Index POLITICA - Marzo 1998



Lavoratori, cambiate look

Sul quadrimestrale "Quaderni" dell’associazione Centro Veneto si parla di formazione professionale. Quello che segue è l’intervento-premessa del ministro del Lavoro Tiziano Treu sull’argomento. Dove sostiene che l’unica strada possibile contro la disoccupazione, in Italia ed in Europa, è la riqualificazione dell’offerta del lavoro

Con il Patto per il lavoro siglato il 24 settembre del ’96 si era manifestata la chiara volontà del Governo e delle parti sociali di collocare politiche delle infrastrutture, politiche del lavoro, della formazione e della ricerca nel quadro di una strategia integrata imperniata su riforme strutturali ed innovazioni gestionali e procedurali. In tale ambito la riforma della formazione professionale ha un ruolo importante. Vi è piena consapevolezza che si tratti di una leva strategica dello sviluppo a condizione di promuoverne la qualità e che venga realizzata l’integrazione dei sistemi formativi: quello dell’istruzione, della formazione professionale regionale e della formazione sul lavoro. L’accordo non poneva attenzione solo alla scuola e all’esigenza di rivedere percorsi e cicli di formazione, ma sottolineava l’esigenza da tutti apprezzata di promuovere, riqualificandoli, l’apprendistato, i contratti formazione lavoro e gli stage, valorizzando i momenti di raccordo con il mondo del lavoro.

Su questa parte della strategia per la lotta alla disoccupazione, che riguarda la riqualificazione della offerta di lavoro, insistono anche i documenti internazionali ed europei nelle varie direttive. In particolare, nel sostegno all’impiegabilità del lavoro tramite la formazione; nelle politiche di sostegno delle fasce deboli, individuate nei giovani e nei disoccupati di lunga durata; nell’adattabilità alle forme nuove di lavoro e di impresa; nella diffusione della cultura imprenditoriale; nelle pari opportunità. Su questi versanti il 1997 ha segnato la predisposizione degli strumenti attuativi del Patto del lavoro. Si registrano innovazioni che hanno anzitutto una caratteristica comune, quella di allargare le opportunità di utilizzo delle occasioni di lavoro con tipi nuovi di rapporto, favorendo le diversificazioni in atto nel mondo produttivo in una linea che congiunge flessibilità con regolazione concordata.

E’ questo un punto su cui è aumentato il consenso in ambito comunitario; il tema della flessibilità si congiunge sempre di più con quello dell’impiegabilità del lavoratore, a significare che l’obiettivo delle politiche del lavoro non è una qualunque forma di deregolazione o anche solo di adattamento passivo della forza lavoro alle esigenze del mercato, quanto il miglioramento delle possibilità di impiego dei lavoratori, non solo nelle forme tradizionali ma nelle forme diversificate proprie dei lavori moderni. Si sottolinea cioè come le nuove forme di lavoro devono essere effettivamente strumenti di opportunità positiva e non di mera precarietà. Per questo la flessibilità va perseguita insieme agli investimenti in risorse umane, in particolare formazione e ricerca. Le parole chiavi sono appunto quelle dell’impiegabilità e dell’innovazione; quest’ultima anzi è la vera risorsa, perché può dare a tutti la capacità di sfruttare a pieno e di sostenere le chances offerte dal progresso tecnologico ed economico.

Employability è la strada anche per vincere la precarietà, che si contrasta solo con un adeguato bagaglio di conoscenze che deve essere rinnovato nel corso della vita e che deve arricchire tutte le forme di lavoro, subordinato e autonomo. In questa direzione si è mossa, anche se con qualche ritardo, l’attuazione legislativa del Patto del lavoro specie nella legge 196 del luglio 1997. Particolare attenzione è stata posta all’allargamento delle chances occupazionali per l’entrata nel mercato del lavoro, considerando la persistente gravità della disoccupazione giovanile. Come in altri paesi si sono moltiplicate le forme di transizione dalla scuola al lavoro con una scala che va dal tirocinio formativo, chiarito e agevolato nelle procedure, a contratti di formazione allargati nelle aree deboli del Sud, fino all’apprendistato, arricchito negli elementi formativi, che è destinato a diventare uno strumento decisivo di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro e di integrazione del sistema scolastico come in Germania e Olanda.

In prospettiva si prevede un riordino complessivo dei contratti di formazione-lavoro in un tipo unico in cui lavoro e formazione si uniscono con modalità, contenuti, e agevolazioni diversi, legati ai caratteri effettivi di qualificazione di questi lavori. Fra le forme nuove di contratti flessibili va annoverato il lavoro interinale, introdotto dopo decenni di dibattito, che può diventare un’ulteriore via di formazione e di introduzione dei giovani al lavoro; ma analogo obiettivo ha l’incentivazione alla flessibilità dell’orario di lavoro e al part-time.

Questo primo bilancio indica che ora il compito più importante è di utilizzare in modo ottimale questi strumenti, in particolare quelli arricchiti con pratiche formative, in modo adeguato alle esigenze del mercato del lavoro. La formazione ricorrente è un obiettivo largamente condiviso e anche qui, lo scorso anno, si sono predisposti gli strumenti per migliorarne l’organizzazione: con il processo di integrazione tra scuola e formazione professionale e, sul versante della scuola, con l’autonomia e il riordino dei cicli scolastici. La sfida è di creare un vero sistema integrato che vada dall’orientamento professionale, alla formazione orientata, fino al collocamento e alla riconversione nel corso della vita lavorativa.

Esperienze anche di eccellenza, non mancano; le difficoltà sono soprattutto organizzative, e di qualità del personale dedito alla formazione, mentre restano da vincere le resistenze storiche all’integrazione fra i vari filoni scolastici. Le risorse possono essere aumentate in un primo periodo attingendo soprattutto ai fondi europei: c’è stato un significativo miglioramento nell’utilizzo del Fondo Sociale; ma in prospettiva l’urgenza è di indirizzare risorse ulteriori per dare concretezza alla conclamata priorità della formazione nelle strategie per l’impiego.

Non a caso anche i Ministri finanziari dell’Europa, sempre molto prudenti, hanno sottolineato la loro adesione a questa priorità, dichiarando che i problemi di formazione vanno considerati veri investimenti e non come spese, con la conseguenza che dovrebbero essere trattati come tali anche sul piano della incentivazione fiscale. Nell’immediato l’Italia ha una particolare urgenza di progredire sia nella quantità sia nella qualità, della formazione e della ricerca perché gli investimenti sono di molto sotto la media europea, e anche per lo scarso coordinamento nell’utilizzo delle risorse, in particolare per la formazione e ricerca applicata.

Un ruolo fondamentale spetta ai livelli decentrati delle istituzioni, perché tutta la formazione professionale congiunta ai servizi all’impiego è stata ormai devoluta alle autonomie regionali e subregionali che dovrebbe agire insieme alle parti sociali. In particolare la gestione della formazione continua è tipicamente materia di cogestione tra le parti sociali e le istituzioni locali. Ed è a questo livello che vanno mobilitate anche le risorse aggiuntive. Le modalità sono da discutere nei mesi a venire. Non c’è dubbio che le parti potranno essere indotte ad investire di più in quanto l’organizzazione formativa sia libera da vincoli e forme di intermediazioni tradizionali.

Una proposta sento di avanzare alle parti sociali: in anni come quelli che si preannunciano di crescita e quindi di minore utilizzo degli ammortizzatori (un aspetto per cui la riforma è ancora al palo) sarebbe opportuno devolvere alla formazione continua, controllata dalle parti sociali, almeno parte delle risorse risparmiate nell’utilizzo della cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, che deve essere ricondotta alla sua finalità normale di monito temporaneo alle imprese.

Certo abbiamo davanti un percorso lungo, irto di ostacoli che non consente semplificazioni e scorciatoie. Purtroppo non va dimenticato che molto spesso si è costretti a fare innovazioni gestionali con il treno in corsa. Ma la riforma della formazione professionale, ancorata a quella scolastica e al decentramento istituzionale, costituisce uno degli assi del programma di governo. Il Patto per il lavoro, la riforma Berlinguer e il decentramento derivante dall’attuazione dal pacchetto di riforme previste dal Ministro Bassanini, sono infatti strumenti che operano in stretta correlazione e andranno a incidere profondamente nella realtà formativa del nostro Paese.

In quest’ottica le regioni e le autonomie locali sono necessari più che mai per raggiungere gli obiettivi che ho indicato. Ciò vale in particolare per regioni come il Veneto che, per il particolare dinamismo del suo mercato del lavoro, ha la necessità della riqualificazione continua delle risorse umane (sia nel settore del lavoro autonomo che dipendente). Investire nella formazione costituisce una condizione fondamentale per lo sviluppo del modello dell’impresa diffusa che ha fatto del Nord-est il motore del sistema economico e produttivo dell’intero paese.