Index MUSICA - Aprile 1998

Cantante per caso

Con un inizio carriera da giornalista, Francesco Guccini di fare musica non ne voleva proprio sapere: "La mia passione è sempre stata quella di scrivere". Così adesso l’autore de "La locomotiva" ha deciso di tornare ai libri. Perché più che musicista e poeta si sente un narratore

Quando si parla con Guccini non si riesce a scacciare la noiosa idea di avere di fronte a se un eroe risorgimentale oppure la reincarnazione di fine secolo del premio Nobel Giosuè Carducci. E se forse la somiglianza col poeta del "Comune rustico" e dell'"Inno a Satana" è soltanto frutto di un gioco di illusioni, dovuto al suadente e fascinoso bianco e nero delle foto di inizio Novecento, è anche vero, però, che l'imponente figura del cantautore pavanese e il suo tono sontuosamente ricco di sfumature cadenzate dalla famosa e caratteristica "erre-moscia", lo rendono una persona oltremodo affascinante e simpatica. Guccini ha molta voglia di parlare e di raccontarsi, anche se risulta subito chiaro, che, sebbene egli lo neghi, oramai l'autore di canzoni come: "La locomotiva" è del tutto proiettato in una nuova dimensione narrativa.

Lei ha scritto due romanzi molto originali e interessanti. Il primo "Cronache epifaniche" ed ora "Vacca d'un cane". In che cosa l’hanno cambiata?

Nulla. Io sono sempre stato un narratore, anche con la canzone. Ho iniziato da piccolo sapendo che da grande mi sarei guadagnato la vita scrivendo. All'epoca, però, non c'erano i cantautori, quindi non pensavo che avrei scritto delle canzoni, tant'è che quando una volta a scuola una compagna di classe dopo avermi sentito suonare mi disse: "Perché non fai il cantante?" le risposi: "Massì figurati, il cantante...". Non ci pensavo assolutamente. Pensavo di scrivere, ho fatto anche il giornalista, infatti, solo che probabilmente questa era la mia strada. C'è poi un altro fattore. Io sono molto pigro e disordinato e mi ci voleva il computer per scrivere qualcosa di lungo e di sistematico come può essere un romanzo. Il computer ti dà il senso dell'ordine, della rapidità sia di scrittura che di correzione e ti evita soprattutto di avere decine di fogli sparsi per la casa.

Quale, tra le tante definizioni date di Francesco Guccini, è quella che sente più adatta : cantautore, scrittore, narratore, musicista?

Sicuramente narratore.

Poeta?

Poeta no, perché io non ho scritto poesie. Ho scritto o canzoni o libri, poesie no. E' lapalissiano, ma è così. La poesia è una cosa diversa. Quando si dice "tu sei poeta, perché quella canzone lì è poetica...", no è sbagliato. Sono pregiudizi tardo-romantici, questi. La poesia è un'altra tecnica, è un altro modo di raccontare. A parte il fatto che oggi la poesia la si legge solo, mentre andrebbe declamata, la poesia ha abbandonato la musica lungo la strada e si è specializzata, rendendo se stessa una cosa completamente diversa. La canzone, invece, deve essere cantata e, ti dico, che quando trovo i testi di alcune mie canzoni su delle antologie, non rimango molto convinto. Il testo di una canzone nasce, infatti, per essere cantato e per venire "allargato" dal canto. La dimensione della musica non può venire scissa da quella della parola.

Però se non è poeta Francesco Guccini non possono venire definiti tali nemmeno Paolo Conte, Fabrizio De André e Francesco De Gregori...

Sono autori di canzoni, che non è una cosa di seconda categoria.

Che cosa ha significato per lei scrivere della sua terra, un arroccarsi in se stesso, forse?

Uno va a prendere il materiale che ha e quello che io ho voluto fare è tentare di epopeizzare ed epicizzare quello che ad altri può sembrare normale come la vita a Pavana oppure a Modena e che tanto normale, a mio avviso, non è. Nel primo libro parlo di montanari, cui, però, tutto ad un tratto accadono fatti "mirabolanti" come l'arrivo dei camion sulla strada o l'utilizzo della macchina per trebbiare il grano. E' la stessa operazione della saga western, che è un'epopea di vaccari che ha ispirato centinaia di film, canzoni e libri. Quindi l'abilità del narratore sta nel fare saltare fuori le storie dal materiale che ha, secondo i propri tempi, secondo il proprio stile.

Quindi non si rinchiuderebbe in una "torre d'avorio" come hanno fatto tanti suoi colleghi, da Battisti a Mina, da De Andrè a Battiato?

Certamente no, perché non sono capace di isolarmi. Vero è che sto a Pavana due mesi d'estate, ma vedo gente dalla mattina alla sera e l'isolamento lo lascio per la grande città che a me non piace. Io sono nato con quelle dimensioni e quindi è giusto che io le senta più vicine.

Come si sente Francesco Guccini in questa situazione culturale italiana molto confusa? Un punto di riferimento?

Punto di riferimento molto relativo...una piccola figura, grossa solo di dimensioni e di figura. C'è un fatto poi un po' strano: uno già viene guardato con molto sospetto perché fa il cantautore, poi si mette a scrivere ed i critici paludati gli saltano addosso, perché per fare lo scrittore ci vuole chissà che cosa oltre le idee e la voglia di farlo. Ma nonostante questo io so quali sono le possibilità che ho ed i limiti di queste stesse.

Una cosa cui però non ha rinunciato è l'umorismo...

Si dice che gli umoristi dentro siano molto tristi e sebbene l'umorismo possa spezzare sempre una situazione che si carica di retorica e di qualunquismo, ma parlando personalmente non credo bastino umorismo ed ironia per vedere le cose che accadono in Italia sotto una luce migliore. Quando uno legge un giornale o guarda la televisione non può che venire fuori soltanto l'indignazione.

Quindi il muro dell'ironia personale viene regolarmente infranto?

No, ma basta pensare per esempio alla truce serietà con cui viene ammantato il mondo del calcio, che tutto sommato è un mondo assai frivolo. Tempo fa ho letto l'articolo di un giornalista sportivo che sembrava inneggiare alla presa della Bastiglia oppure alla vittoria di una guerra mondiale, ed io riconosco il grande merito alla Gialappa's band di avere iniziato a smantellare questo mondo di paroloni e di vuoti stilemi retorici. Se questo è ciò che accade nel mondo del calcio, figurarsi nel mondo della politica come possa essere assente ogni forma, seppure embrionale di umorismo e di ironia.

Sempre in "Cronache epifaniche" accenna di sfuggita agli antenati della sua bisnonna che facevano i contrabbandieri di sale, canapa e seta dall'Emilia a Pavana che apparteneva al Granduca di Toscana e non allo Stato pontificio, cosa che si è mantenuta fino ad oggi visto che Pavana seppure geograficamente emiliana è in provincia di Pistoia. Come si comporterebbe se avessero successo i progetti politici che vogliono il ritorno di divisioni geografiche e dogane?

Non farei il contrabbandiere ed andrei in giro col passaporto, oppure avrei la doppia cittadinanza...

Contento di averla o un pochino dispiaciuto?

Cosa vuoi mai...certe cose non possono tornare. La storia non si ripete, non torneranno le dogane in Italia, anche perché erano molto scomode...

Marco Spagnoli