Index POLITICA - Gennaio 1998



A Nord Est un "miracolo" firmato dalla storia

Non regge il mito di un Veneto in cui le piccole industrie sarebbero nate all’improvviso e dal nulla. Nei secoli scorsi le radici di un boom economico che insieme agli "schei" ora produce anche malessere

Il tormentone delle quote latte e la lotta chiassosa e a tratti maleodorante degli allevatori del Belpaese, ma sarebbe meglio dire del Nord e del Nord Est del Paese, hanno riportato l’attenzione di tutti, se mai ce ne fosse stato bisogno, su queste zone dell’Italia d’oggi in cui sembra prosperare e proliferare la protesta dei ricchi assieme alla richiesta di una più ampia autonomia politica e gestionale.

Non è un caso che l’epicentro delle iniziative di un gruppo assai consistente di transfughi della vecchia Coldiretti di democristiana memoria si sia assestato in Veneto e più in particolare in alcune di quelle località minori, i paesi oggi urbanizzati che corrispondono però agli antichi villaggi rurali, delle quali in modo persino ossessivo sottolinea la crucialità, nei suoi editoriali sul "Sole 24 Ore", Ilvo Diamanti: accanto a Zermeghedo e a Gambugliano, infatti, anche Grisignano e Vancimuglio, roccheforti degli assembramenti in prossimità delle sedi autostradali da interdire all’incolpevole utenza, si sono ritagliati un momento di celebrità e, cumulativamente, la distratta menzione nelle cronache postelettorali del dopo ballottaggio essendovi giunta la Lega Nord, nella sua versione veneta, a mietere consensi plebiscitari aggirantisi fra il 60 e il 70 %.

In questo articolo, però, non intendo entrare nel merito di una vertenza spinosissima com’è quella lattiero casearia dove, fatta la debita tara sulle truffe e sui raggiri ai danni delle comunità più svariate (da quella nostra all’Unione Europea), si ha sempre l’impressione di trovarsi dinanzi ai frutti di un equivoco coltivato non solo dai governi di età trascorse, ma anche dai produttori e dalle loro associazioni di categoria (la fissazione dei tetti di consumo al ribasso fu opera dei ministri Dc e in specie di Filippo Maria Pandolfi, lo sfondamento sistematico delle quote venne incoraggiato per anni dalle associazione e le multe furono ripianate , sino ai primi anni ’90, dalla fiscalità generale, cioè dai prelievi fatti a carico di tutti i contribuenti italiani, ecc.). Né tanto meno voglio chiosare, alla luce del responso dato nel Nord Est pedemontano dalle urne, i successi di movimenti autonomisti e separatisti affrettatisi a correre in soccorso degli allevatori e a sposarne integralmente le ragioni.

Le due cose, lo so, si tengono e certamente meriterebbero analisi ben più distese. Tuttavia offrono anche lo spunto per compiere alcune riflessioni interessanti sulla natura del disagio odierno dell’Italia settentrionale ovvero su quel "male del Nord" a cui ancora Diamanti ha consacrato un suo ottimo libro. Di altri libri e di altre vicende, preso atto di quel che succede di questi tempi, viene voglia invece di parlare adesso specie se si assuma come realistico un dato relativo ai classici rapporti fra città e campagna in un mondo, quello nostro, dove la campagna non è certo più il luogo dell’arretratezza e della povertà. Anche gli allevatori in rivolta, del resto, difendono interessi e investimenti aziendali corposi (dell’ordine di centinaia di milioni come a centinaia di milioni ammonta il costo delle loro attrezzature, dai caterpillar antiagenti ai silos mobili piegati al getto aereo del letame sui pasoliniani poliziotti da un milione e mezzo di stipendio al mese). La campagna meccanizzata dei giorni nostri, credo si possa dire, è sotto il profilo culturale e ideologico l’erede neanche tanto indiretta delle Vandee d’antan (i contadini reazionari di fine settecento, i cattolici intransigenti del secolo XIX i rurali clerico fascisti del ventennio mussoliniano, i devoti agricoltori appunto della Coldiretti bonomiana e della Dc imperante) che da sempre accerchiano e assediano, nel Veneto in particolare, i capoluoghi urbani con quel poco di spirito progressista che di tanto in tanto albergano. Essa, però, è anche, da qualche decennio in qua, la mecca di una mirabile espansione industriale ch’è stata spiegata e raccontata in molti modi, per lo più sbagliati.

Al mito del contadino pio e laborioso si è sovrapposta la leggenda del produttore piccolo o intermedio di origine possibilmente campagnola che sarebbe l’artefice unico di un miracolo industriale imperniato, nelle periferie e nei distretti del Nord Est, sulla riuscita di piccole e medie imprese nate come dal nulla e per scienza o per virtù infusa da chissà chi.

Naturalmente non è vero, anche se la lettura distorta del fenomeno di una evoluzione industriale debole o mancata che nel Veneto sarebbe stata incapace, fra otto e novecento, di pilotare e di sottomettere a sé le ragioni dell’agricoltura e di chi di agricoltura vive, vanta non pochi esegeti di solito superficiali e frettolosi.

E’ tutto l’organismo economico della regione, viceversa, che sin dal secolo XIX, e quindi come minimo da cent’anni in qua, risente di una stessa cultura e di una sorta di guida imprenditoriale e industriale su cui merita di fare luce.

Le trasformazioni ed anzi le vere metamorfosi conosciute, e non già tutte subite, dall’agricoltura nel Veneto sin dall’ottocento ci portano oggi a riconsiderare con più attenzione alcuni aspetti di un processo evolutivo di strutture, tecniche e mentalità destinate a ripercuotersi sulla storia dell’intera regione e del suo sin troppo celebrato "modello di sviluppo". Questo, come si sa, prende le mosse, persino nella pubblicistica corrente e ancor più nel dibattito economico e politico contemporaneo, da matrici di analisi tutte imperniate sulle caratteristiche di una crescita industriale avvenuta per poli e su base territoriale omogenea all’insegna, sin quasi ai giorni nostri, della gradualità e del paternalismo imprenditoriale di una borghesia dalla base forse più ristretta e concentrata di altre, ma nondimeno provvista di dignità e di requisiti compatibili con la media delle esperienze europee talora sin dai primordi d’età settecentesca e di sicuro dalla metà del secolo XIX in avanti. (1. Continua)

Emilio Franzina