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CHIESA DI S.GIACOMO - Adriano Marzari
"Accarezzata levità di forme" – 4 giugno 11 luglio 1999

marzari1_p.jpg (8610 byte)La presentazione a cura di Franco Barbieri delle opere di Marzari, ospitate nella suggestiva navata della barocca chiesa di S.Giacomo, evidenzia con esauriente chiarezza l’essenza del percorso creativo di questo scultore, anticipata sinteticamente nel titolo della mostra stessa. La "lievità delle forme", infatti, sembra essere la cifra persistente nel curriculum dell’artista e sia la "scavata plasticità fluente" dei nudi, bronzi accartocciati su sé stessi o esplosi marzari3_p.jpg (16327 byte)in acrobatici equilibri, oppure la levigati marmi cristallini, sia le aspre superfici in argilla degli animali macellati e sofferenti e dei crocifissi contorti nell’estrema agonia, attirano ugualmente la mano ad una carezzevole indagine tattile.

Un colloquio con l’autore, che racconta il suo instancabile inseguimento e amore verso la scultura, la determinata volontà di imparare, fin da ragazzino, a tradurre in forme qualsiasi tipo di materiale a disposizione, chiarisce del tutto la sintesi che avviene all’interno delle sue opere, sintesi di quella che è una dicotomia solo apparente tra la forza tesa e terragna dei corpi e la loro leggera capacità di librarsi senza peso nello spazio, quasi riottosi nell’assoggettarsi alla legge della gravità che regola il resto dell’universo.

La formazione di Marzari, appassionata ed ineluttabile, è un itinerario, si potrebbe dire "rinascimentale" che prende l’avvio dall’apprendistato di bottega, a marzari2_p.jpg (22740 byte)contatto quotidiano con i materiali e gli attrezzi, scalpelli, lime, trapani, dove il lavoro per l’arte e quello per la pagnotta si identificano profondamente ed eticamente. In tali condizioni l’entrare in empatia, quasi in simbiosi esistenziale con i mezzi espressivi, diviene per l’artista una condizione fisiologica di conoscenza istintiva. Quanta forza dare al colpo di subbia, quanto lasciare di solchi grezzi al di sopra dei quali si sviluppa ed emerge l’algida levigatezza di una forma rifinita, quale sia il tono giusto della patina del bronzo, come scavare all’interno l’argilla affinché il manufatto non esploda nel corso della cottura.

Da questa sapienza antica nasce, dunque, la forte tridimensionalità assegnata a ciascuna forma ed il richiamo possente allo spazio che la circonda, per quanto minuscola essa sia, e lo spontaneo, naturale e profondo senso del pondus che lascia un inaudito Pegaso schiantasi al suolo in un’eterna caduta che non raggiunge mai la maledizione della morte.

G. G.

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