indice MODA&SPETTACOLO - Luglio 1998


Mike Figgis e il cinema al contrario

Ha diretto film come Stormy Monday, Mr. Jones e Via da Las Vegas. Seguendo sempre la sua filosofia: ribaltare lo stereotipo degli attori trasformandoli nel loro opposto. Così i buoni diventano cattivi e viceversa. Una lezione, dice il regista inglese, imparata da Sergio Leone

figgis.jpg (6030 byte)Regista inglese tra i protagonisti della British Renaissance con una pellicola come Stormy Monday tanto bizzarra quanto di culto, ed affermatosi negli Studios americani girando Internal Affairs (Affari Sporchi, con cui ha rilanciato Richard Gere), Mr Jones (ancora Richard Gere) e Via da Las Vegas (film che ha conferito un ruolo di punta nello star system a Nicholas Cage), Mike Figgis è un affascinante affabulatore che utilizza la società dello spettacolo come metafora del mondo contemporaneo.

Qual’è il ruolo che lei attribuisce alla regia?

Uno dei principali punti da sviluppare per un regista è raccontare una storia in un modo nuovo, fresco. Se con un libro hai a disposizione la tua fantasia, per realizzare un film hai dei volti da utilizzare e questi volti possono appartenere a Richard Gere, Andy Garcia, Meg Ryan, John Malkovich e tutti gli altri attori tra cui scegliere. Per me sarebbe meglio utilizzare un attore mai visto prima in altri film, se questo non creasse dei problemi nel finanziamento perché gli Studios avrebbero molte riserve. Quindi un modo per ribaltare a mio vantaggio la situazione è trasformare lo stereotipo dell’attore nel suo contrario facendo diventare, ad esempio, Richard Gere un cattivo ed Elizabeth Shue una prostituta. Tra l’altro l’ho imparato da Sergio Leone che aveva utilizzato Henry Fonda in una scena in cui uccideva un bambino ed una donna. Cosa che aveva sorpreso e colpito tutta l’America in modo grandioso. Bisogna far diventare una vecchia faccia qualcosa di nuovo.

Lei è anche un musicista, ha suonato con Brian Ferry e spesso collaborato con Sting

Con Sting siamo molto amici. Veniamo dalla stessa città, Newcastle, ho lavorato con lui per Stormy Monday. Per Leaving Las Vegas gli chiesi se poteva cantare una canzone. Sting mi ha risposto che ne era felice ma dovevamo registrare il tutto molto velocemente perché sarebbe partito per una lunga tournée di sei mesi intorno al mondo. Ho portato il piano e il basso in casa sua ed abbiamo registrato in un pomeriggio quattro canzoni. Sting mi ha permesso di essere il produttore della session. Ma è molto più difficile che dirigere un attore, perché come puoi dire a Sting: "più piano, maggior sentimento, non così"?. Quel pomeriggio accendemmo il camino e nella colonna sonora si può ascoltare il rumore del legno che brucia.

Qual’è la relazione tra linguaggio e cinema?

Credo che la televisione abbia avuto, in America soprattutto, un effetto catastrofico sul linguaggio perché lo ha impoverito tremendamente al punto che se impari venti frasi dello slang potresti vivere tranquillamente, normalmente. Marlon Brando è stato il primo nel cinema a non articolare le parole, a mugugnare. Lui è un grande, poteva farlo, ma dopo nessun attore ha più avuto alcun interesse nell’avere un vocabolario ricco, nell’articolare le parole e nel recitare frasi più complesse. E queste sono star del cinema americano che influenzano anche film europei. Brando è stato un criminale per questo. E la televisione ha estremizzato questa situazione.

E nei suoi film?

Io pongo molta attenzione e cerco di utilizzare al massimo la complessità del linguaggio.

Esemplificativo è, secondo me, il caso di Leaving Las Vegas. Nicholas Cage in questo film ha una prosa molto bella e molto poetica ma la gente accetta questo perché il personaggio che interpreta è un alcolizzato.

Insomma la gente accetta il parlare in maniera forbita e il recitare una poesia solo perché a farlo è un alcolizzato; se fosse stata una persona sobria, una persona normale forse la gente sarebbe rimasta spiazzata perché oggi la lingua quotidiana, come dicevamo prima, è molto più povera.

Quali tipi di problemi ci sono stati nel realizzare Mr. Jones?

Con Mr Jones intendevo fare un film sulla depressione. Era un’idea molto interessante perché molte persone ne soffrono ed è un problema vicino alla realtà, è un tipo di malattia molto diffuso. Il primo montaggio di questo film era molto buono, molto realistico e Richard Gere aveva fatto un lavoro straordinario. Ma, proiettata l’anteprima, quelli degli Studios si erano resi conto che, nel film, la depressione era molto realistica, troppo cruda. Invece piacevano molto le scene di comportamento maniacale perché erano molto divertenti. Così mi proposero di fare un film più breve che tagliasse l’aspetto della depressione conservando solo l’altro. Dopo due anni e mezzo di riscrittura, di montaggi di nuove riprese realizzate da John Amil hanno fatto uscire un film che io non ho mai pensato di realizzare.

Vorrei raccontare una storia ancora su questo film: quando mi hanno invitato a vedere il nuovo montaggio del film, perché era un mio diritto, ero con Richard Gere e la moglie di allora Cindy Crawford. Guardando il film vedevo scene che avevo girato io con un’altra musica e scene girate da altri con Richard Gere che era cambiato ad un’anno di distanza, più grasso e con un taglio di capelli diverso.

Eppure il film ha avuto delle buone risposte...

Si, molte persone mi hanno detto di essersi riconosciute nel film. Il film ha il merito di parlare di un problema molto vero, ma credo che nella sua prima realizzazione la riflessione fosse più approfondita.

Per quanto riguarda i prossimi impegni?

Ho terminato l’anno scorso di girare "La perdita dell’innocenza sessuale", girato in Umbria e a Roma. Le riprese in Italia hanno a che fare con l’armonia e rappresentano un giardino dell’Eden. Altre riprese sono avvenute in Inghilterra e Tunisia. È un film con un piccolo budget, girato in quattro settimane in super 16 mm poi gonfiato a 35. Del cast fanno parte Stefano Dionigi, Julian Sands e Kelly McDonald di Trainspotting. Prossimamente lavorerò ad un adattamento dell’opera di Strindberg, "La Signorina Giulia", con Juliette Binoche, e sto considerando di chiamare Carlie, l’attore di Full Monthy. Avevo intenzione di fare un film con Juliette Binoche da quando nel '92 ho realizzato con lei, il corto Mara.

È vero che c’è anche un terzo progetto più strettamente legato all’Italia?

Ebbene sì, c’è un anche un terzo progetto. Il produttore Fernando Ghia mi ha suggerito di realizzare "1934", un racconto di Alberto Moravia inizialmente proposto a Bertolucci. Il libro mi è piaciuto molto e subito mi sono impegnato nella sceneggiatura. Il film lo girerò in Italia, a Capri.

Giuseppe Episcopo