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redarrowleft.GIF (53 byte) Attualità Luglio/agosto 1999

Lo stato degli esami

Terminati i nuovi esami di stato voluti dal mibnistro Berlinguer si tirano le somme  e si fanno le prime valutazioni. Così la pensano i diretti interessati: alunni, professori e presidenti di commissione

Come già previsto il nuovo esame di stato ha superato la prova senza infamia e senza lode. Non ci sono stati più respinti, né più promossi. I commissari e i presidenti hanno sigillato i documenti secondo tradizione con l’ "apposita" ceralacca e sono partiti per le vacanze. Quindi grande rumore per nulla? In un certo senso sì. Del resto essendo l’unica novità concreta realizzata dal Ministro Berlinguer un po’ di battage pubblicitario può anche essere giustificato. In ogni caso i ragazzi che sceglieranno l’Università avranno più o meno gli stessi livelli (bassi) di preparazione, mentre coloro che si inseriranno nel mondo del lavoro dovranno fare i conti con una realtà che conoscono poco. Indubbiamente questo esame è costato economicamente molto alla collettività e la presenza ancora prevalente di commissari esterni non ha permesso di valorizzare appieno le competenze acquisite durante tutto il percorso di studio. Tutto il dibattito, in ogni caso, è condizionato da una questione che, almeno in Italia, pare insormontabile: il valore legale del titolo di studio: perché gli esami di stato, con commissioni, ispettori, norme formali ecc. a questo solo servono. Mentre l’Europa pensa in grande la formazione del nuovo secolo, l’Italia rimane legata ai vincoli propri di un’organizzazione statale ormai preistorica.

Ha ragione Francesca Lazzari, che ha partecipato come commissario agli esami in un istituto industriali di Vicenza, quando dice: " Se il nuovo esame di stato saprà essere un momento strutturale e organico di tutto il percorso formativo, delle esperienze e dei passaggi più significativi del vissuto scolastico degli allievi sarà sicuramente un’innovazione positiva e non solo la necessaria ridefinizione della formula ormai logora della vecchia maturità. Solo se servirà a stimolare docenti e consigli di classe ad impostare rigorosamente il proprio lavoro ad utilizzare metodologie e tecniche valutative per fare emergere competenze e capacità degli alunni l’esame acquisterà spessore e credibilità. Questi obiettivi, per ora non sono stati completamente raggiunti e quindi l’esame risulta ibrido, non ancora rispondente alle necessità della scuola dell’autonomia". Di contro un ispettore ministeriale, Michele Di Cintio, con un linguaggio tutto istituzionale, afferma che: "l’attenta riflessione che i consigli di classe hanno dovuto compiere sulle modalità della propria programmazione e sui criteri di valutazione dovrebbe sortire un effetto sempre più benefico sulla qualità del servizio scolastico ed accelerare il processo di innovazione dell’autonomia didattica". Ambedue, comunque, ritengono che il nodo non sia l’organizzazione dell’esame, bensì la possibilità di sviluppare iniziative a supporto di metodologie educative innovative.

Allora, la novità dell’esame di stato ha ancora bisogno di tempo per diventare uno strumento utile di valutazione dei risultati scolastici degli studenti alla fine del ciclo delle superiori. Non è semplicemente con il cambio di nomi, come ad esempio passare dal termine "giudizio" a "credito formativo", che può migliorare la strada verso la modernizzazione della formazione. Anche i due momenti più significativi del nuovo esame come la terza prova scritta e il colloquio interdisciplinare devono superare il rodaggio perché occorre rendere l’allievo protagonista del processo formativo. Altrimenti queste due prove divengono nozionistiche o portano a conversazioni "surreali" fra commissario e candidato. Infatti, pur di fare passare la multidisciplinarietà si inseriscono collegamenti fra materie che alle volte appaiono umoristici e decisamente superficiali.

Il ministro Berlinguer, quando presentò la nuova legge sugli esami di stato, sostenne che bisognava cambiare a partire dalla fine del percorso scolastico, per obbligare il personale della scuola a modificare tutta l’organizzazione curricolare. Non a caso gli addetti ai lavori che abbiamo intervistato sottolineano che importante non è l’esame ma l’acquisizione di competenze flessibili, trasversali dei nuclei fondanti delle discipline. Il problema è verificare se queste nuove dimensioni didattiche possono trovare spazio all’interno di una scuola che ha una presenza prevalente di docenti scarsamente motivati e realizzati sul piano professionale e per di più con un’età media lavorativa elevata, quindi poco propensa alle innovazione o ad investire sul cambiamento. Se aggiungiamo che i dirigenti scolastici sono per la maggioranza prossimi alla pensione le incentivazioni all’innovazione avvengono più per inerzia che per scelta professionale, il clima che troviamo nella scuola è poco favorevole per rendere operative le idee e i buoni proposti dell’attuale ministro in carica.

Infine anche l’esame di stato risente di una politica scolastica che accresce la spesa su attività già consolidate e poco per riqualificare la formazione. Portare aria di novità negli esami è una condizione certamente necessaria perché la vecchia maturità era da rottamare, ma non sufficiente per dare ai giovani strumenti di valutazione delle loro competenze per affrontare con serietà e serenità gli studi universitari, la formazione professionale e il lavoro. Perché non sia solo un belletto, la valutazione finale, forse senza titoli legali, dovrà essere inserita al più presto in una pianificazione di modernizzazione dell’apparato scolastico. Per raggiungere questo risultato, però, si dovrà chiedere poco alla buona volontà degli insegnanti ma molto alla politica dell’esecutivo, che mi pare, in questa fase, in posizione di stallo.

Marco Appoggi

 

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