SPETTACOLO&MODA - Settembre 1998

 

Alzatevi, entra il maestro

Dopo Il ladro di bambini e Lamerica Gianni Amelio torna a raccontare l'Italia degli immigrati e della ricerca di riscatto con il film "Così ridevano". Storia del conflitto tra un fratello maggiore che vuol far studiare il minore perché diventi insegnante di scuola. Perché più della ricchezza vale la cultura

amelio_p.jpg (10650 byte)Gianni Amelio è uno dei più importanti registi italiani degli ultimi anni. Film come Il ladro di bambini Lamerica hanno riscosso un grande successo di pubblico e di critica non solo in Italia, ma in tutto il resto del mondo. Lo stesso dicasi per il nuovo film del regista calabrese intitolato Così ridevano e presentato alla mostra del cinema di Venezia che racconta la commovente storia di due fratelli immigrati nella Torino del boom economico. Protagonista l’attore cult del cinema di Gianni Amelio: Enrico Lo Verso.

Il film che copre l’arco di tempo dal 1959 al 1964, saltando il ‘63, per motivi legati alla storia descrive la "magnifica ossessione" - come l’ha definita lo stesso Amelio - che il fratello maggiore nutre nei confronti del minore: ovvero che quest’ultimo anziché essere una persona "ricca" diventi una persona colta, studiando per raggiungere la posizione di maestro di scuola.

 

Amelio, perché questo desiderio di vedere il fratello come maestro di una scuola elementare è così radicato nel personaggio che lei ha descritto ?

Io sono nato in una frazione di un paese dove il maestro di scuola incarnava tutto il senso e il prestigio dello Stato. Negli anni sessanta essere un maestro di scuola voleva dire occupare un posto di rilievo, ed è per questo che nel mio film nasce il contrasto tra i due fratelli. Il più piccolo non accetta di essere mantenuto per realizzare il sogno del fratello e preferisce guadagnare in fabbrica, anziché studiare.

 

Che ricordo ha dei suoi anni di scuola ?

Il mio maestro si chiamava Grande - già solo il cognome di per sé incuteva timore e rispetto - e abitava in una casa che rispetto alle case del paese, sembrava un piccolo palazzotto. Aveva un balcone sulla piazza principale e trascorreva la gran parte del pomeriggio affacciato al balcone. Guai se vedeva qualcuno dei suoi alunni passare per la piazza. Significava che non stava a studiare e l’indomani ti avrebbe colpito le mani con la bacchetta. Era ancora la scuola elementare delle punizioni in ginocchio sui ceci e della doppia bacchetta. Di legno piatta e di ferro quadrata che faceva un male terribile. Ricordo il maestro Grande come una persona che poteva segnare la mia vita.

 

Magari l'ha fatto in un certo senso...

Non lo so. L'ha fatto con tutti quanti. Quella era una scuola in cui uno era destinato a perdersi, perché non c’era la possibilità di continuare. Io sono stato una mosca bianca perché ho avuto l’opportunità di fare la scuola media andando a piedi in un paese vicino. Di tutta la mia classe - e saremo stati circa una trentina - non credo che più di tre o quattro abbiano continuato a studiare dopo la quinta elementare.

 

Così ridevano è un titolo dal significato molto particolare...

Così ridevano era la rubrica dell’ultima pagina della Domenica del corriere tra il 1953 e il 1964 in cui venivano pubblicate barzellette vecchie di trent’anni che non solo non facevano più ridere nessuno, ma che davano piuttosto una sorta di stretta al cuore, intenerendo chi le leggeva. Dalla lettura di queste vignette si rimaneva "straziati" e ci si domandava: ma davvero ridevano di questo? Le battute erano così sciocche, puerili, ingenue e nessuno poteva più riderne.

 

Questo film parla del riscatto sociale tramite la cultura. Lei ritiene che questa sia un’istanza valida ancora oggi ?

Il fatto che debba essere una speranza fondata è fuori di dubbio. Se c’è qualcosa da trasmettere a un figlio questa non è certo l’ambizione smodata oppure il desiderio di possesso, ma la giusta spinta verso la conoscenza. Trasmettere la voglia di cultura è qualcosa di doveroso e straordinario.

 

Qualche anno fa, quando ha ricevuto la laurea honoris causa all’Università della Calabria ha ricordato la sua esperienza di insegnante alle scuole medie. Ce ne vuole parlare ?

Nei primi anni sessanta, appena diciottenne e dopo avere terminato il liceo, prima di dedicarmi al cinema, sono uscito dal liceo e - per due - anni ho fatto il supplente in diverse scuole della Calabria. All'epoca era facilissimo avere delle supplenze e io - per un anno intero - mi sono spostato da un punto della mia regione per insegnare ai ragazzi delle scuole medie. Erano piccole trasferte che duravano alle volte un mese, altre una settimana, altri ancora dieci giorni e io insegnavo lettere a ragazzini di dodici anni pur avendone solo qualcuno in più.

 

C'è un episodio di quel periodo che ricorda ancora oggi?

Una volta diedi un tema che chiedeva di raccontare quale fosse la città italiana che gli alunni avrebbero voluto visitare. Non avevo molta esperienza e quando il giorno dopo corressi i compiti ebbi una stretta al cuore nel leggere il tema di un ragazzo che diceva più o meno così: "La città che mi piacerebbe più visitare é Torino. Non so se é bella, forse sarà più bella Roma, ma io voglio andare a trovare mio fratello che lavora là da un paio d'anni . Voglio andare a lavorare con lui..."

 

Qual é la differenza fondamentale tra il Gianni Amelio diciottenne insegnante alla scuola media e il Gianni Amelio docente di regia al Centro sperimentale?

Sono state due esperienze completamente diverse. Il centro sperimentale l'ho fatto avendo come interlocutori ragazzi grandi, quasi tutti laureati che sceglievano di fare un mestiere privilegiato. Eravamo tutti in una condizione di privilegio, parlando di cose belle e importanti legate alla macchina del cinema che tutti vorremmo vedere funzionare nel migliore dei modi. Ognuno cercava di dare il proprio apporto, anche se il mio compito principale era quello di istillare dei dubbi sulla vocazione di quei giovani a questo tipo di carriera, arrivando perfino a seminare zizzania. Ai ragazzi della scuola media cercavo di insegnare molto ingenuamente la lingua italiana, perché quello era il problema che avevo avuto io andando alla scuola media. Alle elementari io ho sempre parlato in dialetto, quando sono arrivato alla scuola media mi sono trovato a studiare in italiano come se studiassi in una lingua straniera.

 

Quando scrivevo un tema era come se ora traducessi il mio pensiero in inglese e in tedesco. Era la stessa cosa, perché fino ad allora non avevo mai studiato in italiano.

on sapevo quasi parlare in italiano. Con i ragazzi delle scuole medie cercavo di partire dal dialetto per arrivare alla lingua italiana. Scrivevamo una certa frase in calabrese sulla lavagna e cercavamo di tradurla in italiano. Questo serviva anche per mettere a riparo i ragazzi da certi incomprensioni che si creavano tra le due lingue. Per esempio in calabrese il termine 'brocca' che in italiano significa una certa cosa, corrisponde alla forchetta. Il mio lavoro che io ho sempre fatto scatenando addirittura le ire dei presidi era quello di aiutare gli studenti a comprendere bene quello che leggevano e quello che dicevano partendo dal loro stesso dialetto.

 

Torniamo a Così ridevano: cosa è stato più difficile per la sua realizzazione?

Trovare il coprotagonista. Quando leggiamo che per trovare un attore adatto al personaggio sono stati fatti migliaia di provini - in genere - sono esagerazioni. Per questo film, invece, è tutto vero. Ho setacciato la Sicilia in lungo e largo per scritturare Francesco Giuffirida per questo ruolo. Le altre volte ero stato più fortunato. Per dire: la bambina de Il ladro di bambini l’avevo incontrata per strada il secondo giorno che ero a Palermo. Era un po’ come se gli attori mi cascassero addosso. Questa volta è andata diversamente.

 

Perché Enrico Lo Verso è così presente nella sua cinematografia ?

È difficile pensare ad altri attori in Italia, quando si gira un certo tipo di film. È l’unico che riesce a interpretare un personaggio non omologato, che parli il dialetto e che venga dall’Italia contadina. Da questo punto di vista è un attore "fatale".

 

Cosa pensa di questo attore straordinario ?

Raramente ho pensato di un attore le cose belle e importanti che penso di Enrico Lo Verso. È un attore che ha tutti i crismi del professionista e contemporaneamente dell’attore professionista non ha la sovrastruttura ovvero i vizi e i vezzi che ti derivano dal mestiere. Lo Verso non solo non teme e non prova sospetto per il testo, ma è una persona fortemente disponibile nei confronti del regista. Lo Verso, infatti, non studia la sceneggiatura, ma si "prepara a esserci" mostrandosi recettivo a tutte le direttive che gli arrivano dal regista.

 

C’è un episodio della lavorazione che l’ha divertita particolarmente ?

Un marocchino che lavorava con noi, guardando i figuranti vestiti da emigranti ha detto : "Ma allora anche da voi c’erano immigranti nel Cinquecento... !" Ovviamente era un lapsus perché voleva dire negli anni Cinquanta, ma è qualcosa di significativo perché anche a noi che l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle (i miei cugini sono andati a fare i minatori a Marcinelle) l’emigrazione sembra qualcosa di assai distante e remoto.

 

Parliamo di immigrazione, tema abbastanza presente nella sua cinematografia. Qual è la sua idea a tale proposito ?

L’immigrazione è quanto di più necessario c’è al mondo per la nostra cultura se vuole tentare di non estinguersi. Io coltivo l’utopia che un giorno non si emigri più, ma che ci si possa incontrare ovunque tra tutte le etnie possibili. Quello che oggi ci può sembrare un sacrificio, domani sarà un arricchimento. Il futuro del mondo non è la multirazzialità, ma l’interrazialità dove culture differenti si confrontano ogni giorno in tutti i luoghi del pianeta. Perché si deve creare una barriera nei confronti di questa gente disperata ? L’Occidente non può barricarsi dietro la difesa dei posti di lavoro e delle sue ricchezze. Deve piuttosto pensare all’investimento che viene rappresentato dal futuro di un mondo senza confini culturali. Abbiamo lavorato e faticato per quello che ci siamo conquistati, perché - allora - non dividerlo con altri ?

 

Marco Spagnoli