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LETTURE&SCRITTURE Giugno 1998



Il potere dell'orologio

Il protagonista del racconto di Bataille è il tempo. Cioè le duecentodiciotto pendole di un quasi inventato ducato del Nord Italia, che improvvisamente si fermano. E con loro si ferma, all'apparenza, la vita del duca Gonzagues e della sua gente. Che scopriranno che controllare le lancette degli orologi non significa possedere il segreto dell'immortalità

Christophe Bataille, Il signore del tempo, Einaudi, pp.123, L.18.000

"Il nostro tempo finisce". Questo il messaggio o la cifra di lettura dell’ultimo libro di Christophe Bataille. Questa la consapevolezza che l’autore vuole sottolineare nel suo racconto "Il signore del tempo". Consapevolezza della umana finitudine; coscienza di essere costretti nella dimensione temporale, ben raffigurate dall’iconografia del vecchio Crono con in mano le due insegne fatali - clessidra e falce - a simboleggiare il breve lasso temporale e la caducità che caratterizzano i limiti della nostra parabola esistenziale.

Non a caso i due personaggi chiave della narrazione hanno a che fare con lo strumento principe della moderna misura del tempo: l’orologio. E non per nulla la vicenda è ambientata sul finire del secolo XVII, l’età della ragione e del computo, ma anche l’età del barocco: contraddistinta dalla tensione verso lo sconfinato e l’immenso. Non si pensi però ad un libro sussiegoso o greve di riflessioni. "Il signore del tempo" è una fabula scorrevole e fresca, scritta col registro lieve d’una prosa capace però di scarti improvvisi, che dalle atmosfere placide del fiabesco sa virare verso le insidiose regioni del perturbante.

La storia è ambientata in una città "del Nord" che ricorda Mantova, avendo il suo duca nome Gonzagues. Ma d’un ducato assai poco ambizioso si tratta: chiuso ai traffici e malinconico quasi quanto il palazzo del sovrano, dalle stanze "scavate d’ombra".

Come in ogni fiaba che si rispetti un evento improvviso viene a turbare il tranquillo scorrere del tempo. L’orologiaio di corte scompare senza una ragione e da quel momento le duecentodiciotto pendole che ritmano i giorni del palazzo si arrestano. Privo di un maestro d’ore, al duca sembra che la vita stessa ristagni per non scorrere più, poiché "senza il battito degli orologi, come credere al tempo"?

Malauguratamente viene assunto dapprima un giovane italiano che, invece di occuparsi del suo lavoro, ficca il naso nel passatempo prediletto del duca: far l’amore con impuberi fanciulle. E mal gliene incoglie, se anche lui sparisce all’improvviso. Fortuna vuole che il terzo orologiaio sia uomo diverso dai precedenti e sappia calarsi con tale puntualità nel suo compito da conquistare l’amicizia del sovrano. Così ben presto il duca, stanco dell’alcova, prende a seguire l’artigiano nelle sue ispezioni alle pendole, sperando di scoprire i segreti dell’alchimia con cui egli rianima ogni notte gli orologi, restaurando non solo i meccanismi inceppati, ma insieme l’ordine rassicurante del tempo.

Ma il sogno di farsi arbitro e signore del tempo maschera il desiderio vano di certezze, cela la hybris di riuscire a controllare la vita stessa, la cui abissale magmaticità è imprevedibile. Giacché solo una cosa sappiamo per certo, conclude Bataille con tono oracolare. Che presto o tardi "senza scampo, sotto le foglie dei pioppi, andremo a giacere".

Francesco Roat