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redarrowleft.GIF (53 byte) Spettacoli Luglio/Agosto 1999


Alzati Golem, e spegni la tv

Rivede, analizza e seziona personaggi, riti e messaggi della televisione. Ora Gianluca Nicoletti, autore e voce di Golem, programma radiofonico su RadioUno Rai, ha scritto anche un romanzo sul mondo folle che si muove nel tubo catodico. In questa intervista a Nautilus spiega come si fa a vivere vicino a quell'ambiente senza esserne assorbiti. "In fondo - dice - dietro la tv non c'è nulla"

Nicoletti.jpg (7640 byte)In pochi anni Gianluca Nicoletti, critico televisivo e intelligente conoscitore dei costumi di una società in transizione come la nostra, si è imposto all’attenzione del grande pubblico come uno dei punti di riferimento della post – modernità italiana. La sua trasmissione radiofonica Golem in onda dal martedì al venerdì su RadioUno Rai dopo il Gr1 delle 8.00 è una delle più seguite della radio ed è amata, idolatrata e arricchita da un folto gruppo di appassionati che amano definirsi Golemaniaci e che interagiscono con l’autore via posta elettronica. Ma Nicoletti non è solo un acuto analista della realtà mediatica dei nostri giorni, è anche uno sperimentatore dalle passioni alchemiche che, insieme all’ "hacker buono" Andrea Borgnino, ha portato a compimento il primo tentativo di ibridazione tra Internet e Radio, creando un sito web (http://www.grr.rai.it/golem/index.asp) che è diventato una zona franca di approfondimento dei temi trattati durante la trasmissione radiofonica.

In attesa delle novità che Nicoletti sta preparando per l’autunno in cui la sua trasmissione riprenderà in diretta anche su Internet, Mondadori ha pubblicato un romanzo intitolato Amen in cui Nicoletti si è divertito sprezzantemente a raccontare le suggestioni e le debolezze del mondo della televisione, riviste e spappolate alla luce di un’interessante stile narrativo che conferma – se ce ne fosse bisogno – la genialità di questo lucido critico "dal multiforme ingegno". In questa intervista esclusiva per Nautilus, Gianluca Nicoletti ci parla della sua fatica letteraria con quel suo stile unico e quella particolarissima franchezza autoironica che lo rendono fonte di ammirazione e ispirazione per tutti coloro che si confrontano per lavoro, passione o semplice necessità con il mondo dei media.

Da dove è nata l’ispirazione per Amen ?

La Mondadori mi ha chiamato offrendomi un congruo assegno per scrivere un romanzo. Non ero particolarmente entusiasta, ma quando mi fu detto che sarebbe bastato che io scrivessi qualcosa sulle stesse corde di quello che dicevo alla radio, perché già aveva un senso in sé, allora ho accettato. In realtà la traccia fondamentale di Amen l’avevo già scritta qualche anno fa. L’ho ripresa e rivista, infarcendola di finti spot pubblicitari per dare al lettore il medesimo senso di spaesamento che prova chiunque che – per vendere un’opera del suo ingegno – deve metterci dentro la pubblicità. Amen è nato come metafora del suo contenuto. Una scrittura che dà la stessa sensazione della visione televisiva. Un racconto interrotto da altri sotto racconti o meta racconti che hanno la funzione di spezzarlo, provocando un senso di grande fastidio. Una ripulsione di natura fisica verso la frammentazione quotidiana cui ci siamo abituati tutti quanti.

Secondo un’altra ottica, invece, le pubblicità sono l’unico elemento interessante presente in Amen essendo la trama del romanzo abbastanza banale e piuttosto prevedibile. Tra il momento in cui ho scritto questa trama e il momento in cui è stata pubblicata, c’è stato il film di Peter Weir The Truman Show che ha reso il mio testo una specie di storia già vista. La mia è una scrittura che assume i toni transeunti e passeggeri propri della letteratura televisiva. E’ stato un esperimento che è nato dalla storia che lo ha determinato. Se la Mondadori non mi avesse chiamato e pagato, probabilmente questo libro sarebbe stato molto diverso o non ci sarebbe stato affatto. Personalmente mi esprimo meglio attraverso un microfono e grazie all’improvvisazione verbale in cui mi riconosco poco dopo averla codificata dal punto di vista testuale, perché non amo il manierismo di me stesso. Essendo perfettamente consapevole che non avrei scritto qualcosa che sarebbe rimasto nell’ambito della narrativa italiana, ho provato a sperimentare diversi livelli di lettura e di scrittura. Un esperimento riuscito, dal mio punto di vista.

Il fatto che Amen sia nato come instant book sulla scia di un enorme successo radiofonico non le ha fatto sentire qualche responsabilità nei confronti dei lettori che avrebbero cercato nel testo le medesime suggestioni della sua rubrica radiofonica?

Tutti quelli che hanno scritto del mio libro sono rimasti delusi dicendo: "la radio è un’altra cosa!" . Grazie, questo lo sapevo anche io prima di pubblicare il libro. La radio è la maniera che io ho scelto o che ha scelto per me per dare voce a certi pensieri. La radio è forte, immediata e prende molto di più di un libro. In un libro precedente avevo tentato – in maniera scellerata – di travasare in forma letteraria ciò che dicevo via etere. Questi passaggi impropri tolgono molto alla forza del messaggio. In questo senso, volendo creare qualcosa di nuovo, la mia operazione è stata onesta. Mi dispiace per chi è rimasto deluso, ma io ho tentato qualcosa di nuovo. Del resto Amen è stato sfortunato, perché è uscito in concomitanza con la guerra. Un elemento che a parte rari casi di fortuna letteraria come Baricco e Castagna, ha danneggiato fortemente la vendita dei libri.

Sono molto interessanti gli elementi biografici presenti nel suo libro…

Sono entrato in Rai dicendo che avevo uno zio arcivescovo. L’ho fatto perché non mi importava nulla di lavorare in Rai, avendo vinto un posto a Barcellona nel locale istituto di cultura presso la cattedra di italianistica. Oggi sarei ancora lì se – nonostante avessi già preso la casa dove andare a vivere – prima di partire non fossi andato a un colloquio a Viale Mazzini. Venivo da Perugia e arrivai in un arroventato pomeriggio d’estate con la stessa strafottenza del provinciale che pensa di potere ridere di tutto e tutti. Dopo il colloquio con la capostruttura radical chic, questa rimase impressionata e affascinata dal provinciale naif assai diverso da tutti gli allievi di Asor Rosa che aveva incontrato prima. Mi fu offerto un contratto, ma mi fu fatto anche capire che per formalizzarlo ci voleva "una spintarella". Così mi inventai di avere uno zio arcivescovo, facendo intravedere una finta lettera di raccomandazione con tanto di bollo della curia. Quando il gioco fu scoperto, la capostruttura lo prese come un ulteriore elemento di divertimento e di creatività. E’ anche vero che sono stato caporalmaggiore delle trasmissioni dell’esercito e che durante il militare mi sono diplomato marconista. Ho preferito scrivere questo che parlare dei miei titoli. Il palazzo della televisione ricorda chiaramente quello di Viale Mazzini raccontato con gli occhi di come lo vedevo io: l’umbro dalle radici contadine che si stupiva nel vedere questi strani tizi affannarsi senza comprenderne lo scopo e gli intenti. Cosa che ho capito dopo molti anni. Così ho ipotizzato una formula fondamentale: bisogna essere senza talenti per avanzare nella gerarchia piramidale, totalmente inversa rispetto a ogni oggettiva valutazione della realtà. Il capovolgimento di tutti i valori ha ispirato la mia descrizione della piramide televisiva descritta in Amen.

Al di là dei nomi dei personaggi che possono ricordare quelli di un pamphlet settecentesco, è impressionante notare come lei li presenti al lettore con un misto di amarezza e ironia. Lo stesso modo simpatetico con cui – alla radio – evidenzia magagne e debolezze della televisione e dei suoi protagonisti…

Tutti noi siamo complici di questo stato di cose. L’ironica amarezza è presente, ma io non voglio rifletterci sopra troppo, perché altrimenti potrebbe diventare un manierismo che mi renderebbe schiavo. La mia visione del mondo nasce dalla mia anima umbra abituata allo scherzo e al dileggio, dal doppio senso pecoreccio, dall’anima divisa tra preti e massoni che sono entità apparentemente antitetiche e che eppure in una piccola comunità riescono ad andare a braccetto. Volendo scavare ancora più nel profondo potrei anche pensare a un’anima etrusca, ovvero a volti sorridenti sul sepolcro e a grossi falli che sono sì simbolo di fertilità, ma anche di oscena presa in giro per chi li guarda millenni dopo.

Il suo lavoro nasce dall’ibridizzazione di mezzi tecnologici, ma anche dalla contaminazione di generi culturali. Non crede che questa sia la grande forza alla base della sua esperienza critica e mediatica?

Amen può essere letto a vari livelli e io personalmente rifiuto l’idea di venire definito come una persona colta. I miei studi liceali e universitari hanno visto la furbizia e l’astuzia strategica prevalere sulla preparazione. Ho la fortuna di avere una memoria attiva che rielabora e rimacina in maniera inconsapevole. E’ un dono medianico, più che mediatico.

In una società senza memoria come la nostra, lei non crede, invece, di dare spazio a delle idee che rifiutano coloro che si limitano – semplicemente – a scrivere sulla sabbia?

Analizzo una non scrittura come quella televisiva e radiofonica "scritta sulla sabbia", creando dei meta significati e degli iper significati su cui fondo il mio pensiero. Il mio lavoro è apparentemente quello di scavare in un mezzo che è pura immanenza, privo di qualsiasi trascendenza. Dietro la televisione non c’è nulla. Chi individua qualcosa lo fa – come me – solo per inventarsi dei discorsi da fare. Dentro lo schermo piatto noi cerchiamo solo noi stessi. Noi siamo la nostra matrice del nostro pensiero.

La televisione ha creato delle moderne mitologie. Questa la riflessione di film come The Truman Show, Ed Tv e Pleasantville. Esiste quindi un rapporto tra sacro e televisione. Lei non crede di essere stato in fondo il primo a esplorare questo aspetto mistico della tv? Il primo agiografo della mistica della celebrità…

Potrebbe essere. Dipende dai vari percorsi di lettura del mio lavoro. Del resto io ho studiato dai preti e sono laureato in lingua e letteratura spagnola, quindi so di cosa parlo quando parlo della mistica carmelitana con i suoi monti da scalare come fonte di conoscenza e degli alberi della conoscenza che si ramifica. Più si va avanti, più ci si avvicina alla conoscenza. Proprio come capita alle file di sedie del Costanzo Show. Gli eletti sono quelli più vicini al palcoscenico. Quasi simili a quelli che vi sono sopra. La televisione è una moderna teogonia con tutti i suoi santi e tutti i suoi dannati. Il mio limite è quello di avere preso sotto gamba la semiotica e gli strutturalisti.

Oggi la critica a tutti i livelli (musicale, cinematografica, letteraria, televisiva) è profondamente collusa con gli ambienti verso i quali dovrebbe mantenere una certa integrità. Lei, invece, in maniera cosmologica separa ordinatamente il suo lavoro dall’attrazione verso il caos televisivo…

Anche io faccio qualche irruzione in televisione. Per conoscerla e non per entrare nel mezzo. Mi dà fastidio fare televisione. Non ho piacere di rivedermi in tv e considero queste mie incursioni come un’operazione di disciplina. Mi dà molta più soddisfazione la fama ricevuta dalla radio. Odio la notorietà senza talento che può dare la televisione. In qualsiasi altro campo uno qualche minimo requisito deve averlo. In tv no. Per quanto riguarda i critici italiani, vorrebbero fare televisione, ma temono di non esserne capaci. Io entro volentieri, invece, nella televisione a patto che siano solo passaggi sporadici. È come entrare dalla finestra nella camera di una donna, e dopo esserti sollazzato, scappare via, voltandosi a vedere le reazioni del marito o del fidanzato. Un atteggiamento vitale, dirompente, quasi guerresco nei confronti del mezzo, consente una maggiore comprensione di quello che si fa.
Io sono un artigiano. Devo avere un'esperienza reale, tattile. Per la mia home page Rai ho incominciato a studiare da solo cosa fare, poi ho chiamato dei collaboratori. Ho bisogno di un contatto epidermico che passi attraverso un'esperienza corporea di qualsiasi cosa faccio.

Lei, però, fa una vita molto riservata…

Ho una moglie e due figli piccoli. Come potrei fare altrimenti?! In quei rari casi in cui mi sacrifico ad andare a feste e cene non so mai cosa dire alle persone, né dove tenere le mani. Non amo vedere la gente. Mi piace stare solo e a stento sopporto la mia famiglia. A parte qualche amico non penso mai uscire per vedere qualcuno. Mi sento forte davanti a un microfono. Nelle altre situazioni mi sento a disagio. E’ la mia nevrosi.

Non crede che questa sia anche un po’ la sua forza?

Sarebbe una forza se nutrissi un desiderio di ascesi. Non devo rendere conto a nessuno. Non devo fare l’amicone con nessuno.

Una garanzia di cattiveria per il suo pubblico?

Ma quando mai sono stato cattivo! Quello che vedo in tv non è la realtà. Sono solo ectoplasmi e le mie sono le parole di un medium. So bene che Frizzi o Mara Venier se mi incontrano mi menano, ma io non critico loro, bensì la loro immagine ad essi rubata dal tubo catodico.

Una domanda alla Marzullo: è peggio essere picchiati o ignorati da chi si critica?

Sicuramente essere menati.

Marco Spagnoli

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