Index MUSICA - Gennaio 1998

Manon Lescaut, la francese dal cuore italiano

Presentata di recente a Piacenza e Cremona, l’opera di Puccini conferma la validità della sua scommessa: togliere alla storia belletti e frivolezze d’Oltralpe per darle tutta la passionalità italica. Come fu, in fondo, la stesura del libretto che passò dalle mani di Ruggero Leoncavallo a quelle di Marco Praga fino a Luigi Illica

Il primo febbraio 1893 andò in scena al Teatro Regio di Torino "Manon Lescaut", terza opera dopo "Le Villi" ed "Edgar" di Giacomo Puccini. Dopo il successo di stima di Edgar, Puccini si diede alla ricerca di un soggetto più aderente alle sue capacità ed al suo talento e la scelta cadde sul romanzo dell'Abate Prévost: "Histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut". Romanzo che è praticamente un’autobiografia dell'autore, prete due volte spretato, in cui si narra la vicenda della sua turbolenta giovinezza.

Puccini fu sconsigliato dai suoi collaboratori di affrontare un tale soggetto in quanto erano già in circolazione due opere tratte dal medesimo romanzo, una di Auber e l'altra di Massenet che ebbe tra l’altro un grandissimo successo. Tuttavia Puccini non si diede per vinto e in una lettera indirizzata a Marco Praga si legge: "Lui (Massenet) sentirà Manon alla francese con la cipria ed i minuetti, io la sentirò all'italiana con passione disperata ".

La vicenda della composizione del libretto è assai complessa. Iniziò la stesura del libretto Ruggero Leoncavallo ma ben presto sorsero dissidi tra lui e Puccini per cui rinunciò alla composizione. Venne allora chiamato in causa Marco Praga che stese la trama del libretto suddividendolo in quattro atti e che praticamente ricalcava il lavoro di Massenet. Praga chiamò a sua volta come verseggiatore l'amico Oliva e i due si misero entusiasticamente al lavoro ed ultimarono il libretto nell'estate del 1890. Durante un soggiorno a Cernobbio, sul lago di Como, nella residenza estiva dell'editore Ricordi si diede lettura del loro lavoro e la soddisfazione fu generale.

Puccini iniziò la composizione ma sorsero in lui molti dubbi. Ad esempio l'atto in cui Manon e De Grieux vivono insieme (presente in Massenet) non lo convinceva e lo volle togliere e sostituire con altro argomento (da qui nasce l'atto della prigione e dell'imbarco delle prostitute). Praga, non condividendo le idee di Puccini e trovando il compositore irremovibile, abbandonò l'impresa lasciando da solo Oliva che presto si stancò delle continue pressioni del Maestro. Giulio Ricordi, su suggerimento di Giacosa, suggerì il nome di Luigi Illica per portare a buon fine la stesura del libretto rimasto largamente incompleto.

Illica, dopo aver ritoccato il primo e secondo atto immettendo alcuni personaggi secondari, rimaneggiò con l'aiuto dell'amico Giacosa l'intero testo cercando però di salvare quelle parti che Puccini aveva già musicate. Finalmente il libretto, dopo tante traversie, fu terminato e fu pubblicato anonimo in quanto nessuno dei vari autori volle assumersi la paternità del lavoro. Puccini terminò la composizione nell'ottobre del 1892 e l'opera fu pubblicata con il titolo "Manon Lescaut" per distinguerla da quella di Massenet.

Con "Manon Lescaut" Puccini giunge al suo primo vero capolavoro, rivestendo il tormentato libretto con una musica quasi sempre disperatamente angosciosa. Anche nella frivola ambientazione dell'inizio del secondo atto, quando Manon vive nella casa dorata di Geronte, lo strumentale è pieno e denso e quindi estraneo alla levità del momento. Questa non è una limitazione del compositore ma è una coerenza interpretativa che lo porterà alla cupa disperazione del terzo atto con il duetto a tratti interrotto di Manon e Des Grieux, con la canzone del lampionaio che spezza per un attimo la tensione e poi il drammatico finale con l'imbarco delle prostitute. Il quarto atto è un lungo splendido duetto tra i due amanti ormai giunti allo stremo e con la grande aria di Manon

che poi spira su un motivo orchestrale che rieccheggia lievemente il minuetto del secondo atto.

Opera quindi di grande inventiva scritta veramente con il cuore in mano con soluzioni del tutto particolari che formano un "vasto e infuocato crogiuolo in cui depositi e scorie bruciano dando la misura di una ispirazione ricca ed a senso unico" ( Nicastro): il senso della fatalità e della disperazione. Lo spettacolo andato in scena al teatro Municipale di Piacenza, montato dal Teatro Grande di Brescia e che ha fatto tappa al Teatro Ponchielli di Cremona, è stato di un ottimo livello. Punto di forza è stata l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano guidata con grande mestiere ed arte dal Maestro Maurizio Arena che ha sondato la partitura in ogni particolare con estremo scrupolo.

Amelia Felle è stata un'ottima Manon rivelandosi un soprano lirico spinto di notevole caratura con una linea vocale precisa ed attenta alle insidie della parte e con una bella presenza scenica: fa piacere notare come questo soprano abbia trovato un rendimento vocale di tutto rilievo. Marcello Giordani era Des Grieux, voce generosa e adatta al difficile ruolo pucciniano con uno squillo preciso negli acuti ed un robusto centro. Bene il Lescaut di Franco Vassallo tendente però a forzare alquanto i suoni.

Corrretti tutti gli altri componenti della compagnia costituita da Armando Caforio, Orfeo Zanetti, Valentino Salvini, Sonia Zaramella, Alberto Jannelli e Giovanni Guerini. La regia era di Beppe De Tommasi con buone trovate ma con qualche effetto di troppo. Successo pieno di pubblico che ha lungamente applaudito tutti gli interpreti.

Luciano Maggi