SPETTACOLO&MODA - Giugno 1998


I film di giugno

Il Titanic sensuale di Bigas Luna
Richard Gere e la Cina dei cattivi

Lolita

James Mason - Shelley Winters - Sue Lyon - Peter Sellers; Sceneggiatura Vladimir Nabokov, basata sul suo romanzo omonimo; Regia Stanley Kubrick; Anno di produzione 1966; Durata 150’

Dopo il noioso e recente tentativo di Adrian Lyne di riportare sullo schermo la storia della bella e inquietante Lolita, torna nelle sale - dopo più di trenta anni - il film di Stanley Kubrick in bianco e nero con un James Mason in ottima forma e un Peter Sellers più istrione che mai. Una pellicola intelligente che aggiunge nuovi personaggi senza escludere e tradire del tutto l’inquietudine di fondo del romanzo, con una Lolita giovane ma non troppo e con una regia come quella di Kubrick che esalta i momenti di tensione presenti nel film.

Certo, ci saremmo augurati di vedere una pellicola ispirata al romanzo di Nobokov, più attinente alle voglie ironiche presenti nell'Humbert Humbert descritto dal romanziere, ma anche qui siamo stati traditi. Per necessità censorie e di convenzione un po’ borghese Nabokov all’epoca nello scrivere la sceneggiatura privò il suo personaggio di quello humour disperatissimo, anticonvenzionale e quasi eversivo che troviamo scarso invece nel ruolo interpretato con enorme bravura da James Mason. Non ci nascondiamo che un romanzo come Lolita è di difficile adattamento ai ritmi propri del linguaggio cinematografico. Ed è certo che dove non riuscì l’autore coadiuvato da un regista come Kubrick, difficilmente potranno altri. E questo Adrian Lyne doveva proprio saperlo...

Romeo + Giulietta (William Skakespeare’s Romeo + Juliet)

Leonardo Di Caprio - Claire Danes - Pete Postlethwaite - Harold Perrineau - Paul Sorvino - John Leguizamo Sceneggiatura Craig Pearce, Baz Luhrmann tratta dall'opera omonima di William Shakespeare; Regia Baz Luhrmann; Anno di produzione 1996; Distribuzione Twentieth Century Fox; Durata 120'

Nonostante l’enorme successo su videocassetta, esce di nuovo al cinema il capolavoro del regista di Ballroom, Baz Luhrmann ispirato e tratto dalla tragedia di Shakespeare. Un film intelligente, moderno, mozzafiato con una regia che è pura dinamite e che incastona in un ambiente più kitsch che non si può un manipolo di giovani attori su cui svettano i migliori Giulietta e Romeo della storia del cinema: quei Claire Danes e Leonardo Dicaprio che oggi sono grandi star hollywoodiane. A metà tra il pulp e una rilettura fedelissima dell’opera di Shakespeare, Baz Luhrmann ci regala un’interpretazione assolutamente geniale del lavoro di Shakespeare attualizzandolo in un mondo allo stesso tempo corrotto e onirico, romantico e crudele. Un film fascinoso e ipnotico, accompagnato da una colonna sonora favolosa, di grande spessore.

Picture Perfect – Romantici equivoci (Picture Perfect)

Jennifer Aniston – Kevin Bacon – Jay Mohr – Olympia Dukakis – Ileanna Douglas; Sceneggiatura Arleen Sorkin, Paul Slansky & Glenn Gordon Caron; Regia Glenn Gordon Caron; Anno di produzione 1998 Distribuzione Twentieth Century Fox; Durata 100’

Jennifer Aniston è stata a lungo protagonista della serie tv post adolescenziale Friends. Ci sembra – dunque – naturale che la produzione abbia pensato a lei per il ruolo della protagonista Kate: attraente, ingegnosa direttrice pubblicitaria che per ottenere una promozione si inventa un fantomatico fidanzato prendendo spunto da una foto casuale scattata al matrimonio di un’amica. Allegro, leggero, a tratti anche divertente, il film è una gradevole sequenza di luoghi comuni: la bella ragazza geniale bistrattata sul lavoro con una madre oppressiva, il grande amore irrealizzabile e così via. Eppure, nonostante queste piccole banalità dovute a un target di pubblico ben preciso, Picture Perfect sembra funzionare abbastanza. Certo, tutto sarebbe potuto essere più deciso e intenso, ma proprio come capita nei telefilm di 45 minuti o un’ora al massimo, bisogna fidarsi degli sceneggiatori che con due pennellate dotano belle ragazze e uomini affascinanti di anime e pensieri, la cui presenza va accettata più sulla fiducia che su prove concrete. Forse, qualcosina in più ce la si poteva proprio aspettare, ma - si sa - le sit-com e - dunque - anche i prodotti da esse derivate sono necessariamente usa e getta. Li guardi, ti diverti, ti piacciono e te li dimentichi. L’unica cosa davvero indimenticabile di questo film è il finale nella chiesa: un piccolo gioiello di comicità e ironia in stile Frank Capra.

Private parts

Howard Stern - Robin Quivers - Mary McCormack - Carol Alt; Sceneggiatura Len Blum & Michael Kalesinko tratta dall’omonimo libro di Howard Stern Regia Betty Thomas; Anno di produzione 1997 Distribuzione Columbia Tristar; Durata 105’

Uno dei più famosi dee-jay americani, ironico, esilarante, irriverente si racconta in un film tratto da una autobiografia di successo, in un film prodotto da quel maestro della comicità che è il regista Ivan Reitman (Ghostbusters, Un poliziotto alle elementari, Space Jam). Il risultato di questa miscela è un’autobiografia cinematografica interpretata dal suo protagonista Howard Stern piena di spunti divertenti che è anche un documento sul mondo radiofonico statunitense fino agli anni Novanta. Un film ridicolo, ma intelligente, ben girato e dosato che percorre nel racconto di Stern la sua carriera fin dagli esordi in piccole emittenti radiofoniche di tutti gli Stati Uniti. Cesellato da una colonna sonora di qualità e reso non banale, né autocelebrativo, ma molto autoironico e convincente da una recitazione lontana dai luoghi comuni e da una regia in stile Woody Allen, Private parts costituisce un unicum di grande qualità nel suo genere. Una pellicola capace di divertire e rallegrare in maniera del tutto originale con una dose di grande ironia e intelligenza, raccontando una storia interessante che costituisce anche un documento importante sul mondo dei media statunitensi.

L’immagine del desiderio (La camarera del Titanic)

Olivier Martinez - Romane Bohringer - Aitana Sanchez Gijon - Aldo Maccione; Sceneggiatura Bigas Luna, Cuca Canals, Jean-Louis Benoit tratta dal romanzo omonimo di Didier Decoin; Regia Bigas Luna; Anno di produzione 1997; Distribuzione MEDUSA; Durata 100’

Un operaio di una fonderia di una piccola città francese vince la gara annuale della fabbrica e il suo premio è andare a vedere la partenza del Titanic in Inghilterra a Southtampton. Lì conosce una ragazza imbarcata sul transatlantico destinato ad affondare pochi giorni dopo, e passa la notte con lei, senza nemmeno sfiorarla. Al suo ritorno - quando crede che la moglie lo abbia tradito con il padrone della fonderia - incomincia a raccontare storie inventate su quella notte di passione. Così, l’operaio riceve una proposta per raccontare la sua storia nei teatri di tutta la Francia. Generalmente non serve raccontare nei minimi dettagli la trama di un film per farne apprezzare i valori e i contenuti. In questo caso, però, essendo L’immagine del desiderio un film che fonda la sua intelligenza e la sua originalità proprio sui contrasti che nascono all’interno della storia, abbiamo voluto fare un’eccezione.

L’immagine del desiderio - titolo pienamente rispondente alla struttura del film, in cambio di un originale che richiamava "troppo" il film di James Cameron tanto da sembrare uno sfruttamento del successo dell’altro - è, infatti, una pellicola assai delicata che si interroga in maniera sottile sui meccanismi che regolano le leggi del cuore. L’amore, la sensualità, la fantasia nella sessualità sono elementi che strutturano l’elegante gioco narrativo orchestrato dal regista Bigas Luna che rivela una grande abilità narrativa dopo il nefasto insuccesso dello scadente Bambola con Valeria Marini. Con attori capaci di esprimere sentimenti comuni, ma non banali il piano del film si sviluppa sull’equivoco di un amore a prima vista, casto e puro nella realtà e assolutamente passionale e carnale nel ricordo. Un amore che nelle parole del protagonista cambia a seconda del pubblico e della storia che questo vuole farsi sentire dire. Un amore, una passione, una forza che è capace di far maturare un uomo abbandonato, invece, a una brutalità lavorativa necessaria, che - così - scopre in sé la propria vena di attore e di sognatore. L’immagine del desiderio racconta dunque un’indagine psicologica intensa e alle volte perfino buffa, sulle intime pieghe dell’animo umano. Sulla sua capacità di amare per un niente e di dimenticare quando il pallido ricordo diventa realtà.

L’Angolo Rosso (Red Corner)

Richard Gere - Bai Ling; Sceneggiatura Robert King Regia Jon Avnet; Anno di produzione 1997 Distribuzione UIP; Durata 124’

Ed eccolo qui il sempre più bello e affascinante Richard Gere (più invecchia, più migliora) nei panni di un brillante uomo d’affari arrestato nella Pechino della rinascita politica e quasi condannato a morte per uno stupro che non ha commesso. Intenso, intelligente, veloce, L’Angolo Rosso è una buona pellicola che - se avesse evitato di cadere - da un lato e dall’altro - nella retorica anticomunista tipicamente americana, avrebbe fatto dimenticare di essere l’ennesima variazione sul tema dell’uomo in prigione in un paese straniero. Con una buona interpretazione di tutti gli attori su cui si erge come una montagna il magnetico e seducente Richard Gere, che trova un buon alter ego nell’attrice cinese Bai Ling che interpreta il ruolo dell’avvocato. Un buon thriller insomma, tipicamente americano e quindi con inesattezze e piccole contraddizioni, spiegabili solo nell’orizzonte di un film che - con meno retorica e più capacità di osare - sarebbe stato pienamente riuscito e godibile. Il finale in stile Casablanca lascia inoltre molto a desiderare anche sul piano concettuale. Ci sembra, infatti, un po’ affrettato e di maniera. Ci aspettavamo davvero qualcosa di più.

 

Oscar & Lucinda

Ralph Fiennes - Cate Blanchett - Ciaran Hinds - Tom Wilkinson - Clive Russell Sceneggiatura Laura Jones tratta dal romanzo di Peter Carey Regia Gillian Armstrong Anno di produzione 1997 Distribuzione Twentieth Century Fox Durata 113’

Oscar & Lucinda è un film affascinante, originale e omogeneo che racconta la strana e allegra storia di un ragazzo molto religioso (Ralph Fiennes) che diventa un giocatore d’azzardo appassionato solo per pagarsi gli studi e fare elemosine ai poveri e di una ragazza ingenua e ricchissima divorata dalla passione delle carte nell’Australia di fine del secolo scorso.

Un film di cui - se fosse finito come era iniziato e come si era sviluppato - non si sarebbe potuto dire che bene, mentre visto il finale drammatico e retorico che ha, fa nascere molti sospetti.

Innanzitutto, il primo dubbio che viene è che - per non seguire alla lettera il romanzo - si sia voluto distanziare goffamente il film, tenendolo - comunque - a una perniciosa distanza di sicurezza. Così l’omogeneità di immagini, luci, colori e l’unità composta e allegra dell’azione, lascia spazio a momenti di incertezza sul come fare evolvere una trama originale e affascinante.

Oscar & Lucinda è un delizioso capolavoro per circa tre quarti della sua durata, poi il film affonda nelle melme di un finale che più insensato e immotivato non si può, perdendo la scanzonata leggerezza con cui si era evoluto, raccontando una storia che sembra davvero essere solo una scommessa e perdendo quell’unicità che prometteva all’inizio. Davvero un peccato per un’opera con degli attori eccezionali, a partire da quel Ralph Fiennes che imbruttito per l’occasione dimostra ancora una volta di essere veramente bravo e capace.

Costretti a uccidere (The replacement killers)

Chow Yun Fat - Mira Sorvino - Michael Rooker - Jurgen Prochnow Sceneggiatura Ken Sanzel Regia Antoine Fuqua Anno di produzione 1998 Distribuzione Columbia Tristar Durata 88 minuti

Un film veloce che sembra un western di Sergio Leone con un’intensità raddoppiata da un’ottima regia e dalle tecnologie cinematografiche che permettono una maggiore cura dei particolari questo Costretti a uccidere che unisce, ibridizzandolo in un ottimo prodotto, il cinema di Hong Kong e le caratteristiche del film d’azione americano.

La storia è molto semplice : un killer cinese (il divo Chow Yun Fat all’esordio oltreoceano) si rifiuta di uccidere il figlio di un poliziotto, così il suo "datore di lavoro"

Il boss Terence Weu vuole fare fuori lui e una ragazza che doveva fargi un passaporto per tornare a Shangai (Mira Sorvino). Semplice, lineare, diretto con immagini di sparatorie girate in maniera molto moderna con intere sequenze al rallenty e dove ogni inquadratura è studiata nei minimi dettagli. Un film con la storia che si ispira ai temi tipici del cinema orientale con - in primo piano - valori come la famiglia, la religione, l’onore adattati allo stile americano, che funziona per il grande fascino con cui Costretti a uccidere si svolge e si evolve. Speriamo che segni davvero l’inizio di un nuovo genere.

Strade perdute (Lost Highway)

Bill Pullman - Patricia Arquette - Robert Blake - Robert Loggia - Gary Busey Richard Pryor - Sceneggiatura e Regia David Lynch

Distribuzione Cecchi Gori Anno di produzione 1996 Durata 134 min.

" I segreti e i misteri formano un bellissimo corridoio dove puoi galleggiare. Il corridoio si espande e molte cose meravigliose possono accadere. Amo il processo mentale che ti fa entrare nel mistero". Parola di Lynch che anche per questo film sceglie la via della "non -spiegazione" e dell’intreccio complesso il cui scioglimento è lasciato allo spettatore, piuttosto che alla volontà del regista.

In un gioco ad incastro prende corpo una trama che ha il sapore del sogno e dell’incubo, dove i personaggi si sdoppiano in una realtà alterata di mistero che avvolge gli eventi dilatandoli oltre quella che chiamiamo "comprensione". Perchè per Lynch la spiegazione è nemica della storia. Come ha dichiarato una volta "è meglio non sapere troppo del significato delle cose o di come possono essere interpretate, o si potrebbe essere troppo spaventati per lasciarle accadere".

Ed è quello che Lynch fa con i suoi film: lascia che accadono. Come in Lost Highway, dove i personaggi sono compressi in un’atmosfera claustrofobica e al tempo stesso sfuggente, (in)seguiti dall’occhio di un uomo misterioso che rappresenta lo stesso Lynch, manipolatore del reale e del sogno.

Le strade perdute del titolo sono quelle del nostro secolo e della nostra esistenza, sono i significati smarriti negli incubi quotidiani, nei percorsi di un orrore costantemente in agguato.

In questo film ritroviamo tutta la personalità registica di Lynch, la sua delirante pennellata onirica, la sua "follia" come metafora della fantasia umana.

Faticosamente arrivato nelle sale, Lost Highway piacerà ai lynchiani più fedeli e spiazzerà il pubblico che non lo conosce abbastanza. Perchè in questa sua opera confluiscono tutte le ossessioni del regista già espresse in Eraserhead, in Velluto Blu e in Cuore Selvaggio.

La piena maturità di Lynch si esprime così in questo puzzle esistenziale e artistico, dove ogni tassello porta con sè la fugacità del sogno e la sostanza del reale.

Allo spettatore spetta il compito di comporre o, se vuole, scomporre il quadro che il regista racconta senza spiegare, lasciando che il significato si moltiplichi in tutte le interpretazioni possibili.

e.s.

Le ali dell’amore (The wings of the dove)

Helena Bonham Carter - Linus Roache - Alison Elliott - Elizabeth McGovern - Charlotte Rampling - Mark Alex Jennings Sceneggiatura Hossein Amini tratta dal romanzo Le ali della colomba di Henry James Regia Iain Softley Anno di Produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 101'

Statico, lento e penosamente retorico, Le ali dell’amore è veramente un film sopravvalutato che ha fruttato anche un’inspiegabile nomination all’Oscar a una Helena Bonham Carter che - presa per interpretare un film passionale - mantiene la stessa espressione facciale per tutto il film.

Tratto da un romanzo di Henry James, il film racconta la storia di un’aristocratica inglese che nei primi anni del secolo - rimasta senza soldi - cerca di fare innamorare una ricchissima, ma ammalata americana del suo fidanzato. Alla morte di lei, infatti, i due avrebbero il denaro sufficiente per sposarsi.

Un film che doveva mostrare una storia dura nella sua esecrabile scarnificazione etica e sociale, che invece assomiglia più a un prodotto commerciale e facile da propinare a un pubblico borghese ben definito e delineato. Di una lentezza sconvolgente, Le ali dell’amore si perde in dialoghi banali e scontati con una regia assai curata che mira ai dettagli e ai particolari delle immagini, ai costumi, perfino alle coreografie piuttosto che alla storia del film e alla sua evoluzione. Una pellicola dalla struttura vecchia e che dà più l’idea di essere piuttosto un piccolo puzzle con tasselli presi da molti autorevoli predecessori piuttosto che una produzione originale.

Arizona Dream

Johnny Depp - Faye Dunaway - Jerry Lewis - Lily Taylor - Vincent Gallo
Sceneggiatura David Atkins Regia Emil Kusturica Anno di produzione 1993 Distribuzione BIM Durata 140’

"Liberato" finalmente dai lacci di complesse questioni legali e produttive che ne hanno impedito l’immediata uscita (mai avvenuta negli Usa), Arizona Dream, dopo ben cinque anni, arriva nelle sale italiane.

Opera onirica e poetica, il film di Kusturica è una magica metafora sulla difficoltà di crescere e di non lasciarsi sopraffare dai propri sogni. Ciascun personaggio è infatti "intrappolato" in un suo desiderio a volte in sintonia e a volte in aperto contrasto con quello degli altri.

Axel (Johnny Depp) è un giovane che ha tagliato i ponti con il passato e ricerca la serenità che gli è sempre mancata. Confuso, ma al tempo stesso consapevole di ciò che vuole, si ritrova prigioniero tra i sogni di suo zio Leo (Jerry Lewis), che immagina di arrampicarsi sulla luna su una montagna di Cadillac; la stravagante Elaine (Faye Dunaway) che cerca di volare con ogni mezzo possibile e quelli della fragile Grace (Lily Taylor) che desidera reincarnarsi in una tartaruga.

Per ciascuno di loro Axel rappresenta la possibilità della realizzazione del sogno e lasciandosi incantare dalla magia di ciascuno di loro, il ragazzo, a suo modo, cerca di adeguare la realtà al desiderio di coloro che ama.

Ma la favola di Kusturica non ha un lieto fine, perchè agli adulti non è quasi mai concesso di restare nelle fiabe e crescere, a volte, è un prezzo troppo alto da pagare.

Sulla magia del sogno e il dramma della realtà, il regista costruisce un film profondamente poetico la cui trama non si fonda sulla logica delle immagini ma sul tessuto impalpabile delle emozioni spontanee che si esprimono in lampi di grottesco, in pennellate di ironia e nella soltanto apparente confusione delle storie.

Arizona Dream è un piccolo gioiello di dolorosa magia che tocca tutti gli attori graziandoli di una recitazione superba e naturale. Faye Dunaway, Jerry Lewis, Lily Taylor e Johnny Depp formano un indimenticabile quartetto di esistenze le cui inquietudini si fondono in un impasto onirico e autenticamente ispirato.

e.s.

MIMIC

Mira Sorvino - Jeremy Northan - Alexander Goodwin - Giancarlo Giannini - Josh Brolin - F. Murray Abraham Sceneggiatura Matthew Robbins e Guillermo del Toro tratta dal racconto omonimo di Donald A. Wolheim Regia Guillermo Del Toro Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 102’

Presentato allo scorso Festival di Venezia, Mimic, è una sorta di thriller-horror-fantascientifico che racchiude in sè tutti i luoghi comuni del genere. Non molto distante dal precedente Relic (anche nell’assonanza del titolo), anche in questo caso troviamo una scienziata alle prese con mutazioni genetiche di cui perde il controllo. Abbondantemente sfruttati gli alieni e i nemici politici, è ora il momento di scoprire "il mostro che è dentro di noi", o meglio nel codice genetico. Ecco perchè, tra umani e animali di ogni tipo, un certo tipo di cinematografia attinge a piene mani dal pericolo (reale) della manipolazione genetica propinandoci storie terrificanti e popolate di mostri che, fortunantamente, verranno sconfitti. L’aspetto peggiore di questi film è che sono tutti tremendamente simili e la suspence creata intorno alla "terribile" creatura risulta talmente prevedibile da non regalarci, se non un brivido di paura, nemmeno un minimo di inquietudine.

Siamo a New York in un futuro non troppo lontano e un morbo terribile, portato dagli scarafaggi, si sta espandendo. I coniugi Susan e Peter Tyler scoprono una cura per debellare la malattia che si fonda su manipolazioni genetiche che, ai test, risultano stabili ed efficaci. La specie di scarafaggi creata per aggredire il morbo non avrebbe più di sei mesi di vita e , secondo i due scienziati, non comporterebbe alcuna mutazione. Dopo tre anni una serie di misteriose sparizioni, imputate ad uno psicopatico, rivelano invece che una terribile specie di scarafaggi mutanti hanno invaso il sottosuolo di New York e minacciano l’umanità. Queste creature, enormi, dotate d’intelligenza e in grado di mimetizzarsi, dovranno essere debellate proprio dai due scienziati che le hanno, inconsapevolmente, generate.

Mimic non si discosta da questo clichè rivelandosi un film ovvio e privo di originalità, con Mira Sorvino assolutamente fuori parte e dei comprimari bravi (F.Murray Abraham e Giannini) ma decisamente sprecati in ruoli di superficiale contorno. Inoltre, come accadeva già in Relic, il mostro, alla fine, risparmia l’eroina dimostrando di avere un certo debole per il gentil sesso. Non è escluso che in un prossimo film (come è già successo in Alien) tra la protagonista e il mostro non nasca una tenera love-story.

e.s.

 

Arancia Meccanica (A clockwork orange)

Malcom McDowell - John Savident - Anthony Sharp Sceneggiatura e Regia Stanley Kubrick tratto dal romanzo di Anthony Burgess Anno di produzione 1971 Distribuzione Warner Bros. Durata 137’

È il secondo film di Kubrick dopo Lolita che viene riportato nelle sale cinematografiche e il tempo fa scendere il divieto, decantandolo ai minori di quattordici anni. Sembrerebbe ridicolo, ma non lo è : il tempo è passato, la morale è cambiata e il Georgie che tanto scandalo suscitò nell’interpretazione di Malcom Mc Dowell oggi è quasi un bravo ragazzo paragonato alle folle di Serial Killers e psicopatici che riempiono le sale cinematografiche.

Come un vecchio nonno cui si è affezionati quando ci racconta per l’ennesima volta la stessa storia, vediamo questo film di Kubrick - anche se ci pare noioso e fuori del tempo - con tenerezza e devozione. È grazie a lui che sono comparsi i vari Tarantino e Co., quindi lo accettiamo per la sua violenza gratuita e il suo istrionismo sardonico.

Lo accogliamo - però - più come un pezzo di storia che come la celebrazione di un ritorno. Come lo stanco visto della censura, anche noi rimaniamo indifferenti. Il mondo è diventato ancora più cattivo e la realtà è stata superata. Allora come oggi ? Questa è un’altra storia e le critiche sedimentate del passato non vanno rimescolate dal senno di poi.

Marco Spagnoli