Index MUSICA - Giugno 1998


Intervista a Franco Battiato

Profeta del Rock, santone Sufi, raffinato musicista classico, filosofo post-moderno : molte sono le immagini di sé che Franco Battiato nella sua carriera ultra ventennale ha voluto mostrare al pubblico. Eppure, grazie a una coerenza e ad una ricerca interiore che trascende le mode e gli stili, Battiato ha saputo rimanere fedele al proprio modo di essere e alla sua passione più grande: la musica.

Battiato, ma è vero che la sua ultima tournée la ha coinvolta talmente da non essere riuscito nemmeno ad andare a tagliarsi i capelli per il primo mese del tour?

E’ vero. Il mio è stato un lavoro di preparazione così profondo ed accurato che non sono riuscito a pensare ad altro per settimane. Quando il tour è iniziato il coinvolgimento col pubblico e con i media è stato tale da portarmi via tutto il tempo a mia disposizione.

Si aspettava un successo così grande ?

No. E’vero che i posti dove suoniamo sono "fatti per la festa", ma non mi attendevo un’esasperazione così forte dell’aspetto ludico della musica.

Questo, in qualche maniera, la fa sentire responsabile nei confronti dei suoi fans ?

Quando scrissi Povera Patria volevo esprimere qualcosa che riguardasse le nuove generazioni. Un messaggio, una specie di monito affinché ci si rendesse conto di dove si stava precipitando. Questa canzone, che è quella più impegnata di tutte, raccoglie ogni sera il numero di consensi più alto da parte degli spettatori.

Recentemente lei ha dichiarato che il futuro della musica sta nei giovani gruppi americani come gli Smashing Pumpkins e Nine Inch Nails. Ci vuole spiegare perché ?

Io sono molto sensibile ai talenti. Anche se il loro genere musicale non mi piace, trovo che questi ragazzi abbiano un enorme talento. Oggi rappresentano davvero qualcosa di nuovo.

Cosa pensa di gruppi come i Dead Can Dance che, su un altro versante, portano avanti una ricerca musicale colta e ispirata ?

Devo dire che non mi appassionano molto. Lasciano un po’ il tempo che trovano...

Perché dopo molto tempo la sua musica si è orientata nuovamente verso il rock ? Forse per riavvicinarsi al pubblico dato che le vendite dei suoi ultimi dischi non erano state così entusiasmanti ?

Era quello che volevo : cambiare. Era quello che sentivo giusto fare. Volevo cambiare e sperimentare ancora. Non mi va di restare chiuso in una scatola e aspettare, fossilizzandomi.

Qualcuno, però, la accusa di incoerenza...

Dio ci scampi dalla coerenza. Per un musicista significherebbe una noia mortale.

Molti suoi fans si lamentano che i suoi dischi durano solo trentacinque o quaranta minuti al massimo...

L’imboscata dura di più, ma francamente non mi sembra che la musica vada misurata a chili.

Lei sta scrivendo un’altra opera. A che punto è ?

Ad un punto morto, perché ho fatto appena in tempo a scrivere il prologo prima di essere sommerso dagli impegni. Eppure il prologo è già tanto perché in una qualche maniera segna la cifra stilistica che, poi, avrà tutta la composizione. Dopo dicembre riprenderò a lavorarci alacremente.

Lei ha sempre avuto una sensibilità molto profonda verso il mondo che vive e si evolve intorno al mare Mediterraneo. Come valuta la situazione che si è verificata in Albania e quella con i Curdi ?

Con una grande pena. Soprattutto perché mi sembra impossibile se non assurdo, fermare questi flussi migratori da sempre presenti nella storia dell’umanità. Quello che è accaduto in Albania e al popolo curdo è davvero terribile.

Lei aveva, in una qualche maniera, preconizzato tutto questo vent’anni fa in una canzone che si chiama Strade dell’est.

Sì, ma, forse, è solo una pura casualità.

Allora non si sente un profeta ?

Ma per carità...

Marco Spagnoli