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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Settembre 1999


Le realtà impossibili di Philip K. Dick

E' considerato uno dei maggiori narratori americani del secolo. Ed è l'autore del libro da cui è stato tratto uno dei più famosi film di fantascienza, Blade Runner. Ora Sellerio ripropone di Philip K. Dick due romanzi futuristici con lo stesso tema centrale: il mondo in cui viviamo potrebbe non essere quello vero

Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, Sellerio, pp.309, L.15.000

P. Dick.jpg (15354 byte)Philip K. Dick, chi era costui? Dubito che molti italiani tra coloro che hanno visto il celebre film di Ridley Scott, Blade Runner, conoscano il nome dell’immaginifico ideatore del racconto di fantascienza (Cacciatore di androidi, Editrice Nord) da cui il film è stato tratto. Eppure Philip K. Dick, nato a Chicago nel 1928 e morto in California nel 1982 è considerato una delle figure maggiormente significative tra i narratori statunitensi del secolo. Autore assai prolifico, ha scritto qualcosa come più d’un centinaio di racconti, oltre quaranta romanzi, per non parlare del resto della sua sterminata produzione: fra saggi di vario genere, diari, quaderni di confessioni. Va dunque accolta senz’altro favorevolmente la riproposta da parte di Sellerio di due romanzi del Nostro: Le tre stimmate di Palmer Eldritch e Tempo fuori luogo.

The Three Stigmata of Palmer Eldritch (1964), come ha sottolineato Angelo Barbato in una nota ad una precedente edizione del libro "è uno dei romanzi in cui le tematiche complesse e ramificate che attraversano la sua opera, in stretta connessione con elementi autobiografici, sono forse rappresentate in modo più coerente fino alle estreme conseguenze". E’ infatti il problema della dipendenza dalle sostanze psicotrope – in parole povere dalla droga – a costituire il nocciolo di questo testo esemplare, che ci proietta in un futuro dove uomini inviati a colonizzare Marte riescono a sopravvivere solo facendo uso di droghe che non solo stravolgono la percezione del reale, ma rendono possibile una realtà diversa e inquietante. Va ricordato a tale proposito come per Philip Dick (il quale conobbe la tossicodipendenza) uno dei temi, o si potrebbe forse meglio affermare una delle ossessioni, più o meno presente in quasi tutte le sue opere è costituita dal rovello di chi, posto di fronte alla cosiddetta realtà, non può fare a meno di coglierla come equivocamente ingannevole e illusoria, benché a tratti in essa si aprano spiragli rivelatori – ma solo se si sappia penetrarli con occhio attento – di una dimensione altra, che talvolta assume valenze perturbanti, talvolta metafisiche.

Anche in Tempo fuori luogo il dubbio che il mondo non sia quello che sembra si presenta a Reagle – uomo senza qualità, che tira a campare risolvendo i quiz a premi di un giornale – quando prende a riflettere sulla sua vita, a tutta prima rassicurante in una piccola cittadina di provincia americana, dove le giornate trascorrono tra la routine del lavoro e le soste al supermercato, intervallate solo da pause domenicali consumate a lavare l’automobile o preparare il barbecue. C’è tuttavia qualcosa fuori luogo, che appare di quando in quando al protagonista. Piccoli particolari che non collimano, sfasature che incrinando il rassicurante tran tran fanno precipitare Reagle in un crescendo di paranoia, quando egli si convince che: "la nostra realtà è tra le parole, non tra le cose".

Ma a questo punto, per non togliere al lettore il piacere di scoprire da sé cosa si cela dietro tale alienazione, ritengo superfluo insistere con il prosieguo di questa vicenda all’insegna di un gigantesco complotto perpetrato allo scopo di nascondere al nostro uomo qualunque una verità forse intollerabile. Fuor di metafora, comunque: se il nostro mondo dovesse mai davvero limitarsi ad hamburger surgelati, code in auto, consumi voluttuari, Coca Cola e pettegolezzi alla Peyton Place, ben venga l’alienazione a farci rifiutare questa realtà impossibile.

Francesco Roat

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