Attualità Maggio 1999
Nato, atterraggio difficile
Molti ne parlano, tanti la
rifiutano e tutti la temono: se Milosevic non cederà ai bombardamenti bisognerà passare
all'offensiva terrestre. Ma servono mesi di preparazione, appoggi logistici da D-Day e
un'opinione pubblica che accetti i 10 mila morti previsti fra gli Alleati. Oltre a una
guerra "partigiana" che potrebbe diventare infinita
E se Milosevic non si arrende? E se non accetta le proposte
del mediatore russo Cernomyrdin, del G8 e dell'Onu? E se l'opposizione interna non riesce
a indebolirlo? E se, come la storia dei serbi insegna, ha deciso di resistere ad oltranza?
Già, che si fa se il presidente della Federazione Yugoslava non cede? Si bombarda, dicono
alla Nato. Sempre di più. Solo che anche nella scuola militare più scalcinata sanno che
nessuna guerra è mai stata vinta solo dal cielo. Non la Seconda Guerra Mondiale, non
quella di Corea, non il Vietnam, non l'Afghanistan. E oltre un certo limite, bisogna
mettere i piedi a terra. E la terra, a volte, diventa una palude.
Il generale e comandante in capo della Nato Wesley Clark ha
detto che oggi, rispetto ai primi giorni dell'operazione, l'Alleanza ha a disposizione il
triplo degli aerei. Che il 70% dell'aeronautica militare serba è stata distrutta, così
come quasi il 40% delle batterie missilistiche. E che in Kosovo sono stati distrutti il
20% dei mezzi corazzati nemici. Senza contare le riserve di carburante e le vie di
comunicazione. "Abbiamo colpito in modo molto efficace - spiega - ma è solo una
piccola parte di quanto si deve ancora fare. C'è ancora molto lavoro da finire".
Anche Clinton lo dice: "Possiamo andare avanti fino all'estate". Tra il 29 e il
30 aprile gli aerei Nato hanno compiuto 600 attacchi. Un'enormità. Insomma tutto a posto?
No. Perché i limiti dei bombardamenti da oltre 5 mila
metri, anche se "intelligenti", restano. Perché distruggere "il 20% dei
mezzi corazzati" vuol dire che l'80% è ancora intatto. E l'esercito serbo ha avuto
(forse da prima ancora dell'inizio guerra) il tempo di nascondere tanks, depositi di
carburante, munizioni, truppe. Insomma, come dimostra lo svuotamento del Kosovo e le file
chilometriche di profughi in fuga, la Nato sa che la Fase 3 dell'operazione non può che
passare dalle truppe di terra. E in quel caso oltre all'esercito di Milosevic i generali
dell'Alleanza dovranno fare i conti anche con l'opinione pubblica dei Paesi Nato. Che
potrebbe anche fare pollice verso.
La Nato smentisce ogni giorno: non abbiamo studiato nessun
piano di attacco a terra, siamo ancora ai bombardamenti aerei, parlarne è prematuro.
Invece non è vero. Visto che per organizzare un'invasione (del Kosovo e non della Serbia,
probabilmente, ma sempre invasione è) servono mesi. Le prove? L'invio dei 24 elicotteri
da combattimento Apache (diventati 22 dopo i due incidenti) assieme a 2 mila
paracadutisti, pezzi d'artiglieria, elicotteri da supporto e trasporto truppe come i
Ch-47D Chimook e Uh-60L Black Hawk e i lanciarazzi radar M270. Questi sono strumenti e
uomini da attacco di terra, non un allegra compagnia di reclute.
Non basta. La Nato ha cominciato a chiedere la
"disponibilità" ai Paesi confinanti con la Serbia. Un lavoro di diplomazia
fondamentale per preparare l'opzione-terra. Così Romania e Bulgaria hanno dato l'ok
all'uso "senza restrizioni" del loro spazio aereo. E Repubblica Ceca, Ungheria e
Polonia, ultimi arrivati tra i membri della Nato, concederanno il loro territorio al
trasporto di materiale (e personale) militare. Senza contare le porte aperte dell'Albania,
Paese chiave in caso di invasione. Insomma i passi fondamentali per il controllo
dell'intera regione dei Balcani, alla base di una offensiva "on the road".
L'unico no viene dalla Macedonia (in parte abitata da serbi), che non vuole ospitare né
truppe né gli Apache.
Se per preparare la Guerra del Golfo sono serviti 4 mesi,
nel caso del Kosovo dovrebbe bastare meno: è più vicina ai paesi Nato e il territorio è
molto più piccolo dell'Iraq. Anche se molto più insidioso di un piatto deserto di
sabbia. Quanto alla superiorità tecnologica, forse è perfino inutile soffermarsi:
l'arsenale Nato e soprattutto Usa non ha confronti. Eliminata quasi del tutto la minaccia
aerea, anche sul campo (sempre in teoria) la dotazione dell'Alleanza fa la differenza: i
carri armati Abraham Usa o i Challenger britannici battono la versione yugoslava dei T-72
russi, così come i pezzi d'artiglieria. Ma anche in Vietnam non c'era confronto, anche in
Afghanistan sembrava la guerra di Davide contro Golia. E le cose non sono andate
esattamente come si pensava.
Le truppe? Un generale francese parla di "non meno di
100 mila uomini". Ma tra gli alti gradi britannici ad esempio sono convinti che il
numero non possa scendere sotto i 200 mila uomini. "I militari ricordano bene le
lezioni della Seconda Guerra Mondiale - dicono alla Nato - Quando sette-otto divisioni di
soldati tedeschi furono imbrigliati nei combattimenti contro i partigiani di Tito. E
nessuno vuole infilarsi in una situazione simile, cioè in una guerra impossibile da
vincere". C'è però un vantaggio: in Kosovo c'è l'aiuto dei guerriglieri dell'Uck,
esperti delle zone (anche se nessuno sa esattamente quanti siano). In più, i generali Usa
ed europei non credono che l'esercito serbo riuscirà a reclutare molti
"volontari" fra i pochi albanesi rimasti. "La dottrina militare serba
prevede la difesa totale, cioè con l'uso della popolazione civile. Ma siamo convinti che
in Kosovo siano molte di più le persone a nostro favore di quante non appoggino
l'esercito di Milosevic".
Quello che ci si aspetta non è certo lo scontro frontale
fra i due eserciti. La tattica serba sarà infatti quella stile partigiano: nascondersi (e
lo hanno sicuramente già fatto), colpire e sparire. Aiutati anche dalla geografia: alte
montagne, colline, vallate strette, foreste. Con qualche spazio però disponibile per i
movimenti Nato: i confini con la Macedonia e l'Albania, alcune vallate larghe.
Quello che forse pochi sanno è che alcune truppe scelte,
tipo teste di cuoio francesi e commandos britannici, sarebbero già intervenuto dentro il
Kosovo (si parla perfino di un militare serbo catturato). Un generale francese infatti non
ha smentito la presenza di "forze speciali" nella regione. Insomma sarebbero
stati compiuti alcuni raid per recuperare importanti personalità kosovare e magari
qualche soldato nemico, tanto per saggiare il terreno. Non scordiamo poi il curioso
"incidente" fra italiani e americani a Kukes, confine Albania-Kosovo: gli otto
marines Usa armati fino ai denti che entrano improvvisamente nel campo rifugiati per una
"missione sconosciuta" e vengono bloccati e rimandati indietro dai bersaglieri
("Nessuno ci ha avvisati della loro presenza"). Comunque operazioni limitate. Ma
le azioni di terra sono spesso precedute da attacchi strategici definiti: controllo strade
e ponti, eliminazione di centri di comando nascosti, ecc. Quello che dal cielo a volte non
si riesce a fare.
A far sospettare che le smentite sull'offensiva terrestre
siano il solito bollettino ufficiale, ci sono anche i dissensi di militari Nato e di
analisti militari occidentali. Che fin dal primo momento hanno criticato i bombardamenti
aerei, considerandoli inadeguati. Troppo pochi e con obbiettivi limitati, dicono. E la
prova è che il generale Clark due settimane fa ha chiesto ed ottenuto il triplo degli
aerei e degli attacchi. Il problema è che dietro l'ottimismo delle dichiarazioni
pubbliche ("Abbiamo provocato danni significativi alla macchina da guerra
yugoslava"; "Milosevic sa che si sta indebolendo e che non ci fermeremo"),
l'idea che si fa strada è che la Nato stia perdendo il primo round contro il presidente
serbo. O quantomeno sia stata sottovalutata la sua resistenza.
Un analista militare del Center for Strategic and
International Sudies, Tony Cordesman, è sicuro: "Le cifre dei successi Nato non sono
per niente rassicuranti. Si tratta di un numero di bersagli colpiti troppo piccolo".
Esempio: nei 6 mila attacchi aerei delle prime tre settimane di guerra sono stati centrati
solo 103 obbiettivi. Di questi, circa 60 erano difese aeree e alcune installazioni
dell'esercito. In più, la definizione usata per almeno metà di questi bersagli è quella
di "danni moderati". Ma Cordesman era già in disaccordo sulla strategia Nato
dall'inizio: troppo debole la prima fase dei bombardamenti, limitata dal mancato uso di
truppe di terra. Così la pulizia etnica in Kosovo è andata avanti, la gente è fuggita,
l'esercito serbo è avanzato e ha avuto il tempo di nascondersi e prepararsi.
Proviamo a riassumere: come spiega l'inivato di guerra de
La Stampa, Mimmo Càndito, per l'attacco di terra in grande stile servono da 150 a 200
mila uomini. Ma per sostenere un esercito simile servono attrezzature e mezzi da D-Day. Un
problema enorme: in Albania non ci sono aeroporti decenti per i grossi aerei da trasporto;
l'unico porto adatto a sbarcare materiale bellico pesante è in Grecia che però non vuol
farsi coinvolgere troppo nel conflitto; le strade che portano in Kosovo sono solo 14 e
poco più di mulattiere (i genieri italiani ne stanno asfaltando alcune a Kukes, ma ci
vuole tempo); e appena dentro il confine sono tutte minate e controllate dai serbi.
Attualmente la Nato dispone di 12 mila soldati in Macedonia: per arrivare a 150 mila
servono settimane. Con un punto di domanda: visto che senza un forte supporto logistico di
mezzi le perdite stimate potrebbero arrivare al 10 per cento (le caratteristiche del
territorio favoriscono chi si difende), chi accetterebbe 10 mila morti?
Insomma la logistica potrebbe essere mettere in crisi
l'idea del grande attacco. E una offensiva limitata? Più fattibile: aggiungendo ai 12
mila soldati Nato di stanza in Macedonia quelli più vicini (marines sulle portaerei,
soldati di stanza in Italia, fanti dislocati in Bosnia) e contando su 10-20 mila militari
aerotrasportati in qualche giorno, si può arrivare a 40 mila uomini. Più i combattenti
(quanti?) dell'Uck. L'obiettivo, però, può essere solo la liberazione di una fetta del
Kosovo, quella confinante con l'Albania. Di fronte si troverebbero infatti, ben nascosti
fra macerie di case distrutte, vallate, boschi e rocce, altrettanti soldati serbi, più
qualche migliaio di forze paramilitari. Oltre a 400 carri armati, 300 blindati e
altrettanti cannoni. Cifre temibili, ma va messa in conto la superiorità tecnologica
dell'Alleanza.
Così la Nato, per alcuni, si trova adesso in un vicolo
cieco: ha iniziato debolmente, favorendo Milosevic. Ora per evitare l'offensiva a terra
deve continuare a bombardare dal cielo. Ma per ottenere qualche risultato deve aumentare i
raid aerei al punto di arrivare ad un bombardamento 24 ore su 24 (anche per questo stanno
arrivando dagli Usa decine di aerei-cisterna). E deve comunque preparare l'invasione,
affrontando tra l'altro l'ostilità della gente in Usa e in Europa. Insomma l'impressione
è che la Nato si sia lanciata nella guerra senza alternative.
Conclusioni? Che a vincere per ora è la confusione. E
forse ha ragione il prelato serbo Mateja Matejic: "I serbi furono i primi a capire ed
anticipare il grave pericolo che proveniva dall'Islam prima, poi dal nazismo e infine dal
comunismo. Furono i primi a resistere, permettendo agli altri Paesi di vincere. Anche se
loro, in realtà, erano stati sconfitti...". Succederà lo stesso con Milosevic?
Alessandro Mognon
(dati tratti dalla Cnn; Abcnews; Bbc; New York Times; La
Stampa)
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