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LETTURE&SCRITTURE Ottobre 1998

Anche i necrofili piangono

La storia poetica e coraggiosa dei turbamenti, delle passioni e delle emozioni provocate da una perversione sessuale da sempre considerata un tabù assoluto

Gabrielle Wittkop, Il necrofilo
Editrice ES, pp.96, L.25.000

Tra le cosiddette perversioni sessuali, la necrofilia è quella maggiormente inquietante, forse perché in essa troviamo rimarcata in modo così esplicito l’ambigua prossimità fra Eros e Thanatos o perché il necrofilo, osando forzare il limen della soglia per antonomasia - la morte -, azzarda pratiche di commercio carnale con chi non appartenendo più al consorzio umano rappresenta l’assolutamente altro rispetto al vivente, ovvero il tabù più interdetto.

Non a caso l’ormai classico manuale Psycopathia sexualis di Krafft-Ebing trattando della necrofilia registra quasi con una sorta di stupefazione l’eventualità "di un ardore amoroso tanto grande da non arrestarsi neppure davanti alla maestà della morte", sottolineandone in tal modo l’aspetto più conturbante, rappresentato non già dalla profanazione dei cadaveri ma piuttosto dall’atto davvero osceno di annullare lo statuto di demarcazione attraverso cui teniamo strettamente separato il mondo dei vivi da quello dei defunti.

Ma se su questa così esecrata modalità trasgressiva di erotismo le considerazioni psicologiche e/o psicoanalitiche vertono soprattutto sulle cause, sui traumi affettivi o sui problemi relazionali che possono favorire l’insorgere della necrofilia, poco è stato scritto su quello che prova, sui turbamenti e sul calvario passionale che deve affrontare chi sia dedito a tali pratiche. E forse solo l’ambito narrativo può consentirci di gettare uno sguardo su quell’esperienza allucinata ed abissale dove amore e morte si uniscono fino a confondersi.

Per questo, nonostante la scabrosità del tema, va certo oltre ogni velleitarismo scandalistico il romanzo breve "Il necrofilo" della scrittrice tedesca Gabrielle Wittkop, che la Casa Editrice ES ha recentemente pubblicato negli eleganti volumetti della Biblioteca dell’eros.

Protagonista della storia, raccontata in prima persona, è Lucien, un giovane antiquario timido e solitario che, fin dall’infanzia segnata dalla scomparsa prematura della madre, è preda di fantasie funeree e si sente irresistibilmente attratto da giovani ambosessi deceduti che egli sottrae alle esequie e con cui amoreggia in una sorta di rapimento estatico; il quale paradossalmente ha ben poco della profanazione e più che un oltraggio ai defunti assomiglia quasi ad un prendersi cura di corpi troppo presto destinati all’estinzione. Così egli flirta con morti - che ai suoi occhi paiono animati alla pari dei vivi -, facendoli "riemergere per un istante dall’Impero infernale" come una sorta di Orfeo trasfigurato.

Ma è marginale la trama, peraltro dal finale prevedibile (sebbene aperto) all’insegna dell’espiazione. Ciò che conta in questo pseudo diario è l’eccellenza di una prosa poetica, di una scrittura casta ed insieme impudica, dai toni sobri ma vibranti nell’esprimere l’intollerabile della passione necrofila. Ciò che importa da parte della Wittkop è l’aver dato voce all’inaudito, l’essersi calata con empatica mimesi nei folli agìti di un diverso che alla fin fine suscita nel lettore soltanto compassione. E ancora: l’aver sottolineato il labile confine che lega e separa ineluttabilmente vita e morte. Forse proprio per questo le cortigiane elisabettiane portavano un anello con un teschio al posto della pietra. Affinché - rimarca la scrittrice - "il simbolo di Thanatos fosse associato all’esuberanza vitale di Eros".

Francesco Roat