personaggi. 

La vita altrui {Sostituisci con chiocciola}
Massimo De Francovich - Renato Carpentieri - Iaia Forte - Jerzy Stuhr Sceneggiatura e Regia Michele Sordillo Anno di Produzione Italia 1999 Durata 90'

Il grande merito di Michele Sordillo è quello di avere tentato di realizzare un film corale sullo stile di pellicole come Happiness, Festen e Magnolia. Un qualcosa tentato qui da noi solo parzialmente, nel seguire i passi di protagonisti diversi alle prese con un vita di facciata ipocrita e insoddisfaciente. Il punto è che sebbene Sordillo sia riuscito a replicare una sceneggiatura in cui tutti i protagonisti vedono le rispettive esistenze intersecarsi e incontrarsi continuamente, il messaggio del film resta nebuloso e non particolarmente convincente o interessante. Colpa anche del cast dove se attori come Iaia Forte, Jerzy Stuhr (l'interprete feticcio di Kieslowski), Renato Carpentieri, Massimo De Francovich danno il meglio di sé, altri non sono in grado di fornire lo spessore adeguato ai loro personaggi, figli della cronaca giudiziaria o più semplicemente borghese di una Milano fredda e anonima. La presentatrice televisiva, il professore di filosofia sporcaccione, l'avvocato manesco, lo psicologo dal carattere debole, l'universitaria squillo sono figure che nascono dalle pagine dei giornali e la loro vita 'forzosa' viene narrata in un film nato sul tenue confine tra la fiction televisiva e il cinema d'autore. Purtroppo, il taglio netto con cui il film si interrope senza avere sviluppato adeguatamente alcuni filoni narrativi, rendono La vita altrui una pellicola mediocre di cui sfugge il senso. La pedofilia, le violenze domestiche, il sesso casuale, le diverse irrequietezze tra le mura domestiche sono tutti elementi di una vita di facciata che - però - non è più credibile (nemmeno al cinema) già da anni senza che il regista se ne sia accorto. Così, ed è questo l'aspetto peggiore, La vita altrui finisce in maniera irrisolta in omaggio ad una cultura del frammento in cui nulla è conoscibile secondo un postulato posticcio. Come dire che non si ha niente da raccontare e nulla da dire perché è quasi inutile. Ma allora a che serve fare dei film raccontando storie senza un inizio e senza una fine?

Marco Spagnoli

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved