Index MUSICA - Gennaio 1998

Il blues anni ‘90

Nasce come chitarrista jazz, ma nel 1989 riscopre il country-blues. Così cantando da solo sempre in versione acustica, il bianco Kelly Joe Phelps è diventato una delle nuove stelle di una musica che sembra non conoscere le rughe del tempo. Ma anzi, quando trova qualcuno che la suona "con l’anima", ritrova l’antico splendore

Kelly Joe Phelps: "Roll away the stone /Lead me on"

Il blues è una musica strana. Se qualcuno la esegue senza amore si sente subito, e una sgradevole sensazione pervade tutto l’ambiente. Il feeling è più importante di qualsiasi altra cosa, non è raro sentire bluesmen quasi analfabeti, musicalmente parlando, che per grinta e anima compongono, quasi in maniera inconsapevole, dei veri e propri must della musica blues. Il periodo d’oro del blues è senz’altro il periodo degli anni venti /trenta dove essendo ancora poche le occasioni per incidere, la stragrande maggioranza degli artisti suonava per sbarcare il lunario e sfuggire il lavoro dei campi. E’ in quel periodo che nascono personaggi come Charley Patton, Missisippi John Hurt, Alger Texas Alexander e cosi via, in una quasi infinita schiera di bluesman acustici che giravano i juke joint e le feste del paese, bordelli inclusi. La stella più sfolgorante di quel periodo fu senza ombra di dubbio Robert Johnson. Ma la sua storia la racconterò un’altra volta. Quello che voglio dire è che poi successivamente il blues prese altre strade, necessariamente per stare al passo con i tempi, e perse un poco la sua anima più vera, che è la dimensione acustica, per la pura necessità di lenire ferite interiori ed esteriori.

Molti bluesman tentano spesso vari recuperi di questa atmosfera: a volte ci riescono, altre no, ma da un po’ di tempo è spuntato all’orizzonte un piccolo uomo bianco che ha piazzato nel giro di pochi anni due album tra i più belli della storia del blues.

Questo fenomeno si chiama Kelly Joe Phelps e la cosa straordinaria è che è bianco, suona la chitarra slide ma soprattutto ha un’anima grande così e si sente!!

Attenzione però, i suoi dischi non sono per bluesofili dell’ultima ora. Per avvicinarlo è necessario passare un lungo training sulla musica blues e non avere mai cedimenti perché la sua musica non ammette deviazioni: è blues allo stato emozionale puro.

Dalla sua slide scaturiscono atmosfere rarefatte, dove l’ascoltatore è libero di inventarsi la sua storia e sognare, le emozioni vengono fornite da casa Phelps con ritmiche fatte di solo tamburellare la manodestra sulla cassa della chitarra per lasciare che la sinistra compia il miracolo. Poche le note e a volte gli spazi sono enormi, ma è proprio questo il bello, assieme alla sua voce che con sincerità estrema canta i suoi blues. L’insieme è letteralmente esplosivo e la favola del blues rivive in lui e ci viene consegnata nel suo stato più vero mentre noi sognamo di camminare per le strade polverose di Greensville ed un treno all’orizzonte passa lentamente con tutto il suo carico di storie ed avventure.

In " Roll away the stone" Kelly riprende il discorso interrotto con il precedente album "Lead me on" dove parecchi pezzi di sua composizione lasciavano di quando in quando il posto a cover che rendevano di sasso il sottoscritto, pezzi di rara bellezza con finalmente qualcosa di nuovo da sentire. Anche qui si ripete la stessa storia, dove pezzi composti da lui come" Roll away the stone" si alternano a cover di Skip James in "Cypress grove " o "See that my grave is kept clean" di Blind Lemon Jefferson. Pezzi eseguiti sempre rigorosamente da solo come vuole la tradizione e l’invito che vi faccio è quello di andarvi a sentire la versione originale per poter meglio apprezzare le differenze stilistiche e godere dell’evoluzione che il blues in questo caso fa per essere al passo con i tempi.

Kelly nasce prima come musicista jazz e nel 1989 scopre il suo amore per il country blues, da quel momento questo bluesman di Portland Oregon vive solo in funzione del blues e i risultati non si fanno attendere, apre i concerti di gente del calibro di B.B.King, Robben Ford, Keb Mo tanto per citarne alcuni. Sempre in quegli anni vince il Muddy Award come "Best Acoustic Guitarist". In effetti le evidenti radici del passato musicale jazz di Kelly si fanno sentire ma è sorprendente il passo indietro (si fa per dire) che l’artista compie tornando al blues, là dove le emozioni possono liberarsi. Insomma ambedue gli album valgono i soldi spesi e spero che questo artista ancora poco conosciuto qui in Italia riesca, magari in futuro, a venire a trovarci. Io, manco a dirlo, ci sarò senz’altro…

Marco Pasetto