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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Giugno 1999


Dai, andiamo al cinema a vedere la tv

Da Truman Show a Pleasantville, da Ed Tv a Celebrity: fra satira e ironia il grande schermo riscopre i misteri (e i pericoli) del rapporto fra la vita delle persone e la televisione. Con i suoi miti fragili, le privacy violate e i cattivi modelli che in questa seconda metà del secolo hanno influenzato intere generazioni

Il successo planetario di Truman Show di Peter Weir ha fatto sì che il cinema internazionale andasse a riscoprire e ad indagare le radici del rapporto tra la vita delle persone e la televisione. E ci voleva proprio un talento come quello del regista australiano per fare in modo che molti autori e cineasti esplorassero il legame che unisce la società moderna alla tv, visto che quest’ultima oltre a costituire la cartina di tornasole per tutti i vizi e le virtù della modernità è anche la destinazione ultima del novanta per cento della produzione cinematografica.

ED TV.JPG (9951 byte)Una satira corrosiva e irriverente, quella di Weir, che non si fa troppe illusioni riguardo l’efficacia della sua denuncia : "Nonostante il grande entusiasmo da parte del pubblico nei confronti del mio film, temo che - qualsiasi cosa io pensi - nessuno abbia davvero intenzione di ascoltarmi. Una cosa impressionante della gente che fa televisione è il suo enorme potere che opera scelte solo in funzione dei soldi. Non so cosa possa accadere in futuro. L’aspetto che mi interessava di più era mettere in mostra quanto la televisione faccia venire meno il confine tra le cose false e la verità. Ognuno di noi cerca la verità e si trova a che fare con una società che tenta in tutte le maniere di distorcerla".

Un problema molto sentito soprattutto negli Stati Uniti dove le centinaia di stazioni televisive hanno contribuito a creare una moderna mitologia. Una nazione giovane con poca storia, dove milioni di tubi catodici hanno dato vita alla formazione di una comune memoria televisiva in cui la stratificazione di serie tv, prima in bianco e nero e poi a colori, hanno accompagnato l’America negli ultimi cinquanta anni. Modi di pensare, interessi, gusti e perfino modi di agire si sono influenzati vicendevolmente grazie allo strettissimo rapporto tra l’esistenza di tutti i giorni e televisione.

truman.jpg (19908 byte)In Pleasantville di Gary Ross si affronta per esempio il tema di un giovane che si rifugia mentalmente in una rassicurante sit com degli anni Cinquanta pur di sfuggire a un presente tutt’altro che allettante. Finito per magia insieme alla sorella nella cittadina dei suoi sogni, scopre che la perdita metaforica del Paradiso televisivo coincide con la fine di un’età dell’innocenza, e l’inizio della consapevolezza che la vita reale è sempre migliore di quella che si vive in tv. E - ironia della sorte - tocca proprio a un ex divo televisivo continuare nel solco tracciato prima da Orson Welles e poi seguito via via da tanti altri autori per essere ripreso alla fine dal millennio da Peter Weir. Ron Howard, ex Ricky Cunningham di Happy Days, dopo i successi di Apollo 13 e Ransom ha realizzato una commedia un po’ più all’acqua di rose rispetto a quella con Jim Carrey. Ed TV vede, infatti, il nuovo bello di Hollywood Matthew McConaughey protagonista di una televisione che per ventiquattro ore al giorno trasmette la sua vita. Una sorta di ennesima variazione post moderna sul tema del Faust di Goethe per raccontare la storia di Ed anonimo commesso di un negozio di videocassette, che accetta infatti di fare riprendere la sua esistenza per realizzare una sorta di continua telenovela realistica dal vivo. E la consapevolezza che distingue il personaggio di Ed da quello di Truman è fonte di una riflessione sull’aspetto dell’importanza della privacy, offrendo una divertente e preoccupante immagine della celebrità donata con facilità da un mondo alla perenne ricerca di beniamini da idolatrare.

Qualcosa di molto vicino all’ultimo film di Woody Allen Celebrity e alla recente pellicola con Eddie Murphy e Jeff Goldblum Il genio, in cui si stigmatizza quanto sia facile diventare delle celebrità, orientando e strumentalizzando i gusti, le idee e - dunque - i costumi di un pubblico senza forti punti di riferimento. Temi molto sentiti da Ron Howard, privato della spensieratezza della sua adolescenza dal successo del telefilm di cui era protagonista insieme a Fonzie : "Sono cresciuto sotto i riflettori ed il mio rapporto con i media si è evoluto con me. È strano, ma la celebrità e il successo non sono la stessa cosa. Solo quando cresci impari a difenderti. Non sono mai potuto andare a Disneyland fino a quando sono diventato adulto e ancora adesso mi domando di che cosa sono stato defraudato, se in cambio ho avuto quello che tutti quanti cercano." Come disse una volta Groucho Marx "La Tv è la giungla del nostro secolo" e possiamo stare sicuri che molti altri cineasti - anche grazie al miraggio del successo di questi film - percorreranno ben presto i sentieri di questa moderna foresta tenendo ben presente la celebre frase di Woody Allen secondo cui nella modernità "la vita non imita l’arte, ma la cattiva televisione..."

Marco Spagnoli 

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