Index MUSICA - Gennaio 1998

Il rock? Un futuro invecchiato

In Italia la musica giovane degli anni ’80 nacque dall’unione della tradizione e della sperimentazione. Mescolando la filosofia dei cantautori classici e i nuovi suoni che arrivavano dal mondo anglosassone. Ecco cosa significò (e significa) quel passaggio cruciale nelle parole di Andrea Chimenti dei "Moda", protagonista di quel periodo e ancora oggi alla ricerca delle sonorità dei prossimi anni

Quanto tempo ci vuole per costruire una tradizione? È possibile farlo? L'espressione rock italiano si è andata rivelando, dall'inizio anni ‘80, come un binomio nato dall'innesto di due corpi estranei, come il risultato di una sovrapposizione, come la semplice applicazione di forme esteriori. Ma nessuna opera di ricopiatura può essere una ricostruzione. Nell'atto di adattare una scrittura viene perso inevitabilmente qualcosa nel passaggio ed in quel qualcosa sembra annidarsi la sostanza delle cose. In realtà il nodo da sciogliere era come costruire un tessuto artistico e contemporaneamente una tradizione.

Se poniamo come paletto di partenza all'interno di questa criticità la compilation dell’I.R.A. Catalogue Issue del 1985 ci accorgiamo che, in quasi tre lustri, il passo in avanti è stato compiuto facendo i conti con il passato, attraverso una forma di aggancio al passato, una sorta di crossover (usando questo termine come una categoria temporale) tra l'humus della tradizione e le istanze del nuovo. Rock è qualcosa che ha a che fare con l'appartenenza, con le radici molto più di quanto possa sembrare. Per Andrea Chimenti che con i Moda debuttò su quella compilation "c'erano tante speranze, c'era un movimento che stava nascendo e il fatto di parteciparvi era una bella esperienza, sentivamo che c'era qualcosa che sarebbe andato avanti nel tempo. Ci siamo lanciati: sono quelle cose che si fanno con incoscienza, non si sa bene cosa accadrà ma si parte".

Andrea Chimenti ha anticipato il ricongiungimento avvenuto per molti gruppi italiani dopo l'avventura delle Posse con la tradizione in sé e con la tradizione della canzone d'autore. Abbiamo coraggio di usare questo termine perché "bisogna intendere la figura del cantautore in maniera internazionale perché anche David Sylvian, anche Bob Dylan, anche Leonard Cohen sono cantautori, solo che loro hanno dato alla musica l'importanza, il ruolo e la dignità che deve avere". Il cantautore di oggi deve essere un cantante che propone dei testi all'interno di una composizione musicale, deve dare importanza ad entrambe le cose, cosa che non è accaduta a suo tempo in Italia. Nel ‘93 il tributo a Rino Gaetano (Andrea Chimenti canta "Escluso il cane"), l'anno dopo un tributo a Fossati. Gli anni ‘90 hanno fatto i conti con gli ultimi 30 anni. Il risultato è stato una nuova luce sullo scenario attuale: "Della canzone d'autore se ne è fatta un po' un'indigestione per un certo periodo negli anni ‘80 e, come spesso accade, si fa di tutta l'erba un fascio e si butta via tutto, sbagliando. Poi succede che anni dopo si va a recuperare: ma guarda un po' questo disco quanto è bello, questo artista che cosa ha fatto ed io allora non lo consideravo. A me è successo così: gli anni ‘80, gli anni ‘70 sono stati un periodo in cui ascoltavo esclusivamente musica straniera, inglese, erroneamente, e poi c'è stato un recupero dopo. E come me hanno fatto molti altri.

Artisti che sono stati persi da parte di chi allora faceva rock italiano".

"Un rapporto che ha a che fare con la musica ma soprattutto con i testi. Non si può prescindere dalla propria tradizione altrimenti si rischia di scimmiottare qualcosa che non ti appartiene. Questo è stato un rischio per molti gruppi (noi compresi) che negli anni 80 ascoltavano solo musica inglese o americana. Così succedeva che tu li imitavi, però non si può fare un tipo di percorso disdegnando quello che è il tuo terreno, il tuo mondo. Insomma il ruolo di apripista per qualcosa che era completamente da inventare".

Per questo forse era necessario fare un po' di terra bruciata col passato, ed oggi l'attuale panorama italiano sembra essersi liberato dalle costrizioni e forzature, dalle necessarie citazioni e dagli scomodi raffronti. Lula, Cesare Basile, Massimo Volume, La Crus si muovono con personalità ed indipendenza tra contatti con la tradizione e sperimentazione sonora. Andrea Chimenti coniuga strumenti acustici e ricerca sul timbro degli strumenti, temi eterni e modernità: "Di base è questo. Credo che con la chitarra classica si possano fare cose

estremamente moderne. La chitarra classica può essere suonata in mille modi e la chitarra classica può essere più potente di 2000 chitarre elettriche. Oggi si crede ancora che il muro di suono, il saltare, l'inveire dire slogan sul pubblico sia trasgressione. In realtà non è così, non lo credo assolutamente. Oggi è più trasgressivo parlare di amore che non parlare di ribellione".

Ed ecco che sottraendo Chimenti da una contestualizzazione storica ("Io credo di essere un po' anomalo. A dispetto del nome dei Moda credo di essere sempre stato fuori moda, sia perché al tempo della new-wave e del dark noi facevamo del rock sia per la riscoperta da cantautori con una ricerca musicale diversa in un momento in cui le multinazionali si sono aperte al rock") emerge in particolare rilievo tutto il suo spessore artistico ed emerge con composizioni che sono molto di più della somma e degli elementi in cui le si può scomporre: testo e musica. "Io credo che le canzoni esistano già tutte. Questa è una mia teoria: nessuno inventa una canzone ma ci sono già. Ci sono dei momenti in cui tu le senti passare e le afferri. Una canzone quando è ben riuscita, insomma se c'è un do dopo il re, è perché così ti è arrivata, non può esserci altro. Come se tutto già esistesse. Mi viene in mente Michelangelo che diceva di tirare fuori le figure dalla pietra come se già all'interno della pietra ci fosse già la statua. Ed è bellissima quest'immagine, io credo sia un po' in questo modo. Una canzone nasce in modo magico, sempre. In modo inaspettato, incontrollabile almeno per me. Altrimenti mi reputerei un artigiano e non lo sono. Posso passare mesi senza scrivere nulla ed in uno solo comporre 10 canzoni. Sono quei momenti che vanno afferrati, passa la canzone e la devi leggere, ascoltare".

Il desiderio di penetrare la superficie della realtà e trovare in ciascuna cosa lo spirito che la rende ciò che è, come era nella poetica di Flannery O'Connor, avviene con un tono di asciuttezza, di innocenza. Potrebbe sembrare una formula del linguaggio ma in realtà per Chimenti "è più una visione delle cose. Per me bisogna recuperare la semplicità delle cose perché nella semplicità si trova una grande ricchezza. Viviamo in un mondo in cui tutto è scarnificato; l'acqua è due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno, per gli antichi l'acqua era purezza-vita-movimento-sorgente di verità e rappresentava il sacro, oggi abbiamo scarnificato e dissacrato la realtà completamente. La vera realtà guarda dietro le cose partendo con un occhio semplice più da bambino".

Ma ancora di più la poetica di Chimenti si sviluppa per un processo di sottrazione, come se avesse a che fare più con il concetto di sparizione dell'arte che con quello di fine dell'arte. "L'essenzialità è stato il bisogno col passare degli anni di togliere il superfluo. Si arriva ad un momento in cui senti la necessità di liberarti di tante cose e quindi vai a ricercare il suono all'origine, la cosa più semplice, cercare di emozionare con una nota. E

da qui anche la scelta del trio, perché tre strumenti possono essere efficaci e tenere comunque su un concerto. Gli ultimi lavori che sto facendo sono molto minimali, perché rispecchia molto di più quello che è

il mio sentire in questo momento, anche la semplicità, e poi credo che la semplicità sia una soluzione a molti problemi non solo musicali ma anche della vita". Ed anche nella voce: "C'è un approccio più intimo nel cantare. Prima la voce la portavo sempre ad un certo volume perché era anche tipicamente rock questo modo di fare. Oggi cerco di recuperare quella che è la mia voce allo stato naturale, senza impostazioni, senza nulla. Come parlo così canto. tento di esprimere la mia voce semplicemente com'è".

Ecco che la composizione diventa il punto di incontro contingente tra intimismo ed altro da sé, tra possibilità di vedere e nebbia che vela lo sguardo, che chiude gli orizzonti, tra miriadi di voci ed un unico silenzio, tra il tenere una nota fino al limite della sua espressività ed un'esplosione di campionamenti. Nello sperimentare la forza mistica e religiosa della musica senza cercare scorciatoie è viva e presente la lezione del compositore lituano Arvo Part. Secondo William Blake ogni artista è una spia del Signore, ogni artista è religioso. Ogni ricerca, che sia sonora, che sia linguistica, testuale, scientifica nasce da una tensione mistica che si acquieta, si sviluppa, si determina nell'uso dei simboli che sono fusione di

significante e significato. L'albero, il corvo, la maschera hanno sempre avuto una lunga tradizione in questo senso e sono state recuperate da Chimenti. "Perché tutte le cose cambiano di anno in anno, si rischia di perdere ogni tipo di connotazione in questo mondo, forse cercare l'albero, l'uso del simbolo riporta a qualcosa di stabile nel tempo.

Forse ne ho bisogno io".

Nulla cambia sotto il cielo e le domande dell'Ecclesiaste sono le stesse da più di 4000 anni. Ma se le inquietudini sono le stesse è il linguaggio a darne un livello, un tono, uno spessore diverso. "La poesia può essere questo una formula che rinnovi il linguaggio. La poesia arricchisce sempre. Arricchisce chiunque l'ascolti. È la punta massima del linguaggio, in cui il linguaggio diventa rappresentativo, comunicazione vera". C'è spazio per il dubbio solo in fedi profonde, solo in vite in cui l'inquietudine annulla quasi la possibilità di dire io, di scoprirsi soggetto. Ungaretti e la poesia ermetica italiana, Pessoa, il Qohelet: tutti abitanti di uno stesso territorio spirituale. C'è una sola via per il cielo: il calvario.

Giuseppe Episcopo