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redarrowleft.GIF (53 byte) Attualità Giugno1999

L'ozio elettorale è il padre dei vizi

Già dalla metà del 1800 costituzionalisti e osservatori della politica chiedevano agli elettori maggiore responsabilità e partecipazione. Ma le stesse cose le chiedevano anche ai politici. E oggi, a 150 anni di distanza, le cose non sono cambiate di molto

Il 30 marzo del 1879 Carlo F. Ferraris pronunciò un discorso che si intitolava Il primo dovere dei cittadini in uno Stato libero. L’oratore era un uomo impegnato nel costruire le nuove direttrici costituzionali e culturali dell’Italia nata dal Risorgimento; tra l’altro il Ferraris pose le basi dei moderni studi di statistica del nostro Paese. A rileggere oggi quelle brevi note si rimane colpiti dalla loro attualità. Allora scriveva che "Non ostante il diluvio di tasse che ci piovve addosso e non ostante che si siano aperte scuole in alto e in basso, per il che molto è cresciuto il numero dei contribuenti ed è diminuito il numero degli analfabeti; ... il numero dei votanti in proporzione degli elettori inscritti fu sempre assai piccolo... Dunque risulta una seconda verità: che in Italia in genere, e nell’inclita Milano in ispecie, gli elettori inscritti il giorno delle elezioni invece di accorrere alle urne preferiscono stare in casa; sarebbe per essi troppa noia recarsi ad un ufficio elettorale per scrivere un nome su una scheda e poi gettarla nell’urna!

Permettete che io, laico predicatore, inveisca contro l’ozio elettorale che è il padre di tutti i vizi nella nostra vita politica.

...Vediamo dunque ... quale peccato commettano coloro che inscritti non si curano di esercitare il diritto di voto. Il peccato chiamasi l’indifferentismo politico: i peccatori denominiamoli dunque, per brevità, gli indifferenti. Gli indifferenti si rendono colpevoli verso la patria che loro attribuì il carattere di cittadini di uno Stato libero. E noi italiani dovremmo più che altri tener preziosa ogni facoltà che la cittadinanza concede, perché, dopo aver combattuto con tanta energia contro i tiranni interni e gli stranieri oppressori non solo conquistammo l’unità e l’indipendenza, ma un governo costituzionale. ... Gli indifferenti si rendono colpevoli contro il censo che la sorte loro ha dato, contro la coltura intellettuale, che si sono acquistata. ... Ma gli indifferenti fanno qualcosa di peggio: si rendono colpevoli verso la libertà: essi fanno spuntare un sorriso di sprezzo sulle labbra dei nemici delle nuove istituzioni che vanno mormorando: ‘A qual prò dare libertà costituzionali a gente che le trascura? Tolgansi a queste vanità, che paiono cittadini, franchigie di cui sono indegni e si ritorni ai fieri ordinamenti del governo assoluto. ... Gli indifferenti si alleano cogli amici del dispotismo e cogli amici dell’anarchia: io perciò li denunzio alla vostra riprovazione!"

L’acuta analisi del Ferraris ben si accosta alle vicende politiche recenti. Dinanzi a una progressivo disinteresse per le consultazioni elettorali si propongono rimedi artificiosi e inconcludenti. Tale è sicuramente il cosiddetto election day ove in un’unica giornata si concentrerebbe il rinnovo di più assemblee elettive (consigli comunali, provinciali, regionali, etc.). Infatti con questa pratica aumenterebbe il disorientamento degli elettori sommersi da un elevato numero di schede e dunque impossibilitati nello scegliere uomini e programmi.

Altrettanto inefficace è il prospettare come soluzione dell’astensionismo una riforma del sistema elettorale. Difatti il recente referendum ha reso netta e chiara un’indicazione: i diversi sostenitori dell’una e dell’altra tesi nel mentre invocavano ‘il rinnovamento della politica’ facevano intendere dai loro volti (Occhetto, Segni, Marini, Bertinotti, Fini, Casini) che il loro lungo permanere nelle assemblee elettive era l’espressione di una politica invecchiata nelle persone e nelle coscienze. Quei dirigenti di partito da un lato avevano proclamato che i nuovi sistemi elettivi avrebbero dovuto obbligare alla scelta giudiziosa di uomini della ‘società civile’; d’altro canto, tutti quegli oratori si facevano scudo di simboli elettorali ‘riverniciati’ occultando così esperienze poco efficaci e lunghe permanenze.

In realtà il problema del ‘rinnovamento della politica’ era stato discusso più volte dagli appassionati interventi di Domenico Zanichelli che - nel 1891 - esaminava i caratteri delle incompatibilità parlamentari chiedendosi: può un sindaco di una grande città fare il deputato (o come accade oggi il ministro)? Possono i membri di una giunta provinciale dedicarsi agli impegni della Camera oltre che a quelli cui sono stati designati? E potrebbe oggi attendere agli uffici delle cariche locali ed europee? Oggi qualsiasi opera di revisione elettorale non potrà prescindere dalla necessità di risolvere un problema che è tra le cause dell’indifferenza: non è più possibile che in Italia - contrariamente a quanto avviene in altri paesi europei - si possa scegliere di fare il rappresentante del popolo a vita intraprendendo questa carriera sin da studenti per di più talvolta senza aver fatto una concreta esperienza di lavoro. Occorrerà quindi stabilire incompatibilità nuove (anche per ciò che riguarda le possibilità di rielezione) e diversi sistemi di formazione delle liste in modo che il controllo sui candidati effettuato delle segreterie dei partiti sia diminuito.

Ora si stanno approssimando le elezioni europee e quegli stessi nomi che ci hanno sollecitato il consenso in passato e che spesso ci ammoniscono dagli schermi televisivi si ripropongono anche -e in più di un collegio elettorale - per questa scadenza elettorale assicurandoci il raggiungimento di nuovi obiettivi. C’è da diffidare. C’è però da scegliere attentamente nelle diverse liste quanti dimostrano di aver lavorato nella società e non solo nei corridoi di partiti e sindacati. Aveva ragione Giustino Fortunato che - nel 1898 - nel tracciare Il dovere del politico scriveva: "al prestigio delle istituzioni non può conferire né certo conferisce questa eterna ripetizione di promesse che restano parole... . Allora l’insigne studioso paragonava le competizioni elettorali agli "avvisi multicolori della lotteria nazionale di Torino, con tutte quelle avide mani, febrilmente levate alla sfinge misteriosa che fa arricchire da un giorno all’altro senza fatica", allora invitava a schierarsi contro gli spacciatori di frottole che a un tratto sembrano capaci di spargere abbondanza e lenire tutte le sofferenze. E in definitiva aveva ragione Ferraris che auspicava, per combattere l’apatia elettorale, una viva partecipazione dei cittadini per spazzar via dai partiti le mediocrità giacché allora non era -e ancor oggi non è - più possibile che su questioni importanti come la riforma fiscale o il mutamento del nostro sistema elettorale si ricorra a un susseguirsi di declamazioni.

I rischi che si corrono quando si deteriora l’immagine dei rappresentanti sono ben evidenti ed effettivamente possono essere evitati se nelle prossime elezioni il cittadino concentrerà bene la sua attenzione sulle qualità dei candidati scegliendo oculatamente con l’orgoglio della propria coscienza a chi dare il proprio consenso esprimendo sempre la preferenza e non limitandosi a un voto per la ‘lista’. Solo in questo caso si potrà dire come rammentava Ferraris quel che notò Tucidide in occasione delle elezioni degli ateniesi: Era festa per essi compiere il loro dovere.

 

Piero Morpurgo

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