indice ARTE - a cura di Giovanna Grossato - Febbraio 1998



Tutta la gente di Placido Barbieri

Difficile non essere d’accordo con Fernando Bandini quando, a proposito delle fotografie di Placido Barbieri, afferma che esse sono in grado di "sintetizzare una sostanza interiore" di ciò che rappresentano.

La purezza dei bianchi e dei neri e l’infinita varietà dei grigi nelle immagini che si sciorinano lungo le pareti della mostra nella Sala Borsa Merci della Basilica Palladiana, infatti, mettono in scena situazioni e visi colti in momento unico ed irripetibile della loro intera esistenza. Di quell’unico momento si percepisce chiaramente il senso di assoluto che l’ha individuato, selezionato e colto fuori dalla miriade quasi infinita di altri.

E proprio in quanto la possibilità del mezzo tecnico permetterebbe di fissare qualsiasi evento, tanto più magico appare, -ed è-, il gesto che "sa" scegliere proprio quell’uno nel numero sterminato di quelli che si perderanno per sempre, smarriti e confusi, nel brusio generico del tutto.

Le semplici cornici che ritagliano lo spazio di un rettangolo sulle vecchie pareti dell’esposizione offrono al visitatore la possibilità di compiere innumerevoli viaggi lungo l’asse del tempo e dello spazio, sulle orme stesse dell’Artista, come se il superamento del fragile diaframma della carta su cui le foto sono stampate permettesse, al pari dello specchio di Alice, di raggiungere in un attimo i luoghi e le persone ritratti da Placido Barbieri.

Chi sono ? Si tratta di amici artisti, poeti, scrittori, di bambini della sua famiglia oppure di anonimi, di persone semplici, nelle quali il suo occhio attento e curioso si è imbattuto per caso sul ponte di un traghetto o nei vicoli di una città o in un ospizio, di vecchi bellissimi, dai visi disegnati come graffiti che sembrano mappe di territori remoti.

Essi sono sconosciuti solo prima di appartenere all’obbiettivo di Barbieri: dopo essere stati acquisiti nel suo universo umano, infatti, essi hanno guadagnato quella caratteristica di immortalità che il venire conosciuti da un artista comporta. Non di rado, poi, questo gesto di ritrarre e di farsi ritrarre, iniziale di una conoscenza reciproca tra fotografo e soggetto, ha avuto il significato di accendere ed aprire un rapporto di reale e duratura amicizia.

In ogni caso, si tratti di gente famosa, di gente di famiglia, di gente qualunque incontrata, per un solo attimo, o con lunghe frequentazioni nel corso di anni, tutti, ugualmente, sono divenuti per Barbieri la "sua" gente perché quei volti hanno in comune la stessa intensità, prodotta dalla medesima attenta, intelligente, amorevole considerazione che il fotografo ha rivolto loro.

E con essi centinaia di storie, minime o gloriose, si intrecciano e si affermano in un unico luogo dove ogni elemento sembra aver raggiunto una condizione ideale dopo infiniti tempi di esperienza.

Ecco dunque Gino Soldà, sullo sfondo di una montagna, che volge lo sguardo alla ricerca di una targa infissa sulla roccia ; la pianista, rapita nella costruzione mentale dei suoi suoni ; la figlia Elena, confusa come un pois in una serie di cesti ; il fotografo cinese Chinsan Long, curvo sopra il suo strumento a carpire qualche immagine della realtà ; lo scultore Barbaro Remigio da Burano, colto in un momento di intensissimo rapporto con una sua opera ; l’espressione intenta e pensosa di Rigoni Stern ; il primo piano immobile come bronzo di Irene Oliver.

Tutti questi personaggi si allineano, uno dopo l’altro, obbedienti ad un ordine misterioso e forse non casuale, in una sequenza che, attraverso un unico fotogramma rivela e racconta, per ognuno di loro, un intero film.

Giovanna Grossato