Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
redarrowleft.GIF (53 byte) Attualità Maggio 1999


"Non ci sono divieti su quelle armi ma l'Italia
chiederà la loro messa al bando internazionale"

Il nostro esercito non le usa. Gli altri? Forse si. Comunque servono accordi a livello mondiale per proibirle. Come si è fatto per le mine antiuomo. Questo il testo della risposta di Massimo Brutti (Ds), Sottosegretario di Stato per la difesa, all'interpellanza dei senatori verdi sui proiettili all'uranio

Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'interpellanza alla quale mi accingo a rispondere pone alcune questioni relative all'impiego del cosiddetto uranio impoverito nel campo degli armamenti.
Cosa risulta - domandano gli interpellanti - circa la sua utilizzazione da parte dei paesi della NATO nell'ambito di operazioni militari in corso nell'area balcanica? Di quali notizie disponiamo riguardo agli effetti che su questo materiale possono avere incidenti distruttivi o impieghi bellici? Quali sono le
valutazioni e gli orientamenti del Governo italiano in questa materia? Occorre anzitutto ricordare che l'uranio impoverito o uranio depleto è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell'uranio necessario per l'industria nucleare; le sue caratteristiche fisiche più evidenti sono la resistenza e l'alta densità. Si tratta di un materiale ampiamente disponibile e a basso costo, con una serie di impieghi civili, ad esempio nella costruzione di schermature radiologiche per contenitori idonei al trasporto di sorgenti radioattive.

Nel campo militare l'uranio impoverito trova anzitutto applicazione come componente nella blindatura di mezzi corazzati e, in secondo luogo, come materiale per munizionamento progettato soprattutto per l'impiego anticarro. I procedimenti seguiti per la blindatura dei mezzi corazzati sono volti ad isolare l'uranio impoverito da ogni contatto con l'atmosfera e contemporaneamente a sfruttarne la compattezza e la resistenza; caratteristiche, queste, che sono proprie anche dei proiettili per i quali lo stesso materiale viene utilizzato. Per entrambe le applicazioni, tutte le attività di fabbricazione e manutenzione si svolgono secondo specifiche procedure di sicurezza.

I colleghi interpellanti hanno chiesto di conoscere se le nostre Forze armate abbiano in dotazione mezzi corazzati o proiettili contenenti il cosiddetto uranio impoverito. La risposta è "no". Le Forze armate italiane non dispongono di armamenti né di munizioni di alcun genere che utilizzino questo materiale, né hanno acquisito tali armamenti o munizioni. Non li hanno, dunque, impiegati a nessun titolo, né li impiegano attualmente. A quanto è dato di conoscere sulla base di notizie già diffuse, gli Stati Uniti, la Francia, presumibilmente la Gran Bretagna, così come alcuni paesi dell'ex Patto di Varsavia, sarebbero in possesso di munizionamento contenente uranio impoverito. Vi è un limite necessario alla risposta che posso fornire. Per quel che riguarda l'Alleanza atlantica, il Governo fa presente, infatti, che le informazioni relative al tipo di armi di cui i paesi membri dispongono, sono di stretta ed esclusiva pertinenza anzitutto delle autorità politiche di ciascun paese e, in secondo luogo, degli organi collegiali dell'Alleanza, che agiscono in base a decisioni direttive unanimi dei paesi membri. Il Governo italiano non può, con una scelta unilaterale, fornire pubblicamente informazioni sugli equipaggiamenti e sui mezzi delle Forze armate di altri paesi, così come essi non possono farlo per le nostre. Ciascun paese risponde
individualmente del rispetto dei trattati e delle convenzioni relative alla limitazione e alle modalità di impiego degli armamenti.

Ma sulla questione che stiamo esaminando, non esistono oggi disposizioni restrittive. Occorre, infatti, sottolineare che, al momento attuale, né i carri né i proiettili per i quali si utilizza l'uranio impoverito, risultano previsti o segnalati in alcuna delle convenzioni internazionali esistenti in materia di limitazioni degli
armamenti o che prevedono l'esclusione di determinate tipologie di armi. L'impiego di questo materiale non è, dunque, vietato né sottoposto a particolari controlli o limiti rilevanti per il diritto internazionale. Esiste, tuttavia, una discussione seria di portata internazionale circa i rischi derivanti dall'uso dell'uranio impoverito nel campo militare. La distruzione delle blindature o l'impiego bellico di proiettili determinerebbero - secondo alcune valutazioni formulate in base all'esperienza del conflitto iracheno - contaminazione dell'ambiente e danni di lungo periodo. Esistono, insomma, motivi di preoccupazione che si fondano su analisi scientifiche e che il Governo italiano non intende sottovalutare. Anzi, un danno indiscriminato che si protrae nel tempo ha le caratteristiche di inaccettabilità che, in altri casi, hanno condotto a movimenti di opinione internazionale e alla stipula di convenzioni e di trattati che introducono restrizioni e limitazioni negli armamenti. Del resto il dibattito in corso coinvolge organizzazioni non governative, ma ad esso anche organismi del luogo hanno prestato particolare attenzione. Il Governo terrà nella massima considerazione quanto segnalato nell'interpellanza.

Finora non abbiamo conclusioni sicure ed inequivoche sulla portata dei rischi. Vorrei ricordare in proposito i risultati di due indagini riguardanti l'uso di munizioni contenenti uranio impoverito nel territorio iracheno durante la guerra del Golfo. Si tratta di indagini che non hanno individuato il verificarsi di specifici danni derivanti da contaminazione all'ambiente e alla salute. La prima indagine è di fonte americana (servizio stampa delle Forze armate Usa, 4 agosto 1998) e può essere considerata di parte. L'accertamento condotto a cura del Veterans affairs department su 33 soldati, colpiti da frammento di uranio impoverito, ha escluso che essi abbiano riportato danni durevoli da contaminazione. La seconda indagine proviene da una fonte più imparziale e si deve a William M. Arkin, direttore della ricerca in campo militare per Greenpeace International. Nel febbraio 1993, Arkin ha trascorso un mese in Iraq, per raccogliere elementi sugli effetti dell'uso bellico di
uranio impoverito. Sia da autorità irachene in campo sanitario, sia dal dipartimento di fisica dell'università di Bassora non venivano informazioni tali da suscitare allarme, né sull'incremento di malattie riconducibili ad avvelenamento da metalli pesanti, né sui livelli di radiazioni accertati dopo la fine della guerra nel sud dell'Iraq.

Queste valutazioni hanno certamente un rilievo, ma non bastano a risolvere il problema. Troppo ristretta è l'area degli accertamenti compiuti nei due casi, perché ci si possa fermare ad essi ed acquisirli come una risposta esauriente. Occorre invece promuovere nuove e più accurate indagini, che del resto sono già in corso, per assumere un orientamento definitivo. A questo proposito, va ricordato che in ambito ONU si sono venuti rafforzando i timori e le preoccupazioni. Il Governo italiano si impegna a favorire tutti gli accertamenti che sono in corso, con il massimo di speditezza. Essi sono necessari perché la comunità internazionale possa trarne al più presto criteri di regolamentazione. Ed è essenziale che gli accertamenti diano garanzie di imparzialità.

Noi, per parte nostra, non usiamo questo materiale. È una scelta già compiuta. Possiamo operare efficacemente perché neanche gli altri ne facciano impiego, nella misura in cui la persuasione del rischio diventa più certa e viene condivisa da più paesi e dall'insieme della comunità internazionale. In questo senso noi opereremo. In questi anni ci siamo adoperati ricercando costantemente l'intesa con i paesi dell'Unione europea e della NATO per definire regole e convenzioni internazionali che impedissero e limitassero l'uso di armi inumane. Continueremo a farlo, puntando ad una interpretazione estensiva del concetto di armi inumane, anche in considerazione del problema sollevato. Più di altri paesi abbiamo sostenuto che dovessero essere del tutto eliminate le mine antipersona (l'interpellanza richiama questo impegno italiano) ed in
questo campo abbiamo ottenuto un risultato significativo. Ebbene, in coerenza con quella scelta, noi opereremo perché la comunità internazionale metta al bando anche altre "armi convenzionali che possano ritenersi eccessivamente dannose o che abbiano effetti indiscriminati", formulazione questa contenuta nel preambolo della convenzione di Ottawa.

Si tratta di introdurre norme restrittive in tutti i casi (come quello segnalato dagli onorevoli interroganti) nei quali esiste la credibile persuasione che possono verificarsi danni eccessivi, prolungati nel tempo, diretti a colpire un numero indefinito di persone e tali da determinare effetti indiscriminati. Dunque, nel quadro di un accertamento imparziale, che sia tale da confermare i motivi di preoccupazione, l'Italia si impegna a raggiungere il più ampio consenso possibile su scala internazionale per limitare l'impiego dell'uranio impoverito, introducendo le garanzie necessarie ad impedire danni indiscriminati ed a tutelare l'ambiente.

Massimo Brutti, sottosegretario alla Difesa

 

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved