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MUSICA - Agosto 1998


"Sketches from an Hypster"
la breve parabola di Jeff Buckley

 
Con un’esperienza testimoniata e raccolta (niente affatto bruciata) in due soli album di lunga durata "Grace", e "Sketches for my sweetheart the drunk", il secondo dei quali postumo, Jeff Buckley non lascia eredi


buck2_p.gif (11490 byte)Dopo averci rassicurato, in una serie di registrazioni in fase di pre-produzione, che lui è sempre lui: il personaggio ritirato in se stesso, schivo che oppone ad una esasperata intimità una nascosta esteriorità, che alterna vertigine e stabilità, che si esprime in modo secco, scabro, scattante o dolente, Jeff Buckley non lascia eredi.

Ma lascia invece segni e testimonianze raccolte dalla editrice Giunti nel volume "Un Hypster con la Testa d’Angelo" che rappresenta effettivamente un compendio piuttosto agile per quanti si vogliono avvicinare alla musica di Jeff Buckley e contemporaneamente conoscere anche l'uomo. Forse è vero che però è l'aspetto personale quello maggiormente valorizzato. E' comunque innegabile che questo volume contiene per la prima volta i testi delle sue canzoni, ed è, come altri illustri precedenti (penso al volume sugli U2 di Davide Sapienza), il primo libro mai scritto al mondo su questo artista.

A curarne la realizzazione, insieme ad una piccola crew, è stata Chiara Papaccio, fondatrice con della fanzine LoneStar. Con lei parliamo dei passi che hanno condotto al libro e più generalmente della nostra comune passione.

"La fanzine ha attirato immediatamente l’attenzione di riviste specializzate, di programmi radiofonici (Suoni ed Ultrasuoni su RadioDue) e contro ogni aspettativa oltreoceano, abbiamo avuto un contatto importante con i manager di Jeff e con Rebecca Moore, artista della scuderia Knitting Factory che con Buckley aveva collaborato. Tramite lei, Jeff era venuto a conoscenza della nostra attività, cosa che pare gli provocasse un grande imbarazzo. Era un timido, tutto sommato."

buck1.jpg (9494 byte)Si è trattato di un primo passo ma il secondo invece è stato deciso dalla sorte: "Quando Jeff è morto lo scorso maggio, eravamo nel pieno delle nostre attività. Stavamo preparando una pagina web e personalmente stavo organizzandomi per intervistarlo di persona. Non abbiamo saputo subito se continuare oppure no.

Piuttosto, immediatamente ci e' venuta la voglia di "comprimere" questo anno abbondante di lavoro sulla fanzine in un libro, in omaggio alla persona e al musicista. Ricordo che l'idea mi è venuta parlando al telefono con Cristina Donà, che avevo scoperto nel frattempo essere una fan storica di Jeff. Quello che immagino sia accaduto è che Davide Sapienza, tramite lei, ne sia venuto a conoscenza e ne abbia successivamente informato Riccardo Bertoncelli, che dirige Bizarre, la collana musicale della Giunti.

Così "Un hipster dalla testa d'angelo" ha raggiunto le librerie."

 Le prime riflessioni sono di carattere più tecnico e sono legate a quelle caratteristiche di Jeff Buckley che spiazzano per sorpresa e per il suo coraggio di mostrarsi "nudo nell’anima" privo di ogni difesa. Se la sua voce che provoca una reazione fisica molto intensa e quasi imbarazzante è stata più volte oggetto di riflessione molto meno si è detto del modo assolutamente personale di suonare la chitarra, né maschile né femminile ma dotato di una qualità aliena.

"Jeff aveva una sensualità che non ha equivalenti, forse un retaggio dello studio della chitarra jazz, ma non unicamente questo. Ogni volta che toccava la chitarra con il plettro, quella percussione era insieme carezza, graffio, pugno. Dal punto di vista tecnico, Jeff era un mancino che suonava da destro, quindi gran parte dell'interesse che suscitava negli altri chitarristi era determinato dalla velocità vertiginosa con la quale eseguiva gli accordi..cosa quasi impensabile per altri ma normale per lui, visto che usava la sua mano più "forte". Questa è già una caratteristica che potrebbe spiegare la sua tecnica chitarristica, che pure non è interamente velocità.

La passione per le armonie orientali può poi senz'altro aver influito sulla fase di composizione, quindi anche questi suoni "alieni" che prima di Buckley erano propri non giri del rock statunitense ma esclusivamente della musica etnica sono parte integrante della particolarità del suo modo di suonare."

 Da un intensive reading di alcuni suoi testi si riscontrano alcuni temi dominanti mi viene in mente come spesso sia invocato nelle sue canzoni un "brother", per esempio.

"Quello a cui Jeff ritorna con insistenza nei suoi testi è essenzialmente il dolore derivante da un amore tormentato, ostacolato non da terzi incomodi ma solo da se stessi (una novità enorme nel panorama della musica anglosassone di solito dominata da liriche piuttosto ripetitive)..un amore assoluto e totalizzante (effetto dolce stil novo con tanto di donna angelicata) che è al tempo stesso fonte di somma gioia e somma sofferenza. Altri stralci di testi invece individuano un tema che fa riferimento alla ingombrante figura del genitore che rifiutò il figlio in nome della carriera, e l'invocazione in Dream Brother è all'amico Chris Dowd affinchè non si comporti allo stesso modo con la sua prole.

Sul disco postumo c'è un po' di variabilità in più. Sia Haven't you Heard che Sky is a Landfill hanno testi dal contenuto prettamente sociale, quasi politico, con pesanti osservazioni sull'american way of life. Ci sono brani con un impianto quasi porno (Your Flesh is so Nice) e le canzoni d'amore a volte introducono l'elemento di novità per le storie d'amore che non sono andate come Jeff sperava..una colpa/rimpianto (Nightmares by the Sea, I know we could be so happy...)"

 Non ha mai cercato la strada più semplice per realizzare le cose perché questo avrebbe voluto dire ingannare se stesso, quindi tutti suoi fantasmi ed i suoi sentimenti sono affrontati linguisticamente in maniera molto particolare, specialmente all’interno del panorama rock. "Linguisticamente parlando bisogna ricordare che i testi delle canzoni di Jeff erano essenzialmente poesie, non necessariamente scritte in rima, in ogni caso. E che Jeff, pur non avendo un retaggio di studi universitari, senz'altro aveva un bagaglio culturale sopra la media, cosa che si avverte nella lettura dei testi nei quali rientrano, ad esempio, tutta una serie di vocaboli assolutamente fuori registro (della serie"ma che parola è questa?") nel panorama dei compositori rock di lingua inglese. Cosa questi temi rappresentassero per Jeff è presto detto: sia nel caso dei testi più prettamente sentimentali che in quelli che fanno più riferimento alla propria condizione "familiare" si trattava di comporre allo scopo di riflettere sulla propria situazione. Come in una sorta di auto-analisi."

 L’accostamento immediato, senza transizioni di elementi concreti e razionali e di immagini che si doppiano in figure trasfigurate, le abdicazioni dalla sua storia personale ed il desiderio di ritrovarsi dopo la smemoratezza sono frutto invece di una formazione beat a cui Jeff è vicino innanzitutto nel mito del viaggio dato che ha passato la propria adolescenza trasferendosi da una costa all’altra ed inoltre "Jeff non ha mai fatto mistero del rapporto che lo legava a certi tipi di sostanze psicotrope delle quali si serviva per aiutarsi nella composizione. Il che non deve stupire più di tanto: a una lettura attenta dei suoi testi è evidente il processo di ricerca di immagini che rimandano profondamente alla scrittura beat, a Ginsberg in particolare (che Jeff conosceva personalmente, tra l'altro). Jeff era molto affascinato dai percorsi della mente umana, e riteneva che alcuni interventi esterni potessero accelerarli o condizionarli. Un po' come con il roditore di laboratorio che percorre incessantemente il labirinto, Jeff cercava trade alternative da far percorrere al suo "topino". Motivo più che valido, a suo dire, per ricercare i mezzi artificiali più adatti al suo scopo, id est la ricerca della verità attraverso la musica.

Spesso mi fermo a riflettere su questi due fatti assodati nella vita di Jeff, il rifiuto da parte del padre e la ricerca di "paradisi artificiali",e penso siano in qualche modo correlati. In un certo senso, cercare con l'aiuto di droghe la verità nella musica implicava anche scoprire la verità sulla propria nascita, la verità su questa costante afflizione, il rifiuto. Mi viene in mente "What will you say" e i versi "father do you hear me? do you know me?do you even care?". Non so se Jeff ha avuto le sue risposte. Se le è portate con sé nel fiume."

 Pensa che i primi versi di You & I sono "la calma sotto questo selvaggio fiume di veleni" profezia?"...così come il bridge di Nightmares by the Sea recita "resta con me sotto queste onde stanotte".. gli esempi sono tanti e non si esauriscono di certo qui. Si va dal mitico "is my time coming/i'm not afraid/afraid to die" di Grace, al poco noto "asleep in the ground/ with your family watching over", variazione eseguita dal vivo dell'ultimo verso di Dream Brother, fino ad arrivare a "and i couldn't awake from the nightmare/ that sucked me in and pulled me under" in So Real. A seconda dell'appassionato che interpellerai perchè ti spieghi queste inquietanti citazioni premonitrici, di volta in volta queste diventeranno crudeli coincidenze o segnale inequivocabile che il destino di Jeff era segnato e lui ne era conscio. La mia posizione è molto più sibillina…e prende in considerazione che Jeff per comporre arrivava a visitare luoghi della mente lontani da qui, luoghi in cui neanche lui doveva sapere bene come orientarsi..e cosa ci abbia trovato, solo lui lo può sapere."

 Sketches (for my sweetheart the drunk), il disco uscito postumo da poche settimane è stato frutto di un tortuoso percorso e di una ricerca quasi filologica che Chiara Papaccio ricostruisce con molta precisione allontanando i vari sospetti che si erano sollevati

"Le fonti che hanno alimentato il prodotto finito di Sketches (for my sweetheart the drunk) sono essenzialmente due: le sessions a Memphis con Verlaine e le 4 track demos registrate in solitudine poco prima della morte, in cui tecnicamente Jeff stava prendendo appunti sull'ulteriore materiale da (eventualmente) inserire nella track-list o sugli aggiustamenti di tiro da effettuare rispetto a canzoni già registrate con tutta la band. Jeff spediva, man mano che li aveva pronti, questi nastri ai membri del suo gruppo, negli ultimi tempi ancora a New York, per tenerli aggiornati sul lavoro fatto fino a quel momento. Le voci che parlano di un Jeff disgustato dal lavoro di Verlaine sono sicuramente da ridimensionare, in particolare quelle riguardanti il famoso falò in cui bruciare i nastri..in questo caso Jeff scherzava con il chitarrista Michael Tighe per l'eccessivo numero di brani registrati rispetto alle richieste della casa discografica. Sull'edizione europea del disco trovano spazio 21 brani, uno in più rispetto all'edizione standard americana: quello che i responsabili del progetto, Mary Guibert, Michael J.Clouse e Chris Cornell, hanno fatto rispetto al doppio Cd è stato unicamente di selezionare fra i brani registrati in dimensione casalinga quelli oggettivamente nelle migliori condizioni, tenendo da parte quelli troppo rovinati per essere pubblicati. Le sessions con Tom Verlaine come produttore sono state pubblicate nella loro interezza, senza sovraincisioni o particolari cambiamenti rispetto al mixaggio, eccezion fatta per le alternate versions presentate sul disco due di Nightmares by the Sea e New' Year's Prayer, che comunque danno conto di un diverso approccio rispetto a questi due brani, quindi sono assolutamente complementari agli originali sul disco uno.

Rispetto a Grace, composto in un lunghissimo arco di tempo per lo più in assoluta solitudine, Sketches testimonia il processo creativo di una band affiatata. Nonostante la maggiorparte dei brani siano accreditati al solo Jeff, chi ha familiarità con la sua musica noterà senz'altro una dimensione più corale. Le differenze non si fermano certo qui: le canzoni, stesse, ad esempio, mostrano una maggiore concretezza, una certa rudezza (a parte quella ovvia dei provini) se comparate alle perle eteree del disco di debutto. Questo perché, a mio avviso, Grace dava maggiormente conto del processo di crescita musicale di Buckley, cristallizzando al suo interno buona parte di ciò che lo aveva influenzato come musicista, mentre questo disco postumo ci mostra quel futuro che non ci sarà, ci mostrava in sostanza dove Jeff avrebbe voluto dirigersi...verso le asprezze del rock sommerso americano così come incontro alle melodie mediorientali più preziose...

In definitiva, tutto quello che Jeff Buckley aveva fatto fino al momento della sua morte è stato pubblicato interamente senza rimaneggiamenti, e in più alla track list sono stati aggiunti due brani fuori sessione, Haven't You Heard, che risale all'inverno del '97 a New York, e Satisfied Mind, che vede invece un Jeff ancora acerbo cantare nel 1991 per la stazione radiofonica WFMU un classico di Mahalia Jackson. Una specie di testamento spirituale al cui testo, anche questo particolarmente "profetico", Mary fa spesso riferimento nelle conversazioni così come nelle interviste "one thing for certain, when it comes my time…I'll leave this old world with a satisfied mind"

Giuseppe Episcopo