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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Marzo 1999


Violenza, eredità scomoda

Un saggio del sociologo tedesco Wolfgang Sofsky analizza la fenomenologia della violenza. Un comportamento che ha seguito l'uomo fin dalla sua comparsa sulla Terra. E che, dice l'autore, è inestirpabile perché per controllarla serve altra violenza, in una catena senza fine. Ma è anche senza speranza?

Wolfgang Sofsky, Saggio sulla violenza, Einaudi, pp.196, L.28.000

Quando agli albori della storia non esistevano vincoli o leggi, nessuno era al sicuro dalla prevaricazione; allora gli uomini strinsero fra loro un patto per garantirsi la mutua sicurezza e nacque lo Stato, che divenne però un nuovo Leviatano detentore d’ogni potere. Da questo mito, tratto dal testo più noto di Hobbes, prende l’avvio la riflessione del sociologo tedesco Wolfgang Sofsky sulla fenomenologia della violenza. Ed è una tesi segnata da un cupo pessimismo, secondo il quale la violenza non solo è onnipresente lungo il cammino del genere umano, ma è pure inestirpabile, in quanto ogni tentativo di eliminarla genera un ordine civile basato su timore e costrizione: poiché "senza la protezione della spada non c’è contratto". Ciò tuttavia spingerebbe a trasgredire divieti e norme ingenerando nuova conflittualità, a sua volta sedabile solo attraverso una repressione ulteriore, destinata ad avvitarsi in una spirale continua di violenza-repressione.

Anche se non le cita espressamente, Sofsky sembra rifarsi alle considerazioni di Konrad Lorenz, che ritiene la violenza umana retaggio del nostro sostrato animale e finisce per giustificarla come naturale tendenza all’aggressione intra-specifica. Insomma una sorta di destino iscritto nel Dna della specie o un risvolto demoniaco del comune corredo genetico. E non basta. Essendo l’uomo "un essere culturale che crea da sé la sua violenza" scrive Sofsky, egli "può accrescere le sue forze distruttive all’infinito".

Che fare allora contro la distruttività? Quale etica declinabile al plurale basata su ideali condivisibili fondare, tenendo conto che i valori assoluti paiono ormai tramontati all’orizzonte della coscienza dei più? Questa la riflessione, in positivo, assente nel saggio e che invece avrebbe dovuto costituirne l’asse portante. Se infatti nessuno oggi può sensatamente illudersi di giungere ad eliminare del tutto la violenza, il problema semmai è come depotenziarla o arginarla, magari promuovendo un contesto sociale non contraddistinto da competitività ed individualismo, ma all’insegna di solidarietà, con-divisione, rispetto e reciproco aiuto.

f.r.

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