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redarrowleft.GIF (53 byte) Attualità Ottobre 1999

Scappiamo, arriva il Piano di emergenza

Evacuazione di massa, la gente sparsa in tutta Italia, 81 navi per trasportare migliaia di fuggiaschi e di auto. E' questo che dieci anni di Commissioni e atti burocratici hanno previsto nel caso che il Vesuvio si risvegli. Un piano per molti inadeguato e pericoloso, capace solo di provocare panico e intasare le poche strade di una zona a rischio dove vivono quasi 800 mila persone

Gli scongiuri non servono ad allontanare la paura per il Vesuvio, che resta un vulcano attivo e la cui prossima eruzione è sicura anche se non imminente. Ma, soprattutto dopo le recenti scosse di terremoto, cerchiamo invece di informarci al meglio.

In passato, durante le eruzioni del Vesuvio, erano veramente in pochi a scappare freneticamente dalle loro abitazioni, evitando, anzi, un pericolo spesso superiore a quello dell’eruzione del Vesuvio, il panico. Invece di sfuggire all’impetuoso vulcano, agli abitanti si aggiungevano tutta una serie di turisti, viaggiatori, scienziati, pittori o solo curiosi che non si lasciavano sfuggire l’occasione di ammirare da vicino il magnifico spettacolo che la natura stava offrendo. Una vera e propria moda, insomma, da portare un finanziere, tale Oblyeght, a costruire nel 1880, una funicolare per portare sulla sommità del cratere i sempre più numerosi turisti. Anche oggi accade, e non è difficile trovare avventurosi che scalano l’impervio pendio dello Stromboli (spesso malauguratamente senza una guida!) o lungo l’Etna.

Dovremmo riflettere sui nostri avi, che dal 1631 al 1944 (ben 3 secoli!) hanno condiviso quotidianamente la loro vita con quella scandita dal Vesuvio, che era presente con frequenti eruzioni, colate di lava e scorie, piogge di ceneri, terremoti, boati e fumarole (l’ultima fu visibile a valle alla fine degli anni ’50). E proprio con la sua continua presenza il Vesuvio ha creato con il popolo una certa confidenza, ovvero una fondamentale e costruttiva memoria storica. Fu proprio in quel periodo che l’area alle pendici del Vesuvio vide fiorire una serie di abbellimenti urbani ed architettonici, le ville vesuviane e la nascita nel 1841, del Real Osservatorio Vesuviano, primo istituto vulcanologico del mondo.

Dal secondo dopoguerra in poi la situazione cambia. I fenomeni vulcanici si esauriscono nettamente e grazie alla politica delle amministrazioni locali, centinaia di migliaia di persone iniziano ad urbanizzare selvaggiamente l’area vesuviana. Oggi, purtroppo, i circa 800 mila abitanti che insediano, o forse meglio dire assediano, il Vesuvio hanno perduto la fondamentale memoria storica e forse è bene ricordare come ci si deve comportare se il Vesuvio iniziasse a dare segni di ripresa.

Il Vesuvio, rappresenta sicuramente un pericolo per le migliaia di edifici che circondano le sue pendici ed i versanti, ma di certo non è un pericolo per le migliaia di vite umane che vi abitano, poiché le sue eruzioni sono state sempre precedute da tutta una serie di fenomeni precursori che sono sempre e continuamente monitorati.

Frequentemente, purtroppo, può accadere che il vulcano cambi dinamica eruttiva e quindi i fenomeni precursori potrebbero avere degli andamenti diversi, ma la sorveglianza consiste, sostanzialmente, nel determinare la possibile dinamica eruttiva di un vulcano e tutti i possibili segni premonitori di un’eruzione.

La risalita del magma verso la superficie, prima di ogni eruzione, viene sempre accompagnata da tutta una serie di fenomeni anomali che possono essere rilevati e controllati attraverso apposite strumentazioni. Ovviamente ogni tipo di vulcano ha una sua dinamica eruttiva e quindi i suoi precursori. In base alla forma dell’edificio è possibile, infatti, distinguere vulcani a scudo (es. Hawaii, Islanda), coni vulcanici (es. Vesuvio, Fuji) e vulcani cosiddetti negativi, che sono semplicemente costituiti da crateri di esplosione o da caldere (es. Campi Flegrei) e consistono di una depressione più o meno profonda nella crosta terrestre.

Lo spostamento di masse calde in una camera magmatica o lungo il condotto, provoca la deformazione e fratturazione delle rocce circostanti, ciò crea variazioni dell’accelerazione di gravità (provocate dalla ridistribuzione delle masse), aumento delle temperatura in superficie, associata spesso da fuoriuscita di gas magmatici o con una variazione composizionale delle fumarole, deformazioni del suolo create dalla spinta del magma dal basso verso l’alto, eventuali variazioni del campo magnetico. L’Osservatorio Vesuviano esegue costantemente dei controlli per verificare che tutto sia nella norma e se il Vesuvio da cenni di risveglio vulcanico.

Nel corso degli anni e durante l’alternarsi dei numerosissimi schieramenti politici, è iniziata anche un’altra forma speculativa ai danni del Vesuvio, la creazione di numerosi quanto inconcludenti impegni solenni, comitati interministeriali, commissioni scientifiche... una vera e propria soap opera in piena regola dei piani di emergenza! Riepilogo delle puntate precedenti:

Nel 1989, a seguito di un parere espresso dalla "Commissione tecnico-scientifica a base interdisciplinare per lo studio dei problemi relativi alla individuazione dei rischi che comportano misure di protezione civile per i vari settori di rischio vulcanico" e dopo la costituzione di una "Commissione per l’Indagine della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici e strategici dell’area vesuviana", veniva costituita la "Commissione incaricata di stabilire le linee guida per la valutazione del rischio connesso ad eruzione nell’area vesuviana" che, nel novembre 1992, consegnava al Dipartimento nazionale alla Protezione civile una relazione conclusiva che, incredibile a dirsi, fu classificata come segreta suscitando le proteste di non pochi studiosi ed amministrazioni comunali. Finalmente, pochi anni più tardi, veniva costituita la "Commissione incaricata di provvedere all’elaborazione di un piano di emergenza dell’area vesuviana connesso a situazioni di emergenza derivanti dal rischio vulcanico". Spero che vi sia rimasto un tantino di coraggio per continuare a leggere, ma è evidente che il quadro è fin troppo sconfortante e quando la burocrazia ci mette le sue mani ecco che la pianificazione dell’emergenza nell’area vesuviana subisce un trascinarsi di anno in anno, di commissione in commissione, senza il raggiungimento dello scopo primario.

Nel settembre 1995 è stato presentato dal Dipartimento nazionale alla Protezione civile un Piano di Emergenza che prevede il trasferimento di tutta la popolazione vesuviana in 18 regioni italiane. Questo piano (peraltro non ancora terminato) ha suscitato non poche perplessità ed alcune amministrazioni comunali hanno avanzato delle proposte affinché esso venga modificato. Nasce, così, nel febbraio 1996, una nuova Commissione, costituita dal Dipartimento nazionale alla Protezione civile, che dovrebbe redigere un nuovo Piano di emergenza.

Il fondamentale motivo per cui il Piano di Emergenza non è stato ancora definitivamente redatto e costituito è dovuto agli interessi non sono solo politici ma purtroppo anche scientifici. Il filo conduttore di ogni commissione è sempre stato quello di impostare il piano di emergenza vesuviana con una immediata e totale evacuazione preventiva dell’area, per magari poi scoprire che tutte le principali arterie urbane possibili di questa direttiva (autostrada Napoli-Salerno, Strada Statale 18, rete ferroviaria) sono talmente inadatte ad una evacuazione del genere e che si risolverebbero in una carneficina, denunciata anche qualche anno fa da un noto settimanale nazionale. Ed ecco che da quel polemico titolo, Un milione di morti in caso di un eruzione del Vesuvio, le commissioni impostano piani di emergenza che devono restare segreti, cercano di prendere tempo, estromettono le comunità locali dalla redazione dei piani, ed 11 sindaci dell’area vesuviana, qualche anno fa, hanno lanciato un appello contro questo metodo di lavoro.

Il Piano di emergenza presentato alla stampa, insieme ad un video destinato alle scuole, il 25 settembre 1995, nonostante quattro anni di lavori e lo stanziamento di 1.400 milioni, oltre qualche frase di circostanza, sembra fatto apposta per suscitare il panico.

É praticamente un documento di 18 pagine titolato "Pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana: note per la stampa", che illustra quello che dovrà essere il Piano di Emergenza vero e proprio. Nel documento vengono perfino quantificate le forze necessarie alla gestione dell’emergenza, che prevede, addirittura, di utilizzare 81 navi di vario tipo (c’è da chiedersi da attraccare dove) per trasportare 45.000 persone, 4.000 automobili, che non si capisce perchè debbano essere trasportate sulle navi. Ma al di là di questa bizzarria, non essendo possibile analizzare alcun reale piano di emergenza, non ci resta che soffermarci sulle direttive contenute nel documento.

Come già detto, la popolazione vesuviane vedono oggi un’eruzione come una specie di bomba ad orologeria: un evento dal quale allontanarsi con un’immediata quanto catastrofica fuga. Paradossalmente quest’atteggiamento rischia di essere legittimato dal Piano, che prevede al verificarsi di un allarme vulcanico l’evacuazione immediata e generale della popolazione. Tutta un’altra storia accade per i piani di emergenza in aree vulcaniche urbanizzate redatti all’estero, che prevedono un allontanamento graduale della popolazione.

Per l’area vesuviana è prevista durante la prima fase di allarme vulcanico, il solo allontanamento delle persone inabili (ricoverati in ospedali, handicappati, bambini...) lasciando per ultimo quello delle persone abili che, protette da un sistema di pronto allarme, vengono impiegate nello spalamento delle ceneri vulcaniche dai tetti o in altre operazioni di salvaguardia dei centri urbani. Seguirà, poi, una vera e propria deportazione, con la disseminazione della popolazione vesuviana in 18 regioni italiane, niente a che vedere con l’arrivo dei profughi kossovari della scorsa primavera.

Le note aggiuntive del 1996 a questo piano di emergenza, hanno previsto l’istruzione del corpo docente di tutte le scuole statali dell’area vesuviana, che dovrebbero poi a loro volta suscitare nei giovani una presa di coscienza verso una probabile eruzione. Sono stati, quindi, distribuiti dei cd-rom, con tanto di fumetto, per la preparazione all’evento.

Preferisco non aggiungere altri commenti al Piano di Emergenza. Ci pensano per fortuna sia i sindaci che i vari professori universitari non coinvolti nelle varie commissioni a polemizzare e creare disinformazione e spesso panico, ma vorrei terminare con dei magnifici versi su quello che molti napoletani, compresa me, rispettano e amano.

 

Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante
di vigneti ombrosi,
qui un’uva pregiata
faceva traboccare le tinozze;
Bacco amò questi balzi
più dei colli di Nisa,
su questo monte i Satiri in passato
sciolsero le loro danze;
questa, di Sparta più gradita,
era di Venere la sede,
questo era il luogo rinomato
per il nome di Ercole.

Ora tutto giace sommerso
In fiamme ed in tristo lapillo:
ora non vorrebbero gli dei
che fosse stato loro consentito
d’esercitare qui tanto potere.

(Marziale, Odi IV, 44, dicembre 88 AD - trad. Giarratano e Izaac, Garzanti, 1979)

Mariagiovanna Capone

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